“Chiesa che sei nel Gargano, sii ABITAZIONE di Dio dalla PORTA aperta!” – Arcidiocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo

 
 

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NOTA PASTORALE 2023-2024

 

Chiesa che sei nel Gargano,

sii ABITAZIONE di Dio dalla PORTA aperta!

 

Incominciamo pregando

Siamo qui dinanzi a te, Spirito Santo:
siamo tutti riuniti nel tuo nome.
Vieni a noi,
assistici,
scendi nei nostri cuori.
Insegnaci tu ciò che dobbiamo fare,
mostraci tu il cammino da seguire tutti insieme.
Non permettere che da noi peccatori sia lesa la giustizia,
non ci faccia sviare l’ignoranza,
non ci renda parziali l’umana simpatia,
perché siamo una sola cosa in te
e in nulla ci discostiamo dalla verità.
Lo chiediamo a Te,
che agisci in tutti i tempi e in tutti i luoghi,
in comunione con il Padre e con il Figlio,
per tutti i secoli dei secoli. Amen

 

I padri che hanno vissuto il Concilio Vaticano II hanno sempre iniziato ogni sessione con la preghiera Adsumus Sancte Spiritus. Le parole dell’originale latino significano: “Noi stiamo davanti a Te, Spirito Santo!”. Questa preghiera, attribuita a Sant’Isidoro di Siviglia (560 circa – 4 aprile 636), ha attraversato i millenni ed accompagnato la Chiesa in tutta la sua storia, è arrivata fino a noi e ben si adatta ad accompagnare il percorso sinodale iniziato nel 2021 e che sta entrando nella fase sapienziale. È lo Spirito che vuole parlarci attraverso l’ascolto e le narrazioni delle nostre vite, a Lui aprirci, Lui invocare, e a Lui dare voce per comprendere ciò che ci sta dicendo come Chiesa che cammina insieme, in comunione, partecipazione e missione.

 

I PARTE

 

LA LUCE DELLA PAROLA

LETTURA SAPIENZIALE E LETTURA PASTORALE

 

  1. Due icone bibliche

 

Ef 2, 19-22. Chiesa ABITAZIONE di Dio

 

Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

 

Gv 10, 7.9-10. Gesù PORTA

 

Allora Gesù disse loro di nuovo: “in verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. … Io sono la porta, se uno entra attraverso di me, sarà salvato: entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”.

 

 

A differenza delle precedenti lettere o note pastorali, quest’anno ho voluto scegliere due testi guida per il cammino sinodale ed il servizio ecclesiale al territorio e al popolo del Gargano che chiedono “trasfigurazione”. Il primo è tratto dalla Lettera agli Efesini che «è stata definita un discorso sapienziale o una meditazione sapienziale sul mistero di Cristo»,[1] mentre il secondo testo è l’icona giovannea di Cristo, che si autodefinisce “la Porta”.

 

Per sinteticità ho scelto Ef 2, 19-22, ma il tema viene sviluppato in forma ampia successivamente al capitolo 4, 1-16. I due testi paolini costituiscono una parenesi sull’unità all’interno della Chiesa. Si tratta di un’unità dinamica: i brani enfatizzano due verbi crescere ed edificare. Crescere corrisponde soprattutto al dono efficace della grazia divina, edificare rimanda alla risposta libera e responsabile di ogni discepolo e della Chiesa. Entrambi i verbi rimarcano il fine ben preciso della Chiesa: diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito (cfr 2, 22). Il ruolo unificatore e pacificatore di Cristo mette in luce la visione ecumenica e universale della Chiesa, secondo una prospettiva che la vuole «allargata alla dimensione del mondo con un ruolo di testimonianza e servizio».[2] L’ekklesìa secondo il testo di Efesini non è più soltanto la comunità locale radunata attorno agli Apostoli in ascolto della Parola del Signore e nella fractio panis (Eucaristia cf At 2, 42), ma è «la convocazione di tutti i credenti e i salvati che formano un organismo vitale, precisamente il ‘corpo di Cristo’».[3] La relazione fondamentale con Cristo rende la comunità ecclesiale responsabile nei confronti di tutta l’umanità, alla quale deve annunciare con franchezza e libertà il Vangelo della pace. La struttura fondante della Chiesa, come convocazione degli uomini riconciliati e uniti, è la capacità di ascoltare, perché l’elemento vitale e unificante rimane il Cristo Maestro e Signore che fa crescere e maturare la comunità dei discepoli. «L’orizzonte dentro il quale si sviluppa la costruzione storica della Chiesa è quello dell’umanità. Però la preoccupazione cristiana non può essere quella della colonizzazione religiosa degli uomini, ma quella della loro unificazione. Là dove gli uomini superano le divisioni e le ostilità grazie all’amore liberante del Cristo crocifisso, lì essi entrano a far parte del cantiere nel quale si va costruendo il tempio di Dio che è la nuova umanità»,[4] che diventa l’abitazione di Dio.

 

Passando alla seconda icona biblica, i tre versetti – scelti dal Vangelo di Giovanni al capitolo 10, 7.9-10 – si trovano all’interno della grande rivelazione di Gesù Buon Pastore (cf Gv 10, 1-18), e contengono un elemento strutturale, proprio degli edifici: la porta. Il testo di Paolo e le parole di Gesù in Giovanni 10 si possono accostare tra loro come unica prospettiva: ne emerge l’icona dell’abitazione e in particolare della porta di accesso ed uscita.

 

Questi sono i due testi scelti per nutrire il cammino sinodale della nostra Chiesa locale che è nel Gargano durante quest’anno 2023-2024, che dovrà avere la caratteristica della lettura sapienziale della propria storia e del proprio ambiente, una lettura illuminata dalla Parola ascoltata, meditata e pregata insieme, favorendo la diffusione delle conversazioni nello Spirito.[5]

 

Provo ad offrire per ognuno un commento esegetico, che intende inserire ogni testo nel proprio contesto di riferimento e successivamente presentare spunti pastorali e sapienziali che la Parola accolta ci può suggerire.

 

  1. Per una lettura sapienziale

 

Chiesa: l’ABITAZIONE di Dio: Ef 2,19-22; (cf. Ef 4,1-16)

 

A cinquant’anni dalla morte e resurrezione di Gesù, le comunità cristiane avvertono la necessità di suggerire riletture più approfondite e articolate di quell’evento sorgivo, legandolo con la vita della Chiesa, che da quella narrazione base ha fatto scaturire la sua fede. Qual è il progetto di Dio? E qual è il compito della Chiesa? Con uno stile insieme liturgico e didattico sapienziale, la Lettera agli Efesini (una lettera “enciclica”, “aperta”, rivolta a più comunità) afferma che la Chiesa è inscindibilmente unita a Cristo, come Sua espansione e strumento di crescita, sviluppo ed edificazione del Suo corpo nel mondo, prolungamento della Sua umanità.

Così il redattore della Lettera agli Efesini, un discepolo dell’Apostolo Paolo verso gli anni ottanta (periodo nel quale erano da poco in circolazione i Vangeli di Matteo e Luca), insieme alla comunità di Efeso, dove Paolo ha vissuto per alcuni anni, suggerisce percorsi che riflettono l’intelligenza delle Scritture, che possono dunque valere per tutti.

Cristiani e Chiese guardano a Dio e lo benedicono (Ef 1,3-14) perché da Lui si sentono chiamati, predestinati e resi figli adottivi nel Figlio Gesù. Cogliamo in questa consapevolezza quella maturazione che porta le comunità a concepirsi non più e solo come popolo di Dio, ma anche appunto come Chiesa, corpo di Cristo nel duro solco della storia secondo il segno della speranza e il dono della sapienza. La narrazione base, il kerigma della morte e resurrezione di Gesù, è adesso ampliata ed espansa: Gesù, il Cristo, è alla destra di Dio nei Cieli, al di sopra di ogni Principato, Potestà, Forza e Dominazione (Ef 1,21). E la Chiesa? Essa è il pleroma di Cristo, cioè la “pienezza” di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose (Ef 1,23). Consapevole di essere stata amata e perdonata, essa rilancia un rinnovato annuncio destinato ad attraversare i tempi futuri: “per grazia siete salvati” (Ef 2,5); “per grazia siete salvati mediante la fede” (Ef 2,8). Questa prospettiva salvifica ampia impregna i versetti successivi che portano a riconoscere la novità realizzata in Cristo: l’unione, la pace, l’abbattimento del muro che si era posto frammezzo, cioè l’inimicizia, determinando la separazione dei popoli, a partire dai giudei e dai pagani. Ora, in Cristo si è realizzata la pace, e la Chiesa è il collante di unione dei popoli, affinché essi in Cristo possano essere riuniti. Occorre passare attraverso Cristo, è Lui il “ponte”, il “mediatore”, la “pace”. Il corpo di Cristo in Croce riconcilia sia Israele che le popolazioni pagane con Dio, che in Cristo non li vede più separati ma uniti in un solo corpo. Dio non considera più la separazione, ma l’armonia dell’unità. Israele non è completo in sé, come perfetti non sono neppure i pagani: nell’unità, frutto della redenzione in Cristo, si ha sia l’integrazione che l’armonia; una volta che l’inimicizia è uccisa, si realizza l’unità del tutto nella diversità delle membra dell’unico corpo.

Si giunge così ai versetti (Ef 2,19-22) scelti come guida per l’attuale anno pastorale: sono un potente appello all’unità della Chiesa, corpo di Cristo e “luogo” dello stesso superamento di ogni divisione etnica e culturale fra cristiani, giudei e pagani. Rileggiamo il testo:

 

Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.

 

Il testo parte da un’asserzione di carattere storico antropologico. Si parla di stranieri e ospiti: figure che non godevano di protezione alcuna, pur essendo benevolmente accolte e ospitate. Si annuncia un cambiamento di status col passaggio ai profili di concittadini e familiari di Dio. Contemporaneamente si fa uso di un vocabolario che rimanda all’ambito edilizio, impiegato come metafora per segnalare il tipo di relazione che si stabilisce tra Cristo Gesù, la Chiesa e i credenti. Cristo è la pietra d’angolo, la Chiesa è la costruzione-tempio, i credenti sono le pietre per la costruzione. Gli studi urbanistici sulle costruzioni dell’epoca segnalano che la pietra angolare era utilizzata per tenere unite due pareti ad essa cementate, conferendo alla struttura stabilità e solidità. Con questa metafora s’intende segnalare che Cristo unisce nel suo corpo giudei e gentili. L’intero edificio, così formato, costituisce il tempio santo.

La riflessione riprende e sviluppa alcuni temi cari alla predicazione dell’Apostolo Paolo, che fanno eco alle parole di Gesù.

I versetti registrano un cambiamento di prospettiva in ordine alle relazioni sociali: da stranieri ed ospiti a concittadini dei santi e familiari di Dio. Per ospiti (paroikoi), letteralmente “quelli che dimorano vicino”, s’intendono coloro che abitavano un luogo, ma senza godere di diritto di cittadinanza. Non così quanti sono invece annoverati come concittadini (sumpolitai) dei santi: si tratta di coloro che ascoltando la Parola, sono resi consacrati a Dio, vengono ammessi alla comunione dei santi e maturano un legame con Dio. Essi sono anche familiari (oikeioi) di Dio. Se la familiarità con Dio è il punto d’arrivo, l’Epistola spiega cosa è avvenuto, come si è giunti a questa condizione che ha modificato lo status del credente: è la novità realizzata in Cristo. Il testo parla di edificazione: edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti (v. 20). Epoikodomethentes, un participio aoristo passivo, per indicare una realtà “costruita sopra”. È Cristo Colui su cui si costruisce. Paolo utilizza questa immagine parlandone sia nella prima lettera ai Corinzi che in quella ai Romani. L’edificazione vicendevole, che l’Apostolo suggerisce nella lettera ai Romani (Rm 14,19), è auspicata nel processo di costruzione della comunità cristiana come corpo di Cristo (Rm 15,2; 1 Cor 3,9; 12,26; 14,5; 2 Cor 13,10; ripresa in Ef 2,21; 4,12). L’Apostolo scrivendo ai Corinzi dice chiaramente: Voi siete … l’edificio di Dio (1 Cor 3,9). La metafora era già nota all’Antico Testamento; il profeta Geremia ne fa uso per motivare la sua chiamata profetica (Ger 1, 10). Paolo è consapevole che è il Signore che fa crescere, che edifica, spingendosi a dire che chi profetizza edifica (1Cor 14,3). Il tema è ripreso nella lettera agli Efesini al fine di precisare l’organizzazione interna della comunità in ordine al servizio: apostoli, profeti, evangelisti, pastori e maestri. Tutti per l’edificazione vicendevole (Ef 4,12). Gli apostoli sono alla base dell’edificio, essendo depositari della rivelazione (Ef 3,5), fra di essi si può annoverare anche Paolo. Con essi nasce la Tradizione. Per profeti s’intendono coloro che, uniti agli apostoli, trasmettono la rivelazione, edificando la Chiesa con il dono della profezia. Gli evangelisti quanti trasmettono il Vangelo. Pastori e maestri, ovvero vescovi, presbiteri, chi governa e presiede, ma anche istruiscono e formano la comunità. Tutti questi ci mostrano la cura dello Spirito, dato che la Chiesa è e sarà sempre in stato di edificazione. In Ef 4,13 si indica il fine: finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo”.

Il versetto (Ef 2, 20) fa riferimento al fondamento (themelio), ovvero a ciò che fa da base, che è posto per la fondazione su cui si costruisce un edificio. L’Apostolo Paolo, rivolgendosi ai Corinzi (1Cor 3,10), aveva chiarito che il fondamento è Cristo Gesù e che nessuno può porre un fondamento diverso (1Cor 3,11), e aggiunge che sopra tale fondamento si può costruire con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno e paglia e che l’opera di ciascuno sarà ben visibile (1Cor 3, 12-13). Possiamo domandarci se questa attenzione possa aver un riferimento diretto alle parole di Gesù, che in effetti aveva paragonato chi ascolta e mette in pratica la sua parola a un uomo che ha scavato molto profondo e posto le sue fondamenta sulla roccia (cf. Mt 7, 24-26 e Lc 6,47-48). Nel testo di Efesini, che stiamo prendendo in considerazione, riecheggia sia la convinzione di Paolo che l’insegnamento di Gesù: può resistere al tempo della prova solo colui che è fondato su Cristo, ossia che ascolta e mette in pratica le Sue parole.

Nello stesso versetto della lettera (Ef 2, 20) Cristo Gesù non è solo il fondamento, ma anche la pietra angolare (akrogoniaiou) della costruzione. Viene resa viva la tradizione del profeta Isaia che proclamava: “ecco, io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata” (Is 28,16). Similmente si fa riferimento alle parole del salmista (Sal 118,22): “la pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo”. Si parla così di una pietra angolare per chi edifica, ma pietra d’inciampo per chi confida solo in sé stesso e nelle sue capacità ritenendosi potente.[6] Gesù stesso richiama questa frase del salmo 118 dopo aver raccontato la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,42 e Lc 20, 17). La pietra angolare, che è Cristo, è anche pietra viva, poiché Lui è il Risorto, è Vita e dà vita. Chi si avvicina a Lui diviene anch’egli pietra viva e cresce come un edificio spirituale saldo, per un sacerdozio santo (1Pt 2, 4-5). Chi crede in Lui non resta deluso, mentre per chi non crede Egli è pietra che fa cadere, sasso d’inciampo (1Pt 2,6-8).

 

Si giunge così alla conclusione di tutta la parenesi paolina con una doppia affermazione di fede che collega Cristo e la Chiesa, Cristo Gesù ed i suoi discepoli che siamo noi:

  1. prima affermazione di fede (Ef 2, 21): in Cristo l’intero edificio (pasa oikodome) cresce ben ordinato (sunarmologoumenē);
  2. seconda affermazione di fede (Ef 2, 22): mediante la relazione con la persona di Gesù si entra insieme a far parte del Suo edificio,[7] fino a divenire abitazione (katoikētērion) di Dio.

 

Gesù è la PORTA: Gv 10, 7.9-10

 

Non molti anni dopo la scrittura della lettera agli Efesini viene redatto il Vangelo di Giovanni che, manifestando una riflessione cristologica più matura, sceglie di suddividere parole e gesti di Gesù classificandoli per segni e storia. Il testo giovanneo si può dividere in due parti: il Libro dei segni e il Libro dell’Ora, ossia la glorificazione di Gesù attraverso l’innalzamento sulla Croce.[8] È significativo che lo spartiacque del passaggio dalla prima alla seconda parte del Vangelo sia rappresentato da una proposta decisa e spiazzante che Gesù consegna ai suoi discepoli: “se uno mi vuol servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà” (Gv 12,26). Non basta dunque servire Gesù, o pensare di poter far qualcosa per Lui, ma occorre seguirlo, e la via è quella della Croce.

L’affermazione, nella quale Gesù presenta sé stesso utilizzando l’immagine della porta del recinto in cui sono raccolte le pecore, è inserita nel capitolo 10. A questo punto del Libro dei segni l’Evangelista ha già narrato sei segni compiuti da Gesù; manca il settimo, la resurrezione di Lazzaro. I segni che Gesù compie sono sempre accompagnati da parole-icone, che esplicitano la personalità del Cristo. Dicendo di essere la porta Gesù non si limita a segnalare il tratto esteriore, di confine o di separazione che la porta costituisce, ma vuole rimandare alla dimensione spirituale o meglio ancora discepolare di chi intende seguirlo. Gesù lascia intendere che è necessaria una connessione intima e profonda con Lui. Occorre attraversarLo, proprio come si fa con una porta, si deve passare attraverso di Lui, attraverso la Sua persona per entrare nella salvezza. Si passa attraverso Gesù-porta in una continua dinamica di entrata ed uscita. Possiamo leggere in questo movimento la connessione tra preghiera e lavoro, riposo/sollievo e azione, nutrimento ed impegno fattivo, contemplazione e carità operosa. Anche in altre narrazioni giovannee la porta è vista in relazione a Gesù, sia come prova, pensiamo alle apparizioni del Risorto, sia come appello al discepolato.[9] Allora osserviamo che Gesù è la porta, è Lui che attraversa le porte, non per imporsi, ma per proporsi ai suoi discepoli impauriti e stretti tra loro a porte chiuse, come sorgente inesauribile di pace e gioia. Se riprendiamo le narrazioni che motivano e cercano di rinsaldare il rapporto di discepolato, possiamo rilevare che c’è un tempo nel quale la porta appare chiusa (Lc 11,7), ma la preghiera insistente ne determina l’apertura: “chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Lc 11,9). La porta indica dunque relazione. Dal punto di vista escatologico Gesù viene raccontato nel Vangelo di Matteo come Colui che è alle porte (Mt 24,33), mentre nell’Apocalisse afferma di stare davanti alla porta del nostro cuore e bussare (Ap 3,20), affinché qualcuno gli apra e così entri in comunione con lui. Ma quella porta chiusa ed aperta dalla forza perseverante della preghiera, si chiude definitivamente nel tempo in cui Colui che è misericordioso deve giudicare:[10] in quel momento per accedere sarà indispensabile l’olio della fede e l’energia della carità.

Osserviamo adesso più attentamente il brano di Gv 10, 1-17 dove sono inseriti i tre versetti nei quali Gesù si presenta come porta.

Gesù inizialmente chiarisce che nel recinto delle pecore si entra dalla porta, mentre chi vi sale da altre parti è un ladro o un brigante. Dentro il recinto c’è il gregge del Signore, il popolo eletto d’Israele. Con i sei segni fin qui compiuti, specialmente dopo la guarigione del cieco nato (Gv 9,1-41), Gesù ha mostrato di essere il pastore del gregge d’Israele. Che cosa vuol dire entrare dalla porta e non da altre parti? Le immagini veterotestamentarie ci riportano all’agire di Dio, alla personificazione del suo “braccio potente” con il quale Egli raduna il suo popolo disperso. Allora chi entra per la porta è Colui che riceve la testimonianza delle Scritture profetiche, da queste Scritture è formato. Al versetto 3 entra in scena un personaggio, il guardiano: si tratta di chi apre la porta al pastore. Per il padre della Chiesa San Giovanni Crisostomo questo guardiano è Mosè, poiché introduce alla conoscenza della Sacra Scrittura, mentre per Sant’Agostino è Cristo stesso che così introduce a sé.[11] L’ingresso nel recinto può indicare l’Incarnazione del Verbo, per cui le pecore ascoltano la sua voce. Egli le chiama per nome e le conduce fuori. Escono tutte e lo seguono. Egli cammina davanti a loro. Come scriveva Padre Pio nei discorsi su Casa Sollievo della Sofferenza: «…il genere umano si ritrovi in Cristo Crocifisso come un solo gregge con un sol pastore».[12] Da cosa escono? L’uscita del gregge è come un nuovo esodo, mentre Gesù è come la nube per il popolo nel deserto. È la nube che indica la via da seguire e non la progettualità delle pecore. Così, anche i pastori in cui risplende il Pastore, fanno udire la Sua voce e non la propria, come pare indicare la prima lettera di Pietro: “pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1Pt 5,1-3). Le pecore che conoscono la voce del Pastore non ascoltano altre voci e fuggono gli impostori. Questi ultimi solitamente usano violenze, seduzioni e false promesse. Non così il vero Pastore. Gesù parlava dei farisei, e di coloro che si adattano alla logica farisaica, ma questi non compresero, allora Gesù ribadisce nuovamente: “amen, amen vi dico: io sono la porta delle pecore” (Gv 10,7). Gesù cioè è il centro di quelle Scritture che gli danno testimonianza, tutte parlano di Lui. Dicendo di essere la porta delle pecore, Gesù indica che in Lui occorre leggere le Scritture, e che queste non solo parlano di Lui, ma portano a Lui. Occorre entrare in relazione con Lui per poter aprire le Scritture dal di dentro. Gesù è la porta non solo per le pecore del gregge di Israele, ma anche per tutti gli uomini. Se quindi Gesù è la porta, come si passa attraverso di lui? Com’è salvato chi passa attraverso di lui? (Gv 10,9). La porta è allora l’umanità di Gesù, la sua stessa carne (Gv 1, 14). L’autore della Lettera agli Ebrei utilizza un’immagine che ha dei punti in comune con quella della porta, spiegando che attraverso il sangue di Cristo si passa attraverso il velo che ci separa dal santuario celeste: “fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne … accostiamoci con cuore sincero” (Eb 10,19-20. 22). Per lo scrittore sacro il velo è la carne di Cristo, che dobbiamo attraversare per giungere a salvezza. Attraversare la porta significa allora passare attraverso la carne di Cristo: è l’attraversare la Sua carne che ci mette in relazione reale con Lui, senza inquinamenti o riduzioni e ci rende suoi testimoni, abilitati ad andare in tutto il mondo e proclamare il Vangelo ad ogni creatura (cf Mc 16,15). La porta della carne di Cristo ci introduce nella Parola, ci conduce all’Eucarestia, ci rende pane spezzato e sangue versato nella carità operosa, appassionati di Dio, dell’umanità e dell’intera creazione: da Cristo si entra e si esce come discepoli e missionari!

 

 

  1. Per una rilettura pastorale

 

Fratelli e sorelle,

 

dobbiamo continuamente entrare ed uscire dalla Porta dell’Abitazione di Dio, se vogliamo annunciare assieme il Vangelo e contribuire ad edificare la Chiesa sinodale con i tratti della comunione, partecipazione e missione.

Seguiamo l’icona di Chiesa come ABITAZIONE/edificio certi – come afferma la lettera agli Ebrei – che siamo noi la CASA di Dio (Eb 3, 6) in questo mondo ed in questo preciso momento storico. Storia/tempo e geografia/territorio ci vengono consegnati in Cristo dal Padre Creatore perché ne siamo “custodi e coltivatori”. Guardando alla Casa-Abitazione di Dio, di cui ognuno di noi è pietra viva, in comunione con tutte e tutti, cerchiamo di dare enfasi ad un elemento dell’edificio: la porta. Si tratta dell’unico elemento edilizio usato da Gesù nei Vangeli. Lo si ritrova, oltre che in Gv 10, 1ss, anche in Mt 7,13 e Lc 13, 24, dove il Signore invita a passare per la porta stretta.

 

  • La porta è allo stesso tempo l’elemento più importante (senza di esso l’edificio è inaccessibile ed inutilizzabile) e più debole (non sorregge nulla e deve essere contenuta, sorretta e custodita). Se è così, allora avere cura dell’Abitazione/Chiesa significa custodire le debolezze, non averne paura, partire da ciò che è debole, non da ciò che può apparire pieno di forza o promettere certezza. C’è un punto di debolezza che si evidenzia particolarmente oggi per noi che abitiamo il Gargano e che sa in modo particolare di Vangelo: siamo una Chiesa di periferia. La periferia non possiede la forza del centro, facilmente governato e protetto; non si fregia della visibilità del centro, ammirato da tutti; non ha a disposizione la forza economica del centro, di solito sede della ricchezza e luogo dove si prendono le decisioni che contano e intendono condizionare tutti. La periferia porta con sé contraddizioni e debolezze, è campo di sfida di forze contrapposte e sovente espressione di poteri di parte, quando addirittura non criminali che intendono spartirsi e dominare il territorio vincolando gli abitanti. La presenza della Chiesa in periferia è presa di coscienza di tali fragilità, è accoglienza e cura delle ferite che ne conseguono, è balsamo di pace, è impegno a tracciare nuove architetture di relazioni civili ed ecclesiali. La periferia è l’humus, il campo affidato alla Chiesa, per seminare e coltivare i valori ed il messaggio del Vangelo: non c’è quindi ambiente migliore per essere costantemente in missione della periferia.

 

  • La porta è mobile per garantire le due funzioni: entrare ed uscire. È luogo di passaggio/transito, non posto dove sostare/fermarsi! La porta va lasciata sempre libera, non può essere ostruita da nulla e nessuno, perderebbe la sua funzione. Se è così, allora dare accesso alla Abitazione/Chiesa significa curare gli spazi e i luoghi di libertà e saperli presentare al popolo. Dare accesso alla Chiesa richiede di incentrare l’annuncio partendo dall’anelito di libertà prima che dalla logica e dalla funzione della legge, o dal ripetere le abitudini consolidatesi nel tempo. Ricordiamoci che il Vangelo precede il diritto; la legge ha solo valore “pedagogico”, non costituisce il contenuto salvifico.

 

  • La porta non è solo un elemento dell’edificio Chiesa, ma anche indicazione/distinzione di spazi: la porta è posta sulla soglia e indica un confine posto per essere transitato. Il confine della soglia non ha la caratteristica dell’invalicabilità, meno ancora la divisione netta costituita da un muro, o la sorveglianza di una “dogana”. Si tratta di un confine aperto e mobile, che invita ad oltrepassarlo continuamente, che non chiede la presentazione di documenti d’identità o certificati di accoglienza. La soglia è il vero confine della Abitazione/Chiesa, è lo spazio sacro/santo da allargare ed estendere. La soglia spinge gli abitanti dell’Abitazione/Chiesa alla missionarietà da estendere “fino ai confini del mondo”!

 

La porta dunque non è solo un luogo e momento di passaggio per chi entra in contatto con la comunità dei discepoli di Cristo. Passare attraverso la porta è attraversare Cristo, è il momento fondante di ogni esperienza di fede e di Chiesa. La comunità ecclesiale deve mettersi al servizio di ogni uomo perché possa incontrare il Cristo, per questo deve aver cura della porta: attraversarla significa entrare nelle celebrazioni, ascoltare l’annuncio di salvezza, formarsi alla carità e alla vita fraterna. Chiunque arriva deve essere accolto e accompagnato perché possa incontrare Lui, il Crocifisso Risorto, Salvatore del mondo. Per raggiungere tale obiettivo, che è la motivazione della sua esistenza, la comunità dei discepoli di Cristo deve essere disposta a tutto, anche a cambiare le proprie abitudini e vedere sconvolti i propri piani: deve essere disposta a lasciarsi scoperchiare il tetto della casa (Lc 5,19) perché ognuno trovi il suo modo di raggiungere il Maestro e lasciarsi da lui curare e guarire. Gesù ci consegna, in quanto discepoli-missionari, l’impegno di attivare quella che denominerei la missionarietà della soglia.

 

  1. La missionarietà della soglia

 

Per spiegare alcuni aspetti della missionarietà della soglia ed indicarne le sfumature prendo spunto dall’atteggiamento del Padre misericordioso della omonima parabola, conosciuta anche come parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32). È Lui che da lontano vede il figlio scappato di casa mentre, barcollando e appesantito dalla vergogna, sta percorrendo la via del ritorno, ed allora per primo supera la soglia e gli corre incontro. Ed è sempre Lui che esce e si ferma sulla soglia per invitare il figlio maggiore, che non si è mai allontanato da casa, ad entrarci con cuore gioioso di misericordia e non appesantito dalla pretesa di ergersi a giudice.  Il linguaggio e gli otto titoli dei paragrafi che seguono possono sembrare dallo stile un po’ “poetici”, ma mi sembrano tutti estrapolabili dal meraviglioso testo del Vangelo di Luca e, al tempo stesso, tipici del carattere del Padre misericordioso.

Inoltre la metafora della soglia è stata abbondantemente utilizzata dal mio predecessore, il compianto Mons. Michele Castoro, nelle Linee pastorali 2016-2017, intitolate Il sogno condiviso: cristiani sulla soglia, e come sottotitolo per una Chiesa sinodale. Il testo è incentrato sul commento al primo dei verbi del Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze 2015: “uscire”. Così Mons. Castoro sognava la Chiesa sulla soglia: «una Chiesa dalle porte aperte, che quando esce nel mondo non lascia il Cristo nelle chiese e quando entra in chiesa non lascia il mondo fuori».[13]

Ecco ora otto passi per delineare quella che, guardando ai testi evangelici richiamati, oso definire la missionarietà della soglia.

 

 

La missionarietà della soglia significa non fermarsi solo a chi è vicino, o già abituato a frequentare l’abitazione, ma avere sguardi giusti per intercettare tutti coloro che sono ancora lontani o che vi passano accanto indifferenti e senza accorgersi. Non accontentarsi di chi già c’è, ma provocare l’entrata dei passanti ed il ritorno di chi, allontanatosi, si attarda a tornare. Sulla soglia gli altri, che ci passano accanto, sono per la Chiesa una visitazione divina, un’epifania sulla strada. Dio, nella carne dell’umanità, cerca oggi riparo e casa in cui far nascere e rinascere una fede che giace spenta, assopita o addomesticata in molti cuori appesantiti e distratti.

