Dio è pace, mai profanarlo con l’odio. Possibile incontro con Kirill — Arcidiocesi Bari-Bitonto

 
 

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«Abbiamo bisogno di religione per rispondere alla sete di pace del mondo… le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa». Così papa Francesco ha aperto il settimo congresso delle religioni mondiali e tradizionali a Nur-Sultan, dopo una preghiera in silenzio. Seduto accanto a ottantuno rappresentanti di diverse fedi provenienti da cinquanta paesi radunati attorno al tavolo della grande sala circolare nell’enorme edificio del Palazzo dell’indipendenza che ricorda il kerege, la struttura reticolare dell’abitazione mobile adottata da molti popoli nomadi dell’Asia, il Papa ha stigmatizzato il disprezzo e il sospetto nei confronti delle religioni.

È «l’ora di lasciare solo ai libri di storia i discorsi che per troppo tempo, qui e altrove, hanno inculcato sospetto e disprezzo nei riguardi della religione, – ha affermato – quasi fosse un fattore di destabilizzazione della società moderna». Ha quindi ribadito qual è la vocazione delle religioni: «Sono chiamate a stare in prima linea, ad essere promotrici di unità di fronte a prove che rischiano di dividere ancora di più la famiglia umana». E ha chiamato i credenti a prendersi cura dell’umanità in tutte le sue dimensioni, come «artigiani di comunione, testimoni di una collaborazione che superi gli steccati delle proprie appartenenze comunitarie, etniche, nazionali e religiose». Per il Papa è inammissibile pertanto relegare alla sfera del privato «il credo più importante della vita», significa privare la società di «una ricchezza immensa», che al contrario favorisce «contesti dove si respira una rispettosa convivenza delle diversità religiose, etniche e culturali è il modo migliore per valorizzare i tratti specifici di ciascuno, di unire gli esseri umani senza uniformarli, di promuoverne le aspirazioni più alte senza tarparne lo slancio».

Da qui il riconoscimento «del valore immortale della religione» che il Kazakhstan promuove, ospitando da un ventennio questo Congresso di rilevanza mondiale. E che oggi porta a riflettere sul «nostro ruolo nello sviluppo spirituale e sociale dell’umanità durante il periodo post-pandemico». Il Congresso a Nur-Sultan, già Astana, si è infatti svolto per la prima volta nel 2003, su iniziativa del primo Presidente della Repubblica del Kazakhstan, Nursultan Abishevich Nazarbayev. È stato un evento unico, perché, per la prima volta, ha visto i rappresentanti dell’intero mondo religioso riunirsi attorno ad un unico tavolo, allo scopo di trovare punti di riferimento comuni per creare un’istituzione internazionale permanente, garantire il dialogo interreligioso e un processo decisionale coordinato. Da allora, tutti i Congressi che si sono susseguiti, ogni tre anni, hanno visto la partecipazione di leader e rappresentanti di spicco islamici, cristiani, ebrei, buddisti, shintoisti, taoisti e di altre religioni tradizionali, e, alla fine di ogni incontro, la pubblicazione di un documento conclusivo congiunto con appelli rivolti ai cittadini, ai popoli e ai governi del Paesi del mondo. Al centro, sempre la promozione del dialogo interreligioso per il bene della pace e dello sviluppo e il ruolo dei leader religiosi nel rafforzamento della sicurezza internazionale.

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L’appuntamento odierno a Nur Sultan, che vede per la prima volta la partecipazione di un Pontefice, per aiutare a risolvere i conflitti del mondo ha quindi un’importanza nel tracciare una direzione per attraversare le crisi odierne. Nel suo discorso, che ha pronunciato dopo quello del presidente kazako Kassym- Jomart K. Tokayev, papa Francesco ha elencato quattro sfide globali. La prima la pandemia, tra vulnerabilità e cura, che richiama tutti – ma in modo speciale le religioni – a una maggiore unità d’intenti. E richiama ad essere solidali «testimoni di collaborazione», «artigiani di comunione» oltre gli steccati. Non è solo una via per essere più sensibili e solidali – ha detto il Papa – ma un percorso di guarigione per le nostre società. Sì, perché è proprio l’indigenza a permettere il dilagare di epidemie e di altri grandi mali che prosperano sui terreni del disagio e delle disuguaglianze. Il maggior fattore di rischio dei nostri tempi permane la povertà».

