Le difficoltà dei ragazzi in una società senza radici – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Articolo del Vescovo apparso in “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”
mercoledì 23 novembre 2022, pp.1 e 5. 

Sempre più frequentemente si registrano episodi di violenza da parte di adolescenti che si ripetono in varie forme: baby gang, bullismo, cyberbullismo, rave party, abusi di alcolici e sessuali. Ciò che è più grave è l’aumento dei suicidi giovanili. In questo caso, bisogna esprime la vicinanza al dolore dei genitori e un’intensa preghiera per tutti. Molteplici sono le analisi sociologiche e piscologiche per cercare di comprendere questi fenomeni. Così si parla dell’influsso negativo dei social, dell’assenza di accompagnamento da parte dei genitori, delle carenze educative della scuola, delle metodologie di insegnamento ormai desuete, della poca consapevolezza degli stessi giovani circa le conseguenze delle loro azioni. 

Senza trascurare l’approfondimento di questi aspetti, bisognerebbe anche domandarsi se il malessere che investe l’intera società e, in modo particolare, le nuove generazioni non sia di tipo culturale, determinato dal paradigma del rizoma, reso celebre dalla riflessione del filosofo Gilles Deleuze (1925-1995) e dello psicanalista Félix Guattari (1930-1992)[1]: «La parola d’ordine è diventare impercettibile, fare rizoma e non mettere radici»[2].

Contro questa visione, don Tonino Bello (1935-1993) afferma che la cultura del rizoma propone il rifiuto totale dell’altro e di ogni verticalità.  L’essere senza radici significa procedere senza norma, senza regole comuni e senza un codificato sistema di valori. Vuol dire anche rifiutare ogni fondazione razionale anche di tipo tradizionale ed escludere la possibilità della riduzione all’unità. È apologia della distrazione, del frammentarismo, dell’individualismo esasperato i cui effetti si rivelano disastrosi soprattutto nei comportamenti dei giovani, inevitabilmente disorientati e smarriti. Si staglia così l’immagine di una gioventù fatta di un corpo senz’anima, di soddisfacimento senza limiti delle proprie voglie, di esercizio della propria libertà nella sua sfrenata espansione, come un fiume in piena che straripa per la mancanza di argini. La crisi giovanile di questi anni – sottolinea don Tonino – «non è avvenuta nelle passioni o nella politica; è avvenuta nel convincimento che non c’è nessun sapere che meriti di essere tramandato»[3].

Non meraviglia, allora, se allo sradicamento dell’operaio e del contadino denunciato da Simone Weil (1909-1943), assistiamo oggi allo sradicamento dei giovani. Per la pensatrice francese, lo sradicamento è una malattia sociale connessa con la crisi religiosa e culturale dell’Occidente. Il radicamento, invece, è il bisogno più importante anche se più misconosciuto dell’anima umana, l’ultimo baluardo dell’identità collettiva ed individuale, fondato sul primato dell’obbligo rispetto al diritto. «Un diritto – ella scrive – non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo corrispondente […]. L’obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto»[4]. L’obbligo ha maggior valore rispetto al diritto perché il suo oggetto «nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia a intervenire»[5].

In questa prospettiva risulta difficile per la Weil accettare la nozione di diritto posta a fondamento della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, elaborata nel 1789 e confluita, in gran parte, nella “Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo”, adottata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Per questo, si premura di elencare i principali “bisogni vitali”: l’ordine, la libertà, l’ubbidienza, la responsabilità, l’uguaglianza, la gerarchia, l’onore, la punizione, la libertà di opinione, la sicurezza, il rischio, la proprietà privata, la proprietà collettiva, la verità. 

Appare evidente la necessità che, nel nostro tempo, ci si adoperi per ricomporre la scissione tra diritti e doveri, passato e futuro, vita e cultura. Ne sono convinti anche due autori diversissimi tra di loro: il teologo evangelico Jürgen Moltmann (1926) e il drammaturgo, attore, saggista e regista teatrale francese Antonin Artaud (1896-1948). Il primo, nel suo recente libro “Teologia politica del mondo moderno” sottolinea che, nel mondo occidentale, occorre riprendere una nuova cultura della memoria capace di superare ogni sorta di individualismo e di inserire la convivialità tra gli uomini nel contesto più ampio delle generazioni, in modo da guadagnare il ricordo del passato e coltivare la speranza per il futuro[6]. Da parte sua, Antonin Artaud, nel saggio “Il teatro e il suo doppio”, constatando che oggi «è la vita stessa che ci sfugge», ritiene che ciò di cui c’è assoluto bisogno è una «cultura delle idee la cui forza di vita sia pari a quella della fame»[7].

Dobbiamo riconoscerlo con franchezza: in una società senza radici, non è facile essere giovani, ed è ancora più difficile disegnare un’efficace proposta educativa. Pertanto, se è vero che la sfida dei prossimi anni sarà quella di rafforzare e ricostruire alleanze educative, è soprattutto vero che occorre cambiare il “paradigma del rizoma” se vogliamo che gli adulti superino lo smarrimento in campo educativo e i giovani non si sentano sradicati dalla tradizione che li ha preceduti, dalla società nella quale vivono e da quella che sono chiamati a costruire. I giovani hanno bisogno di vita e di vita con gli altri. Per non essere una monade, senza porte e senza finestre, è necessario che essi avvertano di essere inseriti in un ambiente vitale e in un contesto educativo che può aiutarli a fare buon uso della propria libertà, armonizzando intelligenza e sentimenti, emozioni e affetti in un fecondo equilibrio tra tradizione e novità, memoria e progetto, diritti e doveri. 


[1] Cfr. G. Deleuze – F. Guattari, 1980, Mille plateaux. Capitalisme et schizophrénie, Paris, Minuit; trad. it., a cura di G. Passerone, Mille pianiCapitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma, 2010.

[2] G. Deleuze, Différence et répétition, PUF, Paris, 1968; trad. it., a cura di G. Guglielmi, Differenza e ripetizione, Cortina Raffaello, Milano, 1997, p. 295.

[3] A. Bello, La parrocchia, luogo di comunione nella concreta realtà del territorio, a cura di V. Angiuli, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2013, pp. 54-56.  

[4] S. Weil, Simone Weil, L’enracinement. Prélude à une déclaration des devoirs envers l’etre umaine, Paris, Gallimard, 1949; trad. it., a cura di F. Fortini, La prima radice. Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano, Mondadori, Milano 1996, p. 15.7

[5] Ivi, 16.

[6] Cfr. L. Fazzini, Moltmann: è la vita il vero fine della ragione, “Avvenire”, venerdì, 4 novembre 2022, sezione Agorà, p. III 

[7] A. Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi 2000.

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