LA’ DOVE L’ADRIATICO SI FONDE CON LO JONIO… di GIUSEPPE RUSCONI – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Il Papa a Santa Maria di Leuca

tra storia e speranze

Giù giù nel Salento, Alessano, la campagna, la macchia mediterranea, la grande curva. Ti si mozza il fiato per la bellezza di quanto ti appare davanti agli occhi: a sinistra un faro, una croce, un santuario; davanti e a destra uno stupendo anfiteatro naturale con l’azzurro del mare, il bianco delle case, il grigio della roccia, il verde di ulivi e tamerici. Siamo proprio in fondo in fondo al Salento, là dove le onde dell’Adriatico si fondono con quelle dello Jonio, sotto la protezione di Santa Maria de Finibus Terrae. Un santuario antico che affonda le radici in tempi in cui Roma era ancora pagana; poi con l’arrivo dei primi cristiani (San Pietro, dice la tradizione) ha trionfato la devozione mariana. Lì, al limite del territorio romano in cui si era chiamati cives: al di là del mare si era provinciales. Nella storia successiva il santuario di Santa Maria di Leuca è posto spesso come baluardo cristiano contro i saraceni in vesti diverse, ma sempre piratesche: turchi, tripolini, barbareschi, algerini. Distrutto e ricostruito più volte, ai nostri giorni è diventato simbolo più che di un difendersi, di un affacciarsi verso un mare non più nostrum, crogiuolo di culture diverse, solcato da venti impetuosi dell’immigrazione e dai bagliori di guerre rivierasche. Un affacciarsi sorretto dalla speranza nel dialogo tra identità forti e rispettose l’una dell’altra, condizioni queste fondamentali, per una convivenza reciproca che arricchisca tutti gli interlocutori. Poiché l’identità debole stimola i cattivi istinti di chi ci sta di fronte, la mancanza di rispetto è foriera di scontri e non di confronti.

È proprio qui che papa Benedetto è voluto venire, accogliendo l’invito di monsignor Vito de Grisantis, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca. A Brindisi (a 919 anni dalla visita di Urbano II), ma sostando a Leuca, che aveva avuto fin qui ospiti due Papi: Giulio I nel 343 e Costantino I nel 710.

Un’attesa in bianco e giallo

Scendendo dopo la curva- è il tardo pomeriggio di venerdì 12 giugno- ed entrando a Leuca, notiamo subito l’asfalto fresco, poi donne e ragazze che stendono i festoni da un lato all’altro della strada, da balcone a balcone. Leuca è tutta di bianco-giallo vestita; fioriscono gli striscioni artigianali di benvenuto, mentre i manifesti ufficiali dilagano sui muri. Sul lungomare gran lavoro di operai: stanno finendo di piantare palme washington offerte dalle città pugliesi (scorgiamo anche la targa di Gallipoli), che troveranno posto accanto alle tradizionali tamerici. È sorta, vivace di colori, un’aiuola nuova, con la scritta S.Maria di Leuca, alla biforcazione del lungomare. Tanta polizia, tanti scout. In giro si respira un’aria di grande attesa per l’evento che è, almeno qui a Leuca, più importante di Italia-Francia, pur seguita da molti coi nasi incollati agli schermi.

Un santuario che offre tanti stimoli di riflessione

Dopo la partita si anima il lungomare… in fondo c’è una passerella che conduce al porto. E lì ci aspetta una bella salita, quella della scenografica scalinata dell’acquedotto pugliese costruita nel 1939. Deliziosi i profumi mediterranei, ma tanti e duri i gradoni, debordante l’umidità… finalmente eccoci davanti al piazzale, su cui fervono i lavori: c’è da risistemare il palco danneggiato la notte prima da una forte raffica di vento. Svetta una Croce fabbricata per l’occasione, a poca distanza da quella storica eretta nel 1901, per un grandioso pellegrinaggio mariano. Il santuario si presenta con una facciata tipica di un palazzo fortificato, una ristrutturazione voluta nella prima metà del settecento dal vescovo Giovanni Giannelli, onde attenuare il rischio che dal mare i saraceni identificassero come tale il santuario. Riusciamo ad entrare: alcune Figlie di Santa Maria di Leuca vi si muovono quali api operose tra fiori e arredi sacri. Sopra l’altare il quadro della Madonna o almeno quello che è restato del dipinto cinquecentesco di Giacomo Palma il Giovane, dopo che – come si legge nella traduzione italiana della relazione del 15 dicembre 1624 del vescovo di Ugento Nicola Spinelli – il 19 giugno precedente la chiesa “fu messa a sacco e fuoco dai soldati turchi, spogliata e depredata di tutti i vasi sacri, dei paramenti e di tutti i mobili esistenti nella stessa chiesa per un valore di circa mille ducati”. Tuttavia osserva, in un’altra relazione di quattro anni dopo, il visitatore apostolico Andrea Pierbenedetti, “è mirabile che avendo strappato (i turchi, per la precisione corsari algerini a bordo di tredici feluche) tutta l’immagine della B.V.M. e gettata nel fuoco, rimase illesa la faccia, benché fosse stata squarciata”. Sulla destra dell’altare un forte segno di speranza, recente: un Cristo risorto sospeso sulla Croce.

In una cappella laterale una statua della Madonna con Bambino molto venerata, opera di fine ottocento del maestro Manzo. Nell’atrio alcune lapidi “storiche” e una preghiera incisa su marmo composta da monsignor Tonino Bello: Santa Maria, donna dell’ultima ora, disponici al grande viaggio, aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura. Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto. Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere sulla frontiera. Aiutaci a saldare con i segni del pentimento e con la richiesta le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio. Procuraci tu stessa i benedici dell’amnistia di cui Egli largheggia con regale misericordia. Metti in regola le carte, poichè, giunti alla porta del Paradiso, essa si spalanchi al nostro bussare.

Uscendo, incontriamo monsignor Giuseppe Stendardo, rettore del santuario (che è dal 1990 Basilica minore, grazie a Giovanni Paolo II), poi il suo viceparroco, già missionario in Mozambico.

Nel bar un viavai di volontari e uomini del servizio d’ordine… di panini ne sono stati preparati non meno di 2 mila! Prima di entrare in sala stampa, ecco monsignor De Grisantis, comprensibilmente preoccupato che tutto fili a pennello il giorno dopo. Volentieri sfogliamo gli ultimi dei cinque quaderni belli e interessanti prodotti in preparazione alla visita a cura dello storico francescano padre Antonio Corrado Morciano, ci provvediamo anche del periodico Paese Nostro, che apre con “Benedetto XVI – La gente del Salento ti accoglie a braccia aperte”.

Usciamo sul piazzale, i lavori continuano e ridiscendiamo per la strada provinciale; i posti di blocco non mancano, le transenne sono già sistemate, ferve l’ultima messa a punto.

C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria

Il gran giorno è venuto, è sabato 13 giugno: fin dal primo mattino sul lungomare si respira un’aria festosa. Scout e volontari distribuiscono i cappellini bianchi o gialli della visita, dai grandi schermi le immagini di celebrazioni salesiane con relative musiche sacre, al porto ecco le oltre 7000 sedie non più accatastate. Davanti alla chiesa di Cristo Re (novecentesca, con bei mosaici moderni) un gazebo della Croce Rossa, con tanto di vessillo, in cui alla Croce si accompagna la mezzaluna: il tutto sventola su un fondo di “viva la Madonna”, bandiere vaticane, bandiera italiana. Presso il portale in vendita graziosi sacchetti rossi contenenti un mini-libro argentato su cui è inciso il “Padre nostro”. Poco successo per il kit “papale” (con cappellino, maglietta e bandierina) che alcuni privati offrono un pò più in là e sul lungomare per dieci euro.

A mezzogiorno al porto c’è già gran fermento di giovani soprattutto. Sopra, sul piazzale del santuario, i posti sono poco più di 4000, riservati in particolare ai rappresentanti di parrocchie, congregazioni, associazioni: l’età media non è bassa. Tanti gli striscioni che sventolano dal loggiato della basilica. Tra le prime a prendere posto le “padrone” di casa, le Figlie biancazzurre di S. Maria di Leuca (fondate sessant’anni fa da madre Elisa Martinez di Galatina e accompagnate con il riconoscimento diocesano dal vescovo Giuseppe Ruotolo nel 1941, due anni prima del riconoscimento pontificio): sorridenti, hanno una tale voglia di vedere il Papa che si sottomettono al sole che ormai picchia sul sagrato. Don Giosy Cento si sforza di motivare al canto e al movimento la folla di fedeli che s’è fatta molto consistente; ma non è compito facile. Chi è stato scelto per le letture, per l’offerta dei doni o chi è stato sorteggiato per ricevere (in ginocchio) la comunione dalla mano di Benedetto XVI “ripassa”- sotto l’occhio attento dei cerimonieri e in particolare di monsignor Guido Marini- i movimenti giusti. Intanto sono giunti il cardinale Salvatore De Giorgi e diversi vescovi pugliesi, altri da Roma. La folla ha ormai riempito il piazzale ed è impaziente.

Primo falso allarme alle cinque meno cinque, con gran sventolio di bandiere vaticane; secondo alle cinque e cinque, ma il ronzio non è ancora quello giusto. Finalmente alle cinque e dodici, ecco un elicottero bianco che plana sopra Leuca e il santuario, posandosi sul tappeto verde steso a Punta Ristola: è lui, Benedetto XVI! Risuona il frisiniano Jesus Christ you are my life, le braccia cercano il cielo, gli sguardi vorrebbero penetrare dentro la carlinga per trovare l’amico.

Dal mare gli echi dei botti, mentre le sirene delle barche dei pescatori si preparano ad accompagnare la papamobile.

Dalla nostra postazione, ai margini del piazzale e ai bordi dello sperone, si intravede il corteo papale, che percorre il lungomare, sfila davanti alle ville style liberty, sosta al porto (qui si individua la folla in prevalenza giovanile ondeggiante nell’abbraccio, che scandisce “Bene-detto, Bene-detto”), risale e – annunciato dai movimenti dei fedeli, preceduto dalla sicurezza – svolta dopo l’ingresso del piazzale, passa davanti alla grande Croce del 1901: la folla è calorosissima, un mare di teste bianco e gialle, un grande coro da curva nord o sud, come si preferisce.

Il saluto del vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca

Il Papa entra in basilica dalla porta centrale, la Ianua coeli, adora il Santissimo, si raccoglie davanti all’immagine della Vergine, indossa in sacrestia i paramenti (da notare la casula con il simbolo dell’ulivo), ritorna sul piazzale, accolto dal tripudio popolare. Nel saluto- ricco di contenuti “forti”- monsignor De Grisantis evoca la tradizione che attribuisce a Pietro l’evangelizzazione dei luoghi: “Indipendentemente dalla fondatezza storica, riveste una grande importanza il fatto che la nostra gente intende con ciò far risalire la propria fede alla predicazione di Pietro”. Altra evocazione quella della fede delle prime comunità cristiane, che “ha affrontato e abbattuto qui il paganesimo rappresentato dal tempio alla dea Minerva, che si ergeva maestoso su questa punta di terra, sostituendolo con un santuario dedicato alla Vergine Maria, stella del mare e della evangelizzazione”. Con tale spirito, pervasi da una fede “resa sempre più adulta e pensata”, anche i cristiani di oggi sapranno affrontare “la sfida del secolarismo e del relativismo dottrinale ed etico”. Il vescovo di Ugento non poteva poi dimenticare l’insegnamento e l’esempio di monsignor Tonino Bello (di cui si è avviata da poco la causa di canonizzazione), che definiva la Vergine di Leuca come “Donna di frontiera”, perché “tesa non a separare, ma a congiungere mondi diversi”: essa “guarda ad Oriente e pertanto si pone come ponte tra Oriente ed Occidente, richiama e manifesta la vocazione della nostra terra ad essere terra di comunione tra tutti i credenti in Cristo e terra di incontro e di dialogo con tutti i popoli del Mediterraneo”.

Monsignor De Grisantis ha infine ricordato il dramma della disoccupazione giovanile, in una regione d’Italia che abbisogna di “un ulteriore e più rapido sviluppo sociale, civile ed economico”.

