Come Anna, la profetessa dal cuore giovane e dagli occhi luminosi. – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

[ad_1]

Testimonianza di Marilena De Pietro ved. D’Amico,
al XXVII Congresso Eucaristico Nazionale – Matera 2022

Quando racconto la mia esperienza di vita, ripeto spesso che non ho grandi pretese: intendo solo comunicare alcune tappe del mio cammino di fede, del mio cammino di una solitudine con Dio che da oltre vent’anni ho accolto con coraggio, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.

Sono convinta che tutta la mia vita sia una risposta alla chiamata di Gesù Sposo, pur non sapendo dire bene da dove sia partito il mio desiderio di rispondere a questa chiamata. Eppure credo che il Signore lo abbia suscitato nel corso del tempo.

Nata e cresciuta molto serenamente in una famiglia cattolica, non ho avuto difficoltà ad inserirmi negli ambienti di vita cristiana che a Taurisano sono sempre stati molto attivi. Per gran parte del tempo mi sono misurata con i sogni dell’adolescenza e della giovinezza. A 19 anni ho incontrato Salvatore e dopo due di amicizia me ne sono innamorata, sino a sposarlo (otto anni dopo, il 1° maggio del 1999), con la felicità di chi si apriva a nuove prospettive: cambio di residenza, nuova casa, figli,… Purtroppo, però, dopo appena trenta giorni di matrimonio, in un incidente stradale banalissimo, mio marito perse la vita. Era lunedì 31 maggio 1999, quando lo salutai al mattino, mentre egli mi stringeva forte a sé in un accogliente, tenero abbraccio. Non l’ho più visto né sentito perché un camion l’ha travolto, uccidendolo sul colpo; solo nel pomeriggio avrei rivisto per l’ultima volta il suo volto sereno ed immobile che mi apriva al mistero della vita oltre la morte.

Davanti ad un’esperienza del genere, come ho sempre detto in passato, c’è poco altro da aggiungere, dal momento che, in situazioni come la mia, viene sconvolta l’apparente normalità che dava senso a tutto e le cose desiderate e costruite, vengono strappate via, in un attimo, senza spiegazione. Generalmente, si è soliti pensare che i lutti improvvisi siano fra le più grandi prove che le persone sono chiamate a sostenere, come sotto dei macigni. In parte ciò è vero. La vera sfida inizia, però, quando il dolore scende più in profondità, divenendo quasi un abito dell’esistenza. La folla non c’è più intorno e ci si ritrova soli.

In questa solitudine sono diventata adulta nella fede in Cristo, nella fede in Gesù Sposo, attraverso la Chiesa che mi ha aiutato a proclamare davanti al sepolcro di mio marito che la vita a lui non era tolta ma trasformata.

È iniziato, così, il mio viaggio a ritroso verso il Regno dei cieli: io e Salvatore siamo “una sola carne” e risorgeremo insieme nel corpo! Solo questo conta oggi per me. E se negli anni passati ho attraversato quella soglia, che molti conoscono, dalla quale viene messo tutto in discussione (l’amore, gli amici, persino il rapporto con Dio), oggi ho la piena consapevolezza che ogni giorno ricomincia un’esistenza diversa, ma ugualmente entusiasmante. Un’esistenza eucaristica.

Spesso dico, infatti, che è bello quando i fratelli vivono insieme ma è altrettanto bello quando si è soli con Dio: chi ama non resta fra le folle! Questo accade ogni volta che si ripete, per esempio, l’adorazione eucaristica personale, silenziosa. Caratterizzata da una struttura semplice e da brevi momenti di riflessione, questo tipo di preghiera diventa un’esperienza unica, consentendomi di dedicare del tempo prezioso alla meditazione e al riposo nel Signore, oltre che essere il modo più intenso per manifestare prossimità alla Chiesa ed ai Piccoli del Regno.

Mi soffermo, con Anna al tempio, su alcuni particolari del personaggio biblico caratterizzato da una vita lunga, ferita dal lutto dopo sette anni di matrimonio, imitandone lo sguardo del cuore, i digiuni e le preghiere. L’impegno della preghiera potrebbe, erroneamente, attirare le critiche di chi pensa che, anche nelle cose della fede, conta molto di più il lavoro concreto. Eppure, la relazione con Dio e la vita spirituale fanno parte della realtà concreta. La profetessa Anna testimonia che la dedizione totale a Dio, è la condizione per essere lampada che arde nel mondo. Ciò emerge prepotentemente nella vita cristiana e particolarmente nella vedovanza consacrata con il suo ministero specifico della speranza e della consolazione. E non è casuale che questo momento di preghiera si ripeta spesso per me nella Chiesa Cattedrale di Ugento, in cui l’adorazione si incastona nell’evoluzione stessa di una storia lunga secoli: non vi sono spazio e tempo migliori di quelli passati con il Signore in adorazione. Si ripete ogni volta il miracolo: la Cattedrale apre a me le porte ed io apro il mio cuore a Cristo. È questo il vero luogo di scambio che esprime il centro e il fondamento di una vita eucaristica, di una vita ecclesiale, facendo memoria del mistero della Chiesa, mistero che sono io stessa. Mi sia concesso dire che è come se io fossi davanti al Tabernacolo e dall’altro lato tutto il Paradiso: non ci separa nessuno. Anzi, ci uniscono la gioia, la lode, il sacrificio, l’amore, le persone che hanno bisogno della presenza di Dio accanto a loro. È tanto difficile quanto straordinario avvertire di essere stata scelta per un cammino così affascinante nel quale ho la possibilità di un “anticipo di tenerezza eterna” grazie al quale Dio mi allena a scelte più decisive e ben più coraggiose della vita. Vivere dell’Eucaristia vuol dire per me trovare ogni giorno la ragione dell’esistenza, riscoprendo la fonte della santità, il vincolo della comunione, la sorgente della carità e lo slancio della promozione umana particolarmente negli ambienti educativi in cui vivo ed opero al servizio delle giovani generazioni, nella scuola e nel seminario diocesano.

“Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro?”, dice Gesù in Lc 5. Cosicché scopro come un cammino di sponsalità coinvolga tutta la mia persona in anima e corpo: coinvolgo il mio corpo che sento e vivo, mettendomi in ascolto di ciò che comunica del mio modo di essere donna e sposa/vedova fedele, mettendomi al servizio della Chiesa per il bene dei fratelli. Una volta percepita questa ricchezza, con l’aiuto di Dio e di Maria Madre del Redentore, penso sia impossibile indietreggiare nel dialogo con me stessa e con gli altri, attraverso un corpo ed il suo linguaggio, nel senso più profondo di un cammino che accetta gli eventi della vita così come accadono e cerca di volgerli serenamente al bene nella vita dello Spirito, che è amore dato e ricevuto. Cosi sia.

[ad_2]

clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca