Mobilitazione mondiale per il dramma dei migranti – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Articolo del Vescovo apparso su “Nuovo Quotidiano di Puglia- Lecce”
7 marzo 2023, pp. 1 e 27.

Dopo l’ultima tragedia consumata sulla spiaggia di Cutro, sul giornale “Avvenire” (sabato, 3 marzo 2023) è apparso un appello islamo-cristiano, condiviso e sottoscritto da importanti personalità dell’una e dell’altra religione, che rispondono, tra gli altri, ai nomi del cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano, di Nader Akkad, Imam della Grande Moschea di Roma e di Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini. 

L’appello islamo-cristiano e il silenzio di Mattarella davanti alle bare dei morti mi sembrano i due gesti più significativi compiuti in questi giorni. Da una parte la partecipazione commossa al dolore, dall’altra la presa di coscienza di quello che è possibile fare per trovare insieme soluzioni condivise di fronte a un fenomeno che ha una valenza epocale. Se il silenzio del Presidente interpreta, ai massimi livelli istituzionali, i sentimenti di un’intera nazione, la lodevole iniziativa dell’appello islamo-cristiano mostra, con tutta evidenza, la linea che la politica dovrebbe seguire su un tema spesso presentato come profondamente divisivo. 

In realtà, non solo è possibile non contrapporsi, ma è necessario e doveroso trovare una comune intesa ideale e programmatica. E invece, su un fatto così drammatico, assistiamo a numerose trasmissioni televisive dove le distanze tra le diverse posizioni diventano sempre più siderali e i dibattiti ripetono, grosso modo, le stesse argomentazioni, senza mai giungere a un accordo che metta fine a quelle che di solito vengono definite “visioni contrastanti e inconciliabili”. 

L‘appello lanciato da uomini di buona volontà appartenenti a due diverse religioni, in un batter d’occhio, ha spezzato l’incantesimo della contrapposizione sterile e inefficace e ha mostrato il compito che tutti dovrebbero assumere: cercare ciò che unisce, condividere prospettive comuni, lavorare senza sosta perché si giunga a programmare vie concrete per governare un tema così spinoso e rilevante sul piano umano. Per chi non avesse letto l’appello, richiamo i punti più rilevanti. 

Primo punto: la migrazione è un «fatto umano». Sembra un’affermazione ovvia, ma talvolta passa in secondo piano. Al di là di tutte le cause che generano il fenomeno migratorio, al di là anche di tutte le diverse tipologie di migranti rimane un fatto fondamentale: si tratta sempre di persone, uomini, donne, bambini. Ciò che è in gioco è l’umanità, la sua dignità e il suo valore. Già Seneca affermava: «Come ci si deve comportare con gli uomini? […]. Insegneremo a porgere la mano al naufrago, a mostrare la strada a chi l’ha perduta, a dividere il pane con chi ha fame? […] Noi siamo le membra di un grande corpo. La natura ci ha generato fratelli, poiché ci ha creato dalla stessa materia e indirizzati alla stessa meta; ci ha infuso un amore reciproco e ci ha fatti socievoli»[1]

Secondo punto: la questione delle migrazioni richiama tutti «all’assunzione di responsabilità». La considerazione che si tratta di un “fatto umano” impone a tutti il dovere di non girarsi dall’altra parte, facendo finta di non vedere, cercando alibi al proprio disimpegno o pensando che si tratti di una questione che interessa solo i Paesi più direttamente coinvolti per la loro posizione geografica. Tutti siamo ugualmente interpellati: è in gioco “l’umanità dell’uomo”. Mai come in questo caso gli “ignavi” sono i più colpevoli perché, secondo il detto dantesco, sono persone «che mai non fur vivi»[2].  Sono fuori dalla realtà, fuori cioè dalla vita di coloro che la perdono in mare.   

Terzo punto: la complessità del fenomeno richiede che lo si affronti con sapienza, prudenza e lungimiranza. Non ci sono soluzioni facili, ma «soluzioni di varia natura che tengano conto dei fattori politici, sociali, economici e ambientali dei Paesi che vi sono implicati». Qui l’idealità dell’appello si sposa con la concretezza delle situazioni storiche, geografiche e politiche da tenere presenti. Anche perché assistiamo a uno strano paradosso: mentre l’Europa, il “Vecchio Continente”, vive il vertice dell’inverno demografico, dall’altra parte del mondo si assiste a un vertiginoso aumento della popolazione. Secondo le stime dell’Onu, infatti, si calcola che la crescita dell’Africa subsahariana passerà da 1,1 miliardi di abitanti del 2022 ai 2,1 miliardi di abitanti del 2050. Sempre all’interno del Continente africano, la Nigeria nel 2050 potrebbe affiancare gli Stati Uniti come terzo Stato più popoloso al mondo, passando dagli attuali 216 a 375 milioni di abitanti. Anche l’Etiopia e il Congo sono Paesi in ascesa. Nel 2050, il primo potrebbe raggiungere la cifra di 213 milioni di abitanti, il secondo dovrebbe passare dagli attuali 97 ai 215 milioni di persone. Come si dovrà affrontare questo divario demografico?    

Quarto punto: l’emigrazione esige necessariamente di essere governata. L’appello suggerisce: «Per governarla occorre agire ad ogni livello, a monte e a valle contemporaneamente: operare per cercare di rimuovere le cause che la generano, limitandone in questo modo la portata, e allo stesso tempo provvedere a percorsi sicuri e forme adeguate di accoglienza e integrazione per le persone che decidono di lasciare il proprio Paese». Non sarebbe meglio ragionare con un minimo di buon senso invece di abbandonarsi a considerazioni ideologiche e di parte?

Quinto punto: l’appello si conclude con questa affermazione: «L’invito a una mobilitazione islamo-cristiana intorno a tali questioni non intende in alcun modo escludere o negare l’apporto di persone di altre tradizioni religiose e altre convinzioni, ma punta a fare in modo che un patrimonio spirituale e morale in parte condiviso tra cristiani e musulmani sia messo a servizio della vita buona di tutti». Insomma, niente più scuse e alibi, ma una mobilitazione mondiale che non escluda nessuno e accolga ogni possibile apporto da qualsiasi parte provenga.    


[1] Seneca, Lettera a Lucilio, 95, 51-52.

[2] Dante, Inferno, III, 64.

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