La memoria si fa Storia – Luce e vita

 
 

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Una sorta di “puzzle dei ricordi”, una lunga e piacevolissima chiacchierata quella che ho intrattenuto con Pippi, come mons. Giuseppe De Candia (nella foto) mi ha confidato era solito chiamarlo don Tonino, con quella confidenza e familiarità nata ai tempi in cui entrambi frequentavano il Liceo nel seminario regionale qui a Molfetta, condividendo studio, preghiera e … accese partite di calcio. Un “puzzle dei ricordi” in cui le tessere sono stati gli aneddoti di un sacerdote, allora cinquantenne, e i miei ricordi, allora giovinetto, dell’epoca in cui ci preparavamo a vivere l’ingresso del nuovo vescovo in diocesi quarant’anni fa. 

Don Giuseppe, all’epoca vicario parrocchiale in Cattedrale a Molfetta, oltre che padre spirituale alla chiesa del Purgatorio, sempre a Molfetta, è riuscito a restituire a me, all’epoca ragazzino impegnato nel percorso di iniziazione cristiana, con tanti piccoli aneddoti l’atmosfera che la Chiesa di Molfetta viveva agli inizi di quegli anni ’80, anni in cui il rinnovamento conciliare aveva cominciato a far sentire la sua ventata di novità che nella nostra chiesa diocesana si era concretizzata, prima che in altre diocesi, anche nel rinnovamento della liturgia, anche sulla spinta pastorale della lunga e sapiente guida di Mons. Salvucci e dei vescovi che lo avevano coadiuvato negli ultimi anni del suo ministero episcopale, Mons. Todisco e Mons. Garzia. 

Tre piccole diocesi, Molfetta – Giovinazzo – Terlizzi (e poi anche Ruvo), attanagliate dai problemi sociali del tempo e non particolarmente ricche dal punto di vista economico, che il vescovo nominato, don Tonino, torna a visitare, racconta don Giuseppe, prima della sua consacrazione, con l’urgenza dell’innamorato che vuole vedere la sua “fidanzata”, come don Tonino stesso definisce la diocesi delle quali è stato chiamato ad essere pastore. Nel tranquillo e ordinario svolgersi della vita pastorale la comunità si preparava all’accoglienza del suo pastore con la preghiera e la preparazione logistica, oltre che liturgica, dell’evento, inconsapevole che il soffio dello Spirito l’avrebbe spinta, grazie al suo giovane pastore, a diventare sempre più Chiesa secondo lo spirito conciliare, aperta al mondo perché in ascolto del Suo Signore, attenta al povero perché in esso Lo avrebbe riconosciuto e incontrato. 

Sull’onda dei ricordi don Giuseppe mi racconta di un don Tonino alla ricerca di un “linguaggio” per entrare nel cuore del popolo che gli è affidato, linguaggio che presto troverà, oltre che nella sua innata empatia, nell’attenzione a ciascuna delle persone incontrate. 

La vicinanza con quanti vivono la marginalità o la sofferenza di situazioni di forte disagio sarà la cifra – oggi lo sappiamo – del suo ministero pastorale e che diviene progetto pastorale nel suo Insieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi. Ma è in un viaggio in Australia a Port Pirie, durante la visita pastorale agli immigrati molfettesi, che quel “linguaggio” cercato da don Tonino – racconta sempre don Giuseppe – trova una dimensione che per noi è iconica di don Tonino stesso e vale a dire quello stare in mezzo alla gente anche con lo spirito lieto di chi, trovata una fisarmonica, improvvisa canti e fa festa. 

Il ministero di don Tonino è stato ponte tra il fare festa di chi si ritrova insieme, per vivere e celebrare la festa umana e quella di Dio, e la ricerca di chi quella festa non riesce più a viverla perché ha finito il pane o non ha più una tenda. Così assicura, sin da subito, a quanti lo attendevano in diocesi, di voler spartire il pane e la tenda, anzi di voler fare in modo che la nostra tenda e il nostro pane fossero disponibili per quanti, dispersi o sbrancati, avremmo incontrato nel nostro viaggio. 

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