L’omelia di Benedetto XVI

Intenso è l’applauso della folla, che si ripete all’inizio dell’omelia papale, quando Benedetto XVI saluta, citandoli, i vescovi De Grisantis e Ruppi, oltre alle autorità civili e militari. L’omelia è accolta invece in silenzio, con grande attenzione. Papa Ratzinger ha voluto una liturgia “dedicata a Lei, Stella del mare e Stella della speranza”, in un luogo “storicamente così importante per il culto della Beata Vergine Maria”. Nel santuario la fede di Maria si coniuga con quella di Pietro, “cui la tradizione fa risalire il primo annuncio del Vangelo in questa terra”. L’appellativo de Finibus Terrae “è molto bello e suggestivo, perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli”. Del resto il santuario “ci ricorda che la chiesa non ha confini, è universale”. La Chiesa “è nata a Pentecoste” e “i confini geografici, culturali, etnici, addirittura i confini religiosi sono per essa un invito all’evangelizzazione nella prospettiva della comunione delle diversità. Data la sua localizzazione, la Chiesa in Puglia “possiede una spiccata vocazione ad essere ponte tra popoli e culture, (…) avamposto in tale direzione”. Forse qui il Papa pensava anche all’eredità bizantina del Salento, con i monaci basiliani presenti per diversi secoli fino al XVI. Tuttavia, ha ammonito Benedetto XVI, “a nulla vale proiettarsi fino ai confini della terra, se prima non ci si vuole bene e non ci si aiuta gli uni con gli altri all’interno della comunità cristiana”. In un mondo sempre più individualista, siate riconoscibili “anche per il vostro servizio di animazione della realtà sociale”, ha proseguito. Tanto più necessaria nel Salento (“come in tutto il meridione d’Italia”), dove “le Comunità ecclesiali sono luoghi in cui le giovani generazioni possono imparare la speranza, non come utopia, ma come fiducia tenace nella forza del bene” ed essere portatrici di un “rinnovamento sociale cristiano, basato sulla trasformazione delle coscienze, sulla formazione morale, sulla preghiera”. Infine, ricordati i meriti dei monaci basiliani per la loro devozione alla Theotokos, il Papa ha invocato la stessa Madre di Dio: “Allargando lo sguardo all’orizzonte dove cielo e mare si congiungono, vogliamo affidarti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo e quelli del mondo intero, invocando per tutti sviluppo e pace: Donaci giorni di pace,/veglia sul nostro cammino,/ fa’ che vediamo il tuo figlio,/ pieni di gioia nel cielo. Amen”.

Qualche nuvola porta un po’ di sollievo. Ma si avvicina il tempo dell’arrivederci. I colori del tramonto riempiono il cielo. L’inno conclusivo a Santa Maria de finibus terrae, mentre il Papa saluta i disabili e risponde alle acclamazioni della folla. Poi se ne va. Scende al porto, si riemerge nel popolo in attesa fremente, prosegue sul lungomare. Intanto zampilla eccezionalmente la cascata dell’acquedotto pugliese. Decolla l’elicottero, tra lo sventolio irrefrenabile di bandiere e fazzoletti. Brindisi attende papa Ratzinger: lo accoglieranno in serata migliaia di giovani, guidati dall’arcivescovo Rocco Talucci. E il giorno dopo in 70 mila lo festeggeranno e l’ascolteranno nel piazzale di un porto particolarmente significativo per l’ecumenismo e la socialità. Da Santa Maria di Leuca i pellegrini ritornano alle loro case, stanchi di sicuro (per il caldo, per la lunghezza dei percorsi prescritti a piedi, per le emozioni provate), ma entusiasti nel cuore. Anche noi ripassiamo a Punta Ristola e imbocchiamo la litoranea, dove restano le torri (Torre Vado, Torre Mozza) e l’uso dell’aggettivo per residences e villaggi turistici (Cala Saracena, a Lido Marini l’Arco del saracino) ad evocare memorie corsare. Oggi invece – pur tra non pochi fatti inquietanti – è il tempo della speranza, del dialogo tra identità forti. Nel segno del messaggio lanciato da Benedetto XVI dall’alto del promontorio.

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