HA ANTICIPATO IL SUO FUTURO – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia del Card. Marcello Semeraro per la venerabilità del Servo di Dio Antonio Bello,
chiesa SS. Salvatore, Alessano, 16 gennaio 2022.

Permettete, carissimi fratelli e sorelle, che il saluto pasquale col quale ho aperto il nostro incontro e ci ha costituiti in assemblea eucaristica, diventi, adesso, anche il saluto di un amico, che è tornato in questa terra del Salento che è pure sua. Saluto, dunque, il carissimo vescovo mons. Vito Angiuli, che ringrazio per l’invito rivoltomi. Con lui cordialmente saluto gli altri fratelli arcivescovi e vescovi presenti e il Presbiterio, dove riconosco volti conosciuti. Idealmente abbraccio tutti, riservando un saluto speciale. alla famiglia di d. Tonino (come tutti amiamo chiamarlo), a quanti operano perché la sua memoria sia conservata nella sua nativa freschezza, alle Autorità locali che, nell’esercizio delle proprie responsabilità, promuovono e custodiscono il bene comune. 

Permettete pure che inizi la mia Omelia col ricordo dell’ultimo mio incontro con d. Tonino, avvenuto qui ad Alessano nel febbraio 1993, quando venimmo, mons. Donato Negro (ora venerato arcivescovo di Otranto, ma allora rettore del Seminario Regionale) [venimmo lui] ed io, a salutarlo in quei giorni di degenza, che egli sperava gli fossero d’aiuto nella ripresa fisica. Tra gli apoftegmi degli antichi padri del deserto ce n’è uno dove si racconta che «tre padri avevano l’abitudine di andare ogni anno dal beato Antonio e due di loro lo interrogavano sui pensieri e sulla salvezza dell’anima; il terzo invece sempre taceva e non chiedeva nulla. Dopo lungo tempo, il padre Antonio gli dice: “È tanto ormai che vieni qui e non mi chiedi nulla”. Gli rispose: “A me padre, basta il solo vederti” (Alf., Antonio 27). Ebbene, anche noi venimmo qui, quel pomeriggio, solo per vederlo, e – conoscendo le sue condizioni fisiche – anche un po’ timorosi di poterlo affaticare.

Lo incontrammo seduto nel suo piccolo letto, in vestaglia e intento a correggere le ultime bozze di Maria, donna dei nostri giorni. Sapevamo bene quanto fosse accurato nello scrivere ed egli, sorridendo, ce lo disse pure, preoccupato di consegnare in tempo il manoscritto all’editore, sicché l’opera fosse pronta per il successivo mese mariano di maggio. Ci disse fra l’altro che era sua intenzione tornare presto a Molfetta. «Un vescovo – disse – deve morire tra i suoi figli, dove il Signore lo ha collocato». Morì dopo due mesi; «come i Patriarchi e gli antichi Padri», disse l’arcivescovo Mariano Magrassi – anch’egli di venerata memoria – nell’Omelia durante la liturgia esequiale celebrata sul porto di Molfetta in un luminoso pomeriggio primaverile.

Ora sono di nuovo qui con tutti voi ad Alessano, nella Chiesa di Ugento-Santa Maria di Leuca. Provvidenzialmente – quale Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi – in questi ultimi mesi mi è accaduto per due volte di presentare al Santo Padre una figura del nostro Salento perché mettesse il suo sigillo sull’esercizio in forma «eroica» – come suole dirsi in linguaggio canonico – delle virtù e desse spazio al prosieguo dell’iter per la beatificazione e la canonizzazione secondo i requisiti richiesti. Una è Sr. Elisa Martinez, fondatrice delle Figlie di Santa Maria di Leuca e l’altro è, appunto, d. Tonino. Alla radice di entrambi c’è un vescovo, che è doveroso ricordare: mons. Giuseppe Ruotolo, «un uomo che con la santità aveva a che fare sul serio e provocatore di virtù», scrisse mons. Bello in un’appassionata testimonianza (cf. Scritti, VI, 330-344). Per questo, prima di giungere qui, stamani ho voluto, nel Santuario di Leuca, sostare in preghiera davanti alla sua tomba, come davanti a quella dell’arcivescovo Mario Miglietta, cui sono interiormente e per più ragioni legato. 

Nessun santo è un’isola, si potrebbe dire parafrasando una ben nota espressione, ed io amo ripetere che i santi, in un modo o nell’altro, si incontrano. L’estremo Salento ha bisogno di speranze e di santi, disse una volta don Tonino (cf. Scritti, VI, 341). E noi amiamo sperare che dalla sua testimonianza nascano santi che rendano ancora più bella e luminosa questa nostra meravigliosa penisola salentina. Sotto questo punto di vista il nostro/il vostro d. Tonino è stato un profeta. E profeti non sono quelli che predicono il futuro, ma quelli che lo anticipano

È la chiave di lettura che egli scelse per contemplare il mistero che oggi la lettura della pagina del vangelo ha dispiegato alla nostra attenzione: una festa di nozze a Cana di Galilea, dove gli sposi stranamente non compaiono, ma al loro posto sovrabbonda il vino, che indica le benedizioni dell’Alleanza promessa da Dio a Israele, è segno di gioia e festosità, perfino di comunione con Dio, perché il cuore di chi lo contempla gioisce «come inebriato dal vino» (Zc 10,7). Trabocca il vino, che è la bevanda della mensa escatologica, quando il Signore preparerà per tutti i popoli «un banchetto di vini eccellenti» (Is 25,6). 

Vedete, negli scritti di mons. Bello, quante volte e in quanti contesti appare la parola gioia. Anche per aprire il vangelo di Cana egli ricorse a questa chiave e la pose in mano a Maria, considerata in questo servizio, icona della Chiesa. «Essa ci dice: “Coraggio! Non abbiate paura. Nella casa del Padre io sono la Regina e la dispensiera. Faccio tavola io. Che, manca il vino? Manca la festa? La faccio scaturire io! Manca la speranza? la gioia? Farò dilagare l’una e l’altra sulla vostra mensa. Avvicinatevi, vi accolgo io a tavola. Venite. Vi apro la porta io. Sono una creatura come voi, sì, ma Dio mi ha costituita primizia di ciò che tutti voi un giorno sarete”» (Scritti, II, 166). 

Così a Molfetta, parlando ai marittimi nel 1988, alla vigilia di un Congresso mariano e poi, in altra circostanza dello stesso anno, disse: «Il compito della Chiesa oggi è quello: anticipare la Pasqua, anticipare i segni del regno, la speranza. È inutile che continuiamo a lamentarci sul mondo che va male, che va a rotoli. Molte volte siamo incapaci di sussulti di speranza. Non diamo a questo mondo supplementi d’anima, come ha fatto Maria che ha visto che la gioia ormai boccheggiava in quel banchetto, e allora ha procurato la festa col suo intervento. La Chiesa deve fare questo. Raggiungere la città oggi significa raggiungere le periferie, dove la gente soffre, muore, si dispera, raggiungere anche le strutture e le istituzioni pubbliche. Questa è la diaconia, il servizio più forte che dobbiamo dare alla città, al mondo che se n’è andato per i fatti suoi, forse perché si è troppo annoiato dei nostri lamenti, perché ci ha visti troppo tristi, perché ci ha visti sempre imprecare contro tutto ciò che è vita, gioia, giovinezza, stupore» (Scritti, III, 50-51). 

Questo è profezia: anticipazione. Lo stesso don Tonino è stato questa anticipazione. «Al vescovo tocca il compito del profeta», disse una volta (cf. Scritti, VI, 327) e questo egli non lo ha sentito solo come responsabilità, ma lo ha vissuto come compito: con la parola, con le scelte, da ultimo con l’accoglienza del dolore e della morte. Per questo, papa Francesco, venendo qui il 20 aprile 2018, lo chiamò «profeta di speranza». «In ogni epoca – disse – il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata». 

Siate, allora, carissimi, non soltanto i custodi della sua tomba, ma ancora di più gli eredi delle sue speranze e i testimoni della sua profezia. Per questo ci sono i santi; per questo la Chiesa porta sugli altari alcuni suoi figli e figlie. Benedetto XVI diceva che i santi sono «uomini e donne che con la loro fede, con la loro carità, con la loro vita sono stati dei fari per tante generazioni, e lo sono anche per noi» (Udienza del 13 aprile 2011). Qui, in finibus terrae, don Tonino vi sia ricordato anche dal bianco faro, che a Leuca, guardando l’Oriente, s’innalza accanto all’amato santuario di Santa Maria, «donna del vino nuovo» (cf. Scritti, III, 30ss).

Alessano, Chiesa Collegiata SS.mo Salvatore, 16 gennaio 2022
Marcello Card. Semeraro

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