Saluto al Convegno regionale “La forza della debolezza. Educare nel tempo della fragilità e della liquidità” (San Giovanni Rotondo 18 aprile 2015)

Carissimi,

  1. siamo molto lieti di ospitare in questa nostra terra garganica il 3° incontro di preparazione dal titolo “La forza della debolezza. Educare nel tempo della fragilità e della liquidità” in vista del prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze avente come tema In Gesù Cristo, il nuovo Umanesimo, per essere, come Chiesa, all’altezza delle molte e complesse sfide del nostro tempo.

La nostra è la terra di S. Pio da Pietrelcina, il quale ha fatto della fragilità umana la cifra antropologica per incarnare una fede e una carità che fossero capaci di guarire le molte piaghe sia dell’anima che del corpo di una moltitudine di persone spesso senza più speranza e senza più orizzonti certi. Fatto partecipe, per divino privilegio, delle sofferenze di Cristo crocifisso, Padre Pio, come segno di questa cura e di questa attenzione agli ultimi, ha realizzato la sua opera: l’Ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza, dove le fragilità vengono studiate e curate non soltanto con i mezzi del progresso tecnico e scientifico, ma ancora più con l’amore e con la dedizione di tante persone che si richiamano all’Umanesimo cristiano.

Questo accade quando diventiamo consapevoli, come ci insegna il capitolo 25 del Vangelo di Matteo, che chiunque si prende cura di una qualsiasi persona in situazione di fragilità, in fondo si prende cura di Gesù in persona, sì che ogni uomo fragile diventa per noi sacramento di Cristo

La nostra è anche la terra del Santuario di S. Michele Arcangelo, simbolo della lotta contro colui che, ribellandosi alla Grazia divina, ha scelto il male, e che contagiando l’uomo tramite il peccato, ha posto la radice di ogni forma di fragilità.

Alla luce che irradia da questi due luoghi santi, mi auguro e vi auguro, come ci sta ricordando Papa Francesco, di essere meno Chiesa- dogana e più Chiesa-locanda.

 

  1. Oggi la fragilità ha tanti nomi e tanti volti. Essa si presenta a noi nella forma della precarietà e della instabilità, della vulnerabilità e della sfiducia, ma anche della insicurezza e della incertezza. C’è una fragilità invisibile che passa sotto diverse spoglie davanti ai nostri occhi incapaci di intercettarla. Una fragilità spesso indecifrabile con i soli strumenti delle scienze umane e mediche, perché affonda le sue radici in una interiorità sempre più spezzata e sfilacciata, orfana di senso perché senza più trascendenza.

Queste fragilità toccano tutte le fasce di età. Sono fragili gli adulti che trovano mille difficoltà nell’essere sposi e genitori, perché sedotti dal mito di un giovanilismo consumistico che purtroppo li fa abdicare alle proprie responsabilità educative e generative. Una fragilità adulta che a sua volta genera fragilità familiari, sociali, lavorative, relazionali.

Sono fragili i giovani, ai quali, come dice il filosofo Galimberti, stiamo consegnando un futuro che da promessa invece sa di minaccia. Fragili sono le loro emozioni, i loro sentimenti, i loro corpi, i loro cuori, che come oggetti e merce di scambio vengono barattati nel grande mercato degli affetti che la nostra cultura dell’effimero crea per manipolarli e comprarli. Fragili sono anche molti luoghi delle nostre città a causa di un individualismo esasperato e di una socialità frammentata.

 

  1. Tutte queste fragilità aspettano da noi una risposta. E noi siamo qui per questo: per capire, per accogliere e per ripartire.

Tutto ciò esige una profonda conversione che deve essere pastorale ma anche culturale e sociale.

La prima ci fa ritornare al Vangelo per ritrovare quella giusta grammatica che il Cristo ci ha consegnato per prenderci cura di ogni persona fragile.

La seconda per farci essere una Chiesa in uscita che va in cerca dei lontani, e che sulla soglia non conta mai quelli che ci sono già, ma quelli che ancora mancano.

Una Chiesa missionaria che sa scendere dai piedistalli per andare verso le periferie esistenziali.

Una Chiesa in dialogo che sa essere crocevia di relazioni, e che, come il Buon Samaritano, non cerca più Dio soltanto nel tempio, ma per strada, dove le ferite e le fragilità gridano a quel Dio liberatore che udendole manda noi a lenirle per redimerle.

Tutto questo nella convinzione che ogni uomo se seguirà Cristo uomo perfetto, diventerà anch’egli finalmente più uomo, vera immagine di Dio e di Gesù Cristo suo Figlio che della debolezza ha fatto il suo punto di forza.

 

+Michele Castoro, arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo