«Così sogniamo una Chiesa camper» — Arcidiocesi Bari-Bitonto

 
 

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Cè chi, come la diocesi di Bolzano-Bressanone, presenta una sintesi bilingue, 16 pagine in tutto, scritta in italiano e in tedesco: con apprezzabile chiarezza vengono elencati i problemi che i credenti stanno affrontando dentro e fuori il tempio; il tutto illuminato da una frase presa in prestito da una delle molte persone coinvolte: «Vorrei una Chiesa che abbracciasse di più, Ich würde mich nach einer Kirche sehnen, die mehr umarmt!». E c’è chi, si leggano i documenti della diocesi di Palermo, tra riflessioni dotte e  questioni aperte, riporta le richieste dei bambini e il loro candido stupore: «La domenica vorrei essere accolto dal Papa, se lui è impegnato, almeno dal parroco», chiede un alunno siciliano, e un altro, fino ad allora ignaro di cosa sia un confessionale: «Cos’è quella casetta vicino all’altare?». Non manca, infine, chi accetta la pena del contrappasso: la diocesi di Milano, per esempio, abituata a muoversi di corsa, fa  propria l’espressione usata da tanti («c’è un debito di ascolto» da saldare) e indugia sulla necessità di dedicare a tutti, sempre, tempo, attenzione e cuore.

Il Sinodo della Chiesa italiana entra nel vivo. Dal 13 al 15 maggio, a Roma, si sono confrontati 242 referenti diocesani (laici, sacerdoti, diaconi, suore e frati)  insieme con 12 vescovi delegati dalle Conferenze episcopali regionali. Dal 23 al 27 maggio, poi, l’argomento viene discusso dall’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana (Cei) convocata nella capitale.

«I circa 50 mila incontri svoltisi fin qui in tutta Italia confermano quanto sia frizzante il clima», sorride Vincenzo Corrado, 45 anni, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali  della Cei. «Questo rimboccarsi le maniche sta riattivando energie, alimentando entusiasmi che si  temevano perduti, ridonando certezze».

«Il carcere», prosegue Corrado, «è, tra i luoghi di sofferenza,  quello maggiormente scelto dalle comunità ecclesiali italiane per rendere fecondo il cammino sinodale.  Tra le altre, hanno deciso di dare voce ai detenuti le diocesi di Albenga-Imperia, Bari-Bitonto, Cagliari, Reggio Emilia-Guastalla, Verona e Palermo. La strada è un altro elemento suggestivo: hanno già sondato i “ragazzi della movida” Alba, Ariano Irpino, Bari-Bitonto, Chieti- Vasto. La diocesi siciliana di Caltagirone s’è affidata alla religiose attive sul campo per rendere protagoniste le donne costrette a prostituirsi, ascoltandone calvari e speranze. Molti coinvolgono gli ospedali (due nomi per tutti: Faenza-Modigliana e Tursi-Lagonegro). C’è chi punta (anche) sul dialogo ecumenico (Pinerolo, Melfi-Rapolla-Venosa e Ravenna- Cervia). Attraverso gli insegnanti di religione tutti o quasi hanno coinvolto alunni e studenti dalle elementari alle superiori. Due curiosità, infine. La diocesi di Sulmona ha messo a punto un gioco dell’oca ispirato al Sinodo. La diocesi di Gubbio ha attivato un vocal box al quale inviare, via WhatsApp, messaggi audio di due minuti al massimo».

Meno moralismo, più Bibbia

«C’è mancato il tempo per fare di più, avendo dovuto segnare il passo a causa del Covid e delle relative restrizioni; per fortuna il cammino sinodale va ancora avanti», osserva Anna Maria Tibaldi, 62 anni, maestra elementare in pensione da poco, con don Piero Racca, referente della diocesi
piemontese di Alba.
«Ci siamo sforzati di raccogliere senza filtri o censure quel che la gente pensa e si
aspetta dalla Chiesa. L’abbiamo fatto attivando circa 210 piccoli gruppi ad hoc, ai quali vanno sommati coloro che ci hanno consegnato contributi singoli (una quindicina), hanno accettato di rispondere (un centinaio, alcuni in forma anonima) al questionario on-line preparato col settimanale Gazzetta d’Alba o hanno riflettuto nell’ambito dell’associazionismo organizzato: Azione cattolica, Agesci, Centro sportivo italiano, gruppi biblici…».

