“Canterò in eterno l’amore del Signore” — Arcidiocesi Bari-Bitonto

 
 

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Carissime e carissimi,

È grande la commozione per il dono che stasera il Signore fa a Ermir e Daniele, due giovani che dopo un percorso di laurea, hanno avvertito il richiamo a incamminarsi per la strada del sacerdozio.

Vedervi qui, in tanti, insieme, intorno all’altare del Signore, nel fare corona a questi nostri due figli, è una gioia grande e una opportunità meravigliosa, che la grazia di Dio ci offre.

Credo che una sola parola possa esprimere il bello e il buono di quanto ci accade come Comunità ecclesiale:

il Signore ci usa misericordia.

Dal profondo di questo sentire, fiorisce la riconoscenza per lei, caro Padre Arcivescovo Francesco Cacucci che, con attenzione e cura, ha accolto e seguito il cammino dei nostri due ordinandi sino al mio arrivo. Grazie per essere tra noi. Saluto il Vescovo eletto di Rieti, figlio di questa Chiesa, don Vito Piccinonna, a cui rinnoviamo gli auguri per il suo cammino, ringraziandolo per essere qui.

Gratitudine e affetto rivolgo a quanti hanno accompagnato il cammino di Daniele ed Ermir:

  • ai parroci che hanno visto germogliare questa chiamata, don Peppino Sicolo e don Nicola Mastrandrea;
  • al rettore del Pontificio Seminario Maggiore Lateranense, Mons. Gabriele Faraghini e a Mons. Riccardo Battocchio, rettore dell’Almo Collegio Capranica, e con loro saluto e ringrazio gli educatori tutti che hanno curato il percorso formativo dei nostri due giovani.

Un caro abbraccio ai sacerdoti tutti e a quanti sono venuti da lontano per attestare vicinanza e affetto e condividere il dono della preghiera.

Canterò in eterno l’amore del Signore

Lo abbiamo proclamato nel salmo responsoriale aprendoci a contemplare, nella persona di San Nicola, le meraviglie compiute dal Signore.

È bello che abbiate desiderato questa data per la vostra ordinazione; è bello che desideriate guardare a San Nicola, nostro patrono, come intercessore, modello e compagno di strada per il cammino che vi si apre dinanzi.

WhatsApp Image 2022-12-09 at 12.35.22.jpegCarissimi Daniele ed Ermir, abbiate sempre la forza e la gioia di cantare l’amore del Signore per voi e per la sua Chiesa.

Quanto oggi viviamo è il frutto di un disegno imperscrutabile che ha visto lo Spirito agire dentro e fuori di voi, predisponendovi all’arduo servizio di essere pastori e guide, fratelli accanto ad altri fratelli nell’umiltà di un compito che richiede compassione e tenerezza.

Canterò in eterno l’amore del Signore

Umiltà, mansuetudine, pazienza, reciprocità amorevole nel portare gli uni i pesi degli altri, impegno nel favorire la comunione mediante il vincolo della pace, sono i tratti distintivi a cui Paolo, con ferma autorevolezza, esorta gli Efesini perché si cammini nel Signore edificando il Corpo di Cristo che è la Chiesa.

Umiltà e mitezza, magnanimità e reciproca sopportazione nell’amore, sono gli abiti nuovi dell’identità credente che, come San Nicola, anche noi siamo chiamati a indossare, in una costante conformazione a Cristo e tensione alla concordia dei credenti.

Solo così si rende dignitosa la vocazione cristiana e si avvalora lo spessore del nostro ministero che, scaturito dall’unica sorgente battesimale, si attesta come autentico dono elargito da Cristo alla vita ecclesiale: “è sempre una grande tentazione vivere il sacerdozio senza battesimo”.

Solo chi si è lasciato toccare dall’amore del Signore può accogliere un simile dono e impegno totale che richiede profondo innamoramento del Dio della vita e nuzialità nei confronti della comunità.

Cantare l’amore del Signore è proprio di chi si lascia espropriare da sé per sposare la dimensione del ministro, ovvero di chi sta in basso, scevro da ogni forma di appartenenza ai notabili della terra per assumere il posto del servo.