La soglia è il luogo dei volti che si affacciano curiosi, degli sguardi appena posati e degli ammiccamenti leggermente accennati, dei corpi sagomati di tanti viandanti in cerca di una meta non sempre individuata. La soglia è il luogo di tante mani che non hanno il coraggio di bussare alle porte che ai loro occhi appaiono chiuse, perché non sanno che cosa stiano cercando. La prima missione è non far cadere nel vuoto questo silenzioso appello, questo labile e sottile anelito, ma cercare di decifrarlo e accoglierlo, annunciare il Vangelo con discrezione e rispetto perché venga nutrito con parole adeguate, giuste e con gesti profetici, capaci di riaccendere la sete di Dio presente nel cuore dei tanti che passano davanti alla soglia. A questa sete non bisogna restare indifferenti e sordi.

 

 

Stare sulla soglia non è solo questione di spazio, ma soprattutto di cuore; non è segno di potere o indicazione di proprietà, ma di esposizione ed apertura. La soglia non avvinghia, non blocca il passo, ma invita ad entrare ed ospita. La soglia è sempre aperta, allarga gli orizzonti e li rende lungimiranti, tanto per chi abita nella casa, che per chi si trova a passare fuori. Include senza accerchiare, accoglie senza imprigionare o imbrigliare. Stare sulla soglia deve essere inteso da chi ci passa davanti come un invito ad attraversarci, deve dare a tutti il permesso di passare dentro di noi sia come singoli che come comunità, di entrare senza dover presentare chissà quali credenziali o dover pagare pegno. Sulla soglia si sta spogli, senza alcuna padronanza, ma sempre con l’atteggiamento di chi invece è pronto a custodire, vegliare-vigilare, attendere, perché il passaggio sia sempre libero ed aperto. Stare sulla soglia è ricevere gli altri nella gratuità di chi non chiede nulla, neanche di restare, che ha come unica intenzione di lasciare in chi ci fa visita le tracce di un amore che potrebbe farlo tornare e sentire sempre di poter essere accolto in “casa”.

 

 

La soglia è crocevia di volti e di storie che aspettano di essere ascoltate e accolte. Luogo di incontri dove è possibile intrecciare relazioni spezzate, e agganciare vissuti che sembrano andare alla deriva.  Tuttavia, non è possibile incontrarsi rimanendo chiusi nel proprio io, o arroccati nelle proprie difese, irrigiditi nelle proprie abitudini, anche quando si tratta di abitudini e tradizioni spirituali o pastorali.

L’incontro è vero solo se è disarmante e se disarma: per questo gli incontri più veri sono spesso imprevisti, rompono i nostri schemi e ci spiazzano. Ogni incontro esige un radicale decentramento, un esodo perenne che ci dà il coraggio di affiancarci silenziosamente ai tanti viandanti in cerca dell’Assoluto non creduto. L’incontro è il tocco di due uscite. Non è avanzamento o conquista, ma commozione e smisurata tenerezza, sul modello del Padre misericordioso della parabola. È esercizio di compassione sul modello di Gesù che, nel vedere le folle essere come un gregge senza pastore, si inteneriva e per loro soffriva.[14] È decidere di avvicinarsi e camminare insieme come il compagno dei discepoli di Emmaus, e così far ardere i cuori.[15]

Non ci si incontra per accreditarsi, o peggio, accalappiare coscienze ritenute smarrite, ma solo per celebrare la dignità di chi si è smarrito nella propria fragilità. Non premia mai approfittare delle difficoltà altrui per “appioppargli” Dio come uno che gli risolve i problemi. Nella cultura contemporanea siamo chiamati a vivere una missione speciale: aiutare a passare da un Dio-tappabuchi, che risolve i problemi, a un Dio che invece “buca” le nostre false certezze e sicurezze (che sono idoli), generando feritoie con cui costringerci a fare i conti con i nostri deserti e i nostri vuoti. E così il Dio, Padre misericordioso, prima ci farà scoprire le ferite e poi le curerà e porterà a guarigione.

 

 

La missionarietà della soglia esige una “pedagogia dell’erranza” come unica modalità per restare, con atteggiamenti miti e misericordiosi, accanto a chi si è allontanato o è lontano dalla Chiesa. Non importa se tale allontanamento e rifiuto è dovuto a errori, difficoltà varie, scontri o scelte più o meno pensate: ciò che conta è tenere aperta la possibilità di relazioni e di ritorno, è non perdersi d’occhio nonostante la distanza cresca. Tentennare non è segno di debolezza o di pusillanimità, ma è lasciarsi colpire, quasi ferire, dai dubbi, dalle incertezze e dalle scelte altrui. È sposare la logica del pudore, delle domande da suscitare prima di procedere a dare risposte già pronte e preconfezionate, magari risposte a domande mai poste.

La soglia è luogo di elaborazione e di interrogazione. Sulla soglia si sta con la convinzione che bisogna accettare i rifiuti, senza mai stancarsi di annunciare e accogliere, dialogando e perdonando coloro che non ci capiscono, dando loro il tempo di pensarci ed a noi di analizzarci in coscienza, per capire dove forse abbiamo mancato. La missionarietà della scoglia abbandona l’abitudine a aprire la porta solo alle persone che la pensano come noi o che riteniamo siano in possesso delle credenziali corrette: vorrebbe dire che ci riteniamo in possesso del potere di pianificare le scelte, addomesticare le coscienze, decidendo al posto degli altri i tempi di maturazione religiosa e di conversione evangelica.

La soglia esprime bene la situazione epocale di oggi, perché è il luogo delle libertà mobili, sempre pronte a negare ciò in cui riteniamo di credere, dove i rifiuti e dinieghi sono all’ordine del giorno, dove i legami liquidi tormentano le certezze e con queste i calcoli e piani pastorali, mettendo alla prova la tenuta della nostra stessa fede. Commentando il libro di Rut, Luigino Bruni scrive che «noi, in perenne ricerca di un centro, non lo troviamo più perché non lo cerchiamo sulla soglia».[16] Con la missionarietà della soglia passiamo da una pastorale sedentaria, che ha la pretesa di catturare – seducendo con una religiosità basata su solo emozioni, vecchie e nuove che siano – a una pastorale nomade e flessibile, che rende sempre pronti a partire con chi chiede di fare con lui non uno, ma due miglia o più (cfr. Mt 5,41).

 

 

Gesù nella parabola descrive il comportamento del Padre, che da lontano intravede il figlio, con tre azioni: “gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Si tratta dei segni e del gesto dell’abbraccio! La missionarietà della soglia richiede una pastorale che sappia farsi abbraccio per chi ha sperimentato il naufragio delle relazioni, per chi non è abbracciato da nessuno e sta mendicando incontri significativi e capaci di ridonare senso e vita, per chi, forse, non sa abbracciarsi neanche quando è solo. E chi non sa abbracciare sé stesso da solo, difficilmente saprà abbracciare l’altro. Ora, aiutare l’uomo ad abbracciarsi e ad abbracciare, presuppone che egli si scopra abbracciato da qualcuno – che per noi è il Dio-Trinità – che in sé è abbraccio e bacio.

In fondo, come credenti e discepoli del Risorto, siamo figli dell’abbraccio trinitario di cui facciamo continuamente memoria nella comunione che viviamo in ogni celebrazione liturgica. E nella Trinità, come ha detto Gesù, vi sono molti posti (cfr. Gv 14, 2). C’è posto per tutti, specie per chi non ha più un posto nel cuore e nella vita di qualcuno, per le vite di scarto o di chi si sente tale.

Insomma, la soglia non è solo luogo antropologico, ma anche un luogo teologico. La soglia è luogo trinitario: è l’accesso alla Trinità! Da ciò consegue che, come Chiesa icona della Trinità nella storia, una comunità credente, che voglia attuare la missionarietà della soglia, sente di dover correre ad abbracciare il suo territorio, ogni strada, condominio e luoghi che la connotano, perfino il porcile (cf Lc 15, 15), dove il figlio minore si era perduto, dove Dio è ignorato e negato.

 

 

“Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani” (Gv 20,27), così disse Gesù a Tommaso che cercava prove del Risorto. Le mani di Gesù non si sono tese solamente per permetterne la crocifissione, ma lo sono state sempre durante tutto il tempo della sua missione. Si sono fatte carico delle debolezze e delle cadute dell’adultera, della malattia del lebbroso, delle infermità del cieco nato, del paralitico, dell’epilettica e dei posseduti dal demonio. Si sono tese per rialzare la giovane ragazza alla quale disse “Talità kum” (cf Lc 7, 14), per fare spazio agli amori sbagliati della Samaritana e hanno afferrato quelle di Zaccheo sporche di ruberie. La soglia è il luogo delle mani che si tendono ed afferrano, che sanno prendersi cura di tutti coloro che hanno perso il coraggio di lasciarsi prendere per mano o di offrire la propria mano. La soglia è quel luogo dove la confusione del mondo, da noi patita e assunta, ritrova armonia e ordine nella nostra pace interiore. La soglia è il posto dove le mani si stringono ed avvertono il calore dell’amore che dà vita e significato.

Se, come Tommaso, abbiamo messo le nostre mani nelle mani del Risorto, sapremo tendere la mano ed afferrare quelle del prossimo in una stretta che costruisce vera fraternità. La missionarietà della soglia tiene aperta la porta di casa, tende la mano invitando ad attraversarla e così riannoda le relazioni che costituiscono «i quattro codici della vita umana: filialità, maternità, paternità, fraternità»[17] e fanno famiglia.

 

 

La missionarietà della soglia è quella capace di far sentire da lontano la festa che si celebra nella casa dove abita la misericordia e mantiene aperta sempre la porta. Viviamo nell’epoca delle passioni tristi e si è persa la capacità di gioire; e se si gioisce è solo per sperimentare emozioni da consumare a ritmo frenetico e non per alimentare radici spirituali su cui edificare la propria esistenza.

Il mondo sembra diventato sordo ai canti ed alle musiche del Vangelo; come ha osservato Papa Francesco nell’esortazione apostolica sulla santità, Gaudete et exultate, la gente oggi forse gode, ma non è più capace di gioire. La sfida della Chiesa è evangelizzare le false gioie del mondo contaminandole con la vera gioia del Risorto; è salvare l’umanità contemporanea dalla tristezza provocata da una fame fraintesa e soddisfatta con cibi che non saziano ed avvelenano. Purtroppo, però, anche le nostre comunità credenti si lasciano contagiare dalla tristezza mondana, nascosta dietro gioie effimere ed avvelenate, e finiscono col presentare un volto triste. Così molte iniziative pastorali sanno più di assuefazione e di adattamento alla moda del momento che di innovazione e di cambiamento, e finiscono col soffocare la gioia del Vangelo. Se teniamo aperta la porta, allora dalla