Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Via Crucis diocesana delle Confraternite – Diocesi di Castellaneta

 
 

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Saluto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle presenti, ed in particolare quanti siete convenuti in rappresentanza delle Confraternite della nostra Chiesa diocesana, il caro don Sario Chiarelli, parroco di questa Comunità che oggi ci ospita, don Giuseppe Ciaurro ed i padri spirituali presenti, il Signor Carmine Mottolese ed i componenti della neo costituita Consulta diocesana delle Confraternite.

È una gioia particolare poter condividere questa eucarestia ed il pio esercizio della Via Crucis che seguirà, quale espressione “bella e viva” del nostro desiderio di voler sempre più “camminare insieme” da fratelli che condividono una comune appartenenza ecclesiale e sono «chiamati da Dio a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo» (LG, 31).

Questo nostro convenire nel bel mezzo della Quaresima, tempo particolare di penitenza e di preghiera, come abbiamo chiesto al Signore nella preghiera di Colletta (prima della proclamazione della Liturgia della Parola), è l’occasione propizia per sintonizzare i nostri cuori e le nostre menti ad accogliere degnamente il mistero pasquale e proclamare, così, il lieto annuncio della salvezza, anzitutto con la testimonianza evangelica e coerente della nostra vita cristiana, al fine di proseguire l’impegno di “camminare”, sempre ed oltre.

Ci sono dei momenti della nostra vita in cui sperimentiamo il limite e la staticità: ci sentiamo bloccati. Non riusciamo più a comprendere ciò che davvero vogliamo e il più delle volte restiamo fermi, come se fossimo paralizzati.

Nel Vangelo, l’evangelista Giovanni, alla porta “delle pecore” di Gerusalemme, sotti i cinque portici, tra gli animali da sacrificare al tempio e i tanti ammalati (che muovono a compassione), ci presenta la figura di un paralitico, da 38 anni malato, impossibilitato ad immergersi nella piscina quando le acque si agitano, perché c’è sempre un altro che lo precede. Siamo davanti ad un uomo: rassegnato all’immobilismo e che sembra aver perso ogni desiderio di vita.

Per fortuna, però, Gesù non si rassegna all’inerzia e alle resistenze umane e provocatoriamente si reca presso quell’uomo per incontrarlo, così come in altra circostanza si è fatto cercatore di quanti – forse come noi – rimangono ai margini delle situazioni vitali.

La presenza del Signore è una presenza benefica e risanatrice, come l’acqua di cui ci ha narrato Ezechiele nella prima lettura, che sgorga dalla soglia del Tempio e, come un torrente, raggiunge il mare e dove giunge è restituita la vita in abbondanza.

Gesù si è recato alla piscina di Betzatà per farsi prossimo degli ultimi, di quanti sono nella difficoltà e nel limite del loro vivere, di quanti attendono un possibile cambiamento.

Betzatà significa “Casa della Misericordia” e le acque di questa piscina erano ritenute (nel comune sentire popolare) taumaturgiche ogni qualvolta si agitavano.

Ed è proprio lì che avviene l’incontro con questo uomo che ha perso ogni fiducia, anche nella misericordia, tanto è vero che alla domanda di Gesù: «vuoi guarire?», si limiterà ad anteporre unicamente la sua condizione invalidante e sempre sfavorevole, perché non ha mai trovato chi lo aiutasse, e per questo è rassegnato e si giustifica colpevolizzando gli altri: «Signore, non ho nessuno che mi immerga».

Ma la domanda di Gesù non è per nulla superflua o banale.

Dal canto suo, invita il paralitico a “risvegliare” il desiderio di essere guarito, il desiderio di vivere. Quel desiderio che si manifesta come la mano “sacramentale” tesa da parte del Signore per consegnare il dono e così poter riprendere il cammino.

Il suo ordine è perentorio: “Vuoi guarire?… Alzati, prendi la tua barella e cammina».

Sembra dirgli: attenzione la tua barella rappresenta il tuo passato; quel passato che ti ha reso schiavo e che ti ha costretto a diventare una persona “quasi” morta e a vivere senza speranza alcuna.