«Avremmo voluto entrare di più nei bar, abbiamo sondato zone urbane (Alba) e ricevuto riflessioni da parecchie realtà delle Langhe e del Roero (Narzole e Cortemilia, per limitarci  a due esempi), abbiamo ascoltato bambini, giovani, adulti e anziani», sottolinea Anna Maria  Tibaldi: «Dalle risposte, tra le altre cose, emerge l’insofferenza verso un moralismo secondo tanti ancora troppo diffuso e  affiora il desiderio condiviso di riportare al centro della vita ecclesiale la Bibbia (meno parole, più Parola,  hanno detto molti)».

«Si torni a parlare il linguaggio della vita»

«Noi abbiamo coinvolto nell’ascolto anche i due monasteri di  clausura presenti nel nostro territorio, rendendo visibile ed esplicito ciò che è sempre dato per scontato», interviene Milena Libutti, 46 anni, che con don Giuseppe Vagnarelli è referente dell’arcidiocesi di Palermo. «Tramite gli oltre 850 gruppi sinodali, le associazioni e i movimenti abbiamo “ascoltato” più di 10 mila  persone, non tralasciando di andare in luoghi chiave della città, come Vucciria, Ballarò e Brancaccio, nei  luoghi dell’accoglienza agli ultimi, dentro case di cura, negozi e botteghe artigiane o dentro il carcere  Pagliarelli».

«La gioia più grande che serbo nel cuore?», si chiede Milena:  «Quell’“ oggi mi sono sentita di nuovo a casa” detto da una signora che in seguito a scelte  affettive si sentiva messa ai margini. Per il resto, alla Chiesa viene chiesto di essere quello che è  chiamata a essere, maestra di umanità e compagna di viaggio degli uomini e delle donne di oggi, capace  di parlare il linguaggio della vita: e se da un lato le si riconosce la capacità di essere vicina nel bisogno,  dall’altro le si “rimprovera” l’eccessiva burocratizzazione».

«La gente vuole una Chiesa che accoglie»

«Una riflessione ricorrente», conferma Annalisa Caputo, 51 anni, docente di filosofia teoretica all’Università di Bari, arcidiocesi per la quale è stata referente del cammino sinodale con don Enrico D’Abbicco. «Noi abbiamo ascoltato più di 13.700 persone, non tralasciando di andare nell’area dello shopping (via Sparano e dintorni), nella zona della movida giovanile e nei mercati di paese. Abbiamo condotto anche una consultazione tra le persone con disabilità intellettiva e siamo stati pure nel carcere minorile. Vista la nostra storia e la nostra vocazione, abbiamo attivato un tavolo ecumenico. Tutti ci hanno chiesto di continuare con questo stile. La Chiesa, è stato aggiunto da molti, dev’essere sempre più fraterna, più intergenerazionale, meno formale; deve imparare a lavorare meglio in rete sul territorio; deve farsi carico della sete di spiritualità di separati, divorziati e in genere di chi, per mille motivi non rientra nella categoria “classica” di famiglia».

«Siamo chiamati ad essere una Chiesa “camper”, che sa muoversi».

«Dobbiamo lasciarci ferire dalle domande e vedere cosa emerge dalla raccolta dei sogni e delle critiche», ha avuto modo di commentare monsignor Erio Castellucci, 61 anni, arcivescovo abate di Modena- Nonantola, vescovo di Carpi, vicepresidente Cei e membro del Gruppo di coordinamento nazionale del Cammino sinodale. «Siamo chiamati ad essere una Chiesa “camper”, che sa muoversi e accogliere».

Alberto Chiara

© www.famigliacristiana.it, venerdì 27 maggio 2022

 

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