Cantare l’amore del Signore richiede un cuore liberato dall’ipertrofia dell’io e consegnato alla nuzialità, feconda e generativa, con cui Dio ama la Chiesa. A tale nuzialità siamo resi partecipi mediante il sigillo del sacramento che ci rende amici dello Sposo, Cristo nostro Signore, che ci ha amato fino a dare tutto se stesso.

Canterò in eterno l’amore del Signore

È questo l’orizzonte di vita che fiorisce nell’intimo di chi si lascia condurre ad assaporare l’ineffabile fedeltà con cui Dio attesta la sua misericordia per ogni uomo.

Non potrete cantare l’amore del Signore se non lascerete che il vostro cuore batta all’unisono col suo, percependo la compassione e la tenerezza che Lui ha per ogni donna e ogni uomo.

Non riuscirete a far vibrare il vostro canto d’amore se vi lascerete catturare da facili gratificazioni o cercherete zone di conforto dove addomesticare i contraccolpi di un ministero che mai deve perdere il sapore della profezia.

Aprite il cuore alla Parola che salva, traducetela in un vissuto autentico e, ricchi di amore per quanti vi sono affidati, siate come il Santo di Myra, pastori del popolo e non suoi cortigiani. Lasciatevi evangelizzare da coloro che servirete. Piegatevi sulle ferite della gente, avendone cura, ma mai cercando la sterile moneta del consenso; legatevi alla gente con amore casto, trasparente, e lasciate che il suo affetto vi inebri, senza paure di sorta.

“Io ti renderò luce delle nazioni perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra”, abbiamo ascoltato nella prima lettura.

Come san Nicola siate coraggiosi e audaci nel consegnarvi all’amore trasfigurante di Dio. Non coltivate recinti, confini, ma lasciate che il vostro cuore assuma il respiro del mondo. Il nostro sacerdozio, infatti, si inscrive nel mistero della Redenzione del mondo operata da Cristo.

Cari Ermir e Daniele, mi avvio a concludere invitandovi a guardare a questo presbiterio: da oggi la vostra nuova famiglia.

Da ciascuno dei suoi membri trasuda la fatica e la gioia di un’appartenenza. Amateli con sincero affetto. Tanti sono i nomi di quanti ci hanno preceduto nella casa del Padre, segnando con la loro testimonianza la nostra storia, un dono grande al cammino di questa Chiesa: li ricordiamo con affetto.

Sono profondamente convinto che la comunità dei sacerdoti, radicata in una vera fraternità sacramentale, costituisce un ambiente di primaria importanza per la nostra formazione spirituale e pastorale. Essa ci aiuta a crescere nella santità e costituisce un appoggio sicuro nelle difficoltà. È qui il vero antidoto a quella solitudine che conduce all’isolamento.    

Come non esprimere ora, a tutti i nostri sacerdoti, la mia gratitudine per il contributo di ciascuno a questo cammino ecclesiale!

In una società sempre più frammentata e individualista, anche noi presbiteri siamo chiamati a realizzare una testimonianza di valore, vivendo il testamento del Signore che invitava i suoi ad amarsi gli uni gli altri, incarnando un “noi” reale, una comunione capace di autenticare il ministero, restituendo autorevolezza ai nostri vissuti.

Nel congedarmi desidero dire il grazie della Chiesa alle vostre famiglie, prima culla del cammino vocazionale da voi percorso, e desidero consegnarvi questa preghiera a me cara. Da pochi giorni abbiamo festeggiato San Charles De Foucauld, fratel Carlo di Gesù. Con voi affido al Signore la vita di tutti noi, unendoci alla preghiera di Gesù sulla Croce, nostra luce e salvezza:

 

Padre mio,

io mi abbandono a te,

fa di me ciò che ti piace.

Qualunque cosa tu faccia di me

Ti ringrazio.

Sono pronto a tutto, accetto tutto.

La tua volontà si compia in me,

in tutte le tue creature.

Non desidero altro, mio Dio.

Affido l’anima mia alle tue mani

Te la dono mio Dio,

con tutto l’amore del mio cuore

perché ti amo,

ed è un bisogno del mio amore

di donarmi

di pormi nelle tue mani senza riserve

con infinita fiducia

perché Tu sei mio Padre.

Amen

Giuseppe Satriano

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