Dio, invece, è amore e vita, dono che si comunica: ed ognuno ne riceve nella misura in cui è disposto ad accoglierlo.

Infatti – tante volte – è proprio il peso delle situazioni passate che ci impedisce di rialzarci. La nostra storia personale può rischiare di piegarci su noi stessi, “sotto il suo peso”, e di bloccarci. Ma Gesù non chiede al paralitico di distruggere la sua barella o di buttarla via, ma di prenderla con sé, per vivere da persona “ri-creata”, a cui è chiesto di iniziare a scrivere la propria storia, quella che riprenderà da una nuova pagina ed interamente bianca.

Quest’uomo, come affermerà ai giudei che lo interrogavano sul perché portasse la barella in giorno di sabato, rivela di non conoscere chi fosse Gesù. E per questo motivo, la sua guarigione non inizia da una proposta di fede, quanto piuttosto dal desiderio “evocativo” di un cambiamento, sollecitato dall’incontro trasformante con il Signore. Un cambiamento che non ha bisogno dell’acqua talvolta miracolosa della piscina, quanto piuttosto di riconoscere che è Lui – il Signore – il nostro «rifugio e fortezza» (Sl 45), che spezza con la forza della sua Parola i legami che ci rendono prigionieri.

È il “desiderio-ricreato” che muoverà la vita del paralitico fino al Tempio dove rincontrerà il Signore.

Si tratta di un’esperienza di vita che abilitando il desiderio “sopito” invita alla preghiera, come quella del Salmista: «crea in me, o Dio, un cuore puro, rendimi la gioia della tua salvezza» (Sl 50,12a.14a).

È proprio la Parola del Signore che l’ha condotto fin lì, fino al Tempio, permettendogli di portare – questa volta – da sano la propria barella, la stessa che prima lo aveva sostenuto da malato.

E, riconoscendolo guarito, Gesù lo esorta a non peccare più, cioè a non ritornare nella sperimentata schiavitù della sua vita e a proseguire il cammino su quella strada che Lui stesso gli ha indicato.

Fratelli e sorelle cosa ci consegna oggi – in questo contesto – l’annuncio di questa Parola per la nostra storia personale e comunitaria?

È certamente un invito a far emergere in ciascuno di noi il desiderio vero ed autentico della vita cristiana; un’esortazione ad alzarsi dalle abituali comodità, per riprendere, così, la sollecitudine del cammino, accompagnati nell’esperienza “nuova e possibile” della storia, senza lasciarsi travolgere da essa.

Questa Parola ci permette di comprendere quanto Papa Francesco, incontrando i rappresentanti della Confederazione delle Confraternite delle Diocesi d’Italia lo scorso 16 gennaio, ebbe a dire:

«Lasciatevi animare dallo Spirito e camminate: come fate nelle processioni, così fatelo in tutta la vostra vita di comunità. La ricchezza e la memoria della vostra storia non diventino mai per voi motivo di ripiegamento su voi stessi, di celebrazione nostalgica del passato, di chiusura verso il presente o di pessimismo per il futuro; siano piuttosto stimolo forte a reinvestire oggi il vostro patrimonio spirituale, umano, economico, artistico, storico e anche folkloristico, aperti ai segni dei tempi e alle sorprese di Dio… [impegnandovi ad] articolare il vostro cammino secondo tre linee fondamentali: evangelicità, ecclesialità e missionarietà».

Vi invito a rileggere questo discorso di Papa Francesco e a farne oggetto di approfondita catechesi nei vostri sodalizi, al fine di maturare scelte autentiche e significative di vita.

Le prossime celebrazioni della Settimana Santa, tempo particolare per la vita di tante Confraternite, vi veda solleciti nell’essere testimoni e «missionari dell’amore e della tenerezza di Dio […] missionari della misericordia di Dio, che sempre ci perdona, sempre ci aspetta, e soprattutto tanto ci ama!» (Cf. Papa Francesco, Omelia nella Giornata delle Confraternite e della pietà popolare, 5 maggio 2013).

La Vergine Maria, che con diversi titoli venerate come vostra Madre, e i diversi Santi Patroni vi custodiscano sempre. Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi

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