Questo porta alla seconda sfida planetaria che interpella in modo particolare i credenti: la sfida della pace. Se negli ultimi decenni il dialogo tra i responsabili delle religioni ha riguardato soprattutto questa tematica, «i nostri giorni – ha detto il Papa – «sono ancora segnati dalla piaga della guerra, da un clima di esasperati confronti, dall’incapacità di fare un passo indietro e tendere la mano all’altro». La voce del Papa al Congresso chiede di purificarsi «dalla presunzione di sentirci giusti e di non avere nulla da imparare dagli altri», di iberarsi da quelle concezioni riduttive e rovinose «che offendono il nome di Dio attraverso rigidità, estremismi e fondamentalismi, e lo profanano mediante l’odio, il fanatismo e il terrorismo, sfigurando anche l’immagine dell’uomo». Perché, ribadisce il Papa, «Dio è pace e conduce sempre alla pace, mai alla guerra».

E sollecita a impegnarsi ancora di più, a promuovere e rafforzare la necessità che i conflitti si risolvano «non con le inconcludenti ragioni della forza, con le armi e le minacce, ma con gli unici mezzi benedetti dal Cielo e degni dell’uomo: l’incontro, il dialogo, le trattative pazienti, che si portano avanti pensando in particolare ai bambini e alle giovani generazioni». Queste per papa Francesco incarnano «la speranza che la pace non sia il fragile risultato di affannosi negoziati, ma il frutto di un impegno educativo costante, che promuova i loro sogni di sviluppo e di futuro!». Un’ultima sfida globale che interpella le religioni è la custodia della casa comune. Di fronte agli stravolgimenti climatici – riafferma papa Francesco – occorre proteggerla, perché non sia «assoggettata alle logiche del guadagno, ma preservata per le generazioni future, a lode del Creatore».

E conclude con l’invocazione che «l’Altissimo ci liberi dalle ombre del sospetto e della falsità; ci conceda di coltivare amicizie solari e fraterne, attraverso il dialogo frequente e la luminosa sincerità delle intenzioni. Non cerchiamo finti sincretismi concilianti, ma custodiamo le nostre identità aperti al coraggio dell’alterità, all’incontro fraterno». Nella sede del Ministero degli Affari Esteri della capitale Nur-Sultan, nel frattempo è stato sottoscritto un Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica del Kazakhstan, che consolida ulteriormente i vincoli di amicizia e di collaborazione tra le due parti già esistenti dal 1998. Centootto le delegazioni presenti nell’affollata sala blu del Palazzo dell’Indipendenza. Solamente sei le donne attorno al tavolo. Dopo la foto di gruppo, Papa Francesco ha incontrato, in forma privata, alcuni leader religiosi, tra i quali il grande imam di Al-Azar, Muhammad Al Tayyeb, David Lau, Rabbino capo Askanezita d’Israele e il metropolita Antonij di Volokolamsk, con il quale papa Francesco si è intrattenuto in un incontro che è durato 15 minuti. Un incontro nel quale il Papa ha mandato i saluti al patriarca di Mosca Kirill.

Il metropolita ha parlato della presenza numerosa della Chiesa russa in Kazakhstan e della possibilità di un incontro del Papa con Kirill: «C’è la possibilità di un incontro – ha affermato il metropolita Antonij – ma deve essere ben preparato. Noi eravamo pronti per questo incontro a Gerusalemme che è stato poi cancellato dalla Santa Sede. Noi siamo convinti che l’incontro tra il Patriarca e il Papa è molto importante. Dobbiamo vedere dove e quando farlo e dovrà concludersi con un documento come abbiamo fatto a L’Avana. È molto importante che i due leader cristiani continuino questo cammino per aiutare la gente».

Stefania Falasca, inviata in Kazakistan

© Avvenire, mercoledì 14 settembre 2022

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