«Siamo comunità sfilacciata ma viva» — Arcidiocesi Bari-Bitonto

 
 

[ad_1]

È trascorso un anno e mezzo da quando monsignor Giuseppe Satriano è stato nominato arcivescovo dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto. È tornato nella sua Puglia, lui nativo di Brindisi, dalla Calabria dove era stato alla guida dell’arcidiocesi di Rossano-Cariati. E, al di là di facili luoghi comuni, dal 2020 sono anni pesanti, attraversati persino da un evento stra-ordinario e tragico come la pandemia. Con sé, ha portato all’accelerazione di problemi sociali ed economici. A cominciare dai disagi nelle categorie più fragili, vulnerabili: i giovani. Le storie di baby gang affollano quotidianamente i media.

Sua Eccellenza, partiamo proprio dal futuro. La Chiesa ed i giovani: le cronache li leggono persi, senza valori, spesso violenti. Nel suo ruolo di educatore e guida, come pensa si possano affrontare le distorsioni delle nuove generazioni?

«I giovani sono “belli”, portano in sé la vita. Le cronache, la maggior parte delle volte, sono scritte da adulti che non hanno un contatto reale con i giovani. Spesso, infatti, sono gli adulti a essersi persi e puntano il dito contro il vuoto che si ritrovano attorno e, soprattutto, dentro di sé. Sono convinto che se noi adulti ritrovassimo noi stessi, riscoprendo una sana passione educativa, la nostra disponibilità a farci compagni di strada, uno sguardo aperto al futuro, allora ritroveremmo anche i giovani e il loro struggente desiderio di vivere. I giovani portano in sé la bellezza delle possibilità inesplorate, il vigore di un presente che ci interpella e ci rimandano, provocatoriamente, l’appuntamento che abbiamo mancato con la vita: i tradimenti, i ripiegamenti egoistici vissuti. Per capire i giovani non dobbiamo giudicarli, né tantomeno scimmiottarli. Ascoltarli nel profondo è l’imperativo necessario per capire che solo creando condizioni di amore, di comprensione e di fiducia, sapremo lasciare loro lo spazio di crescere e cambiare questo mondo».

Come sta la comunità di Bari-Bitonto che le è stata affidata?

«Difficile dare una risposta esaustiva a questa domanda, perché la comunità diocesana, nella sua complessità, è fatta di tante membra, alcune robuste e sane, altre più stanche e sofferenti. Quello che, tuttavia, ho potuto constatare in questo primo anno e mezzo a Bari è che la nostra Chiesa locale è viva, incarnata nel territorio e desiderosa di camminare. Certo, il tempo della pandemia ci ha sfilacciati, ma tante donne e tanti uomini di buona volontà sono desiderosi di riprendere le fila di un discorso comune. Riesco a leggere alcuni segnali incoraggianti. Il percorso sinodale che abbiamo intrapreso da poco meno di un anno ha rimesso in moto tanti cuori sfiduciati, risvegliato energie sopite e fatto esprimere un profondo e autentico desiderio di comunione. Papa Francesco ce lo ricorda spesso, non siamo tanto in un’epoca di cambiamenti quanto in un cambiamento d’epoca, per questo anche il volto della diocesi e delle nostre è chiamato a vivere un cambio di paradigma. A giugno abbiamo dato avvio a un processo di rinnovamento della struttura della curia. Pochi giorni fa abbiamo comunicato l’avvicendamento di quindici nuovi parroci e altri cambiamenti già si profilano all’orizzonte, data l’età di alcuni parroci ultraottantenni ancora in servizio: siamo in cammino e in tanti cuori non si è spenta la scintilla della strada. Certamente il vivere tutto questo richiede passaggi dolorosi, sia per noi sacerdoti che per le comunità; c’è da elaborare stili nuovi di vita e l’audacia di osare percorsi inediti che restituiscano linfa ai vissuti di ciascuno. Sono edificato per quanto riscontrato finora: generosità, fiducia e collaborazione. Questo dice l’impegno, la serietà e la bellezza del lavoro svolto da quanti mi hanno preceduto e dalle generazioni che hanno costruito questa Chiesa di Bari-Bitonto».

L’emergenza pandemica e la Chiesa: come hanno reagito i fedeli? Quanto è stato difficile tenere vicine le comunità in una prova del genere?

«Tutti abbiamo dovuto affrontare grandi difficoltà e, soprattutto, abbiamo dovuto procedere a tentativi. Nessuno ha il libretto delle istruzioni per quello che ci è successo. L’emergenza, se da un lato ha messo in crisi le nostre certezze, allo stesso tempo – come dice la parola stessa – ha visto emergere qualcosa di significativo. Nelle nostre comunità immediatamente si è attestato un fiume di carità. Tantissime sono state le offerte di aiuto alle famiglie in difficoltà. Immediatamente si sono mobilitate le Caritas parrocchiali per provvedere ai bisogni primari di tante persone sole a cui non è mancata vicinanza e aiuto.

La creatività vissuta per abbattere i muri dell’isolamento ha portato diversi frutti e donato speranza, segno di comunità ecclesiali e non solo che pensano innanzitutto al bene dell’altro. Anche sul piano liturgico, con la trasmissione in diretta delle celebrazioni, si è desiderato non privare del conforto spirituale le tante persone che desideravano coltivare la propria spiritualità. Se non si poteva andare in chiesa, il web era la chiesa che entrava nelle case, anche se di questo servizio a volte si è abusato, dimenticando che l’assemblea non è un accessorio del quale possiamo fare a meno, ma uno degli attori principali della liturgia: l’eucarestia non può essere trattata alla stregua di un prodotto on demand o di una serie su Netflix».

Di emergenza in emergenza, quella economica ha portato ad una povertà dilagante ed estrema. Ai parroci, le famiglie prima che il pasto chiedono che siano pagate le bollette…come possiamo affrontare, secondo Lei, questo drammatico scoramento?

«Credo che tutti possiamo fare qualcosa: le famiglie, le istituzioni, la comunità cristiana e i singoli. Le famiglie sono chiamate a rivedere le proprie priorità e ad assumere stili di vita più sostenibili, perché il futuro si costruisce con le piccole scelte di ogni giorno, spesso si vive sopra le righe. Le istituzioni, certamente, sono chiamate ad una maggiore e significativa vicinanza alle problematiche reali della gente. Spesso ascoltando i proclami elettorali si ha l’impressione di scelte strumentali a interessi personalistici. C’è urgenza, invece, di smentire quel sentire comune che vede la politica asservita a logiche di potere più che di servizio. La comunità cristiana deve farsi volano di una cultura del “noi” che rischia di soccombere di fronte a tante derive individualistiche. I singoli, infine, nel loro piccolo, possono fare tanto se provano a interessarsi all’altro, al prossimo, al vicino. Il primo e il più grande aiuto che possiamo offrire gli uni agli altri, infatti, è l’ascolto».

Francesca Di Tommaso

© La Gazzetta del Mezzogiorno, giovedì 18 agosto 2022

[ad_2]

clic qui per l’articolo sul sito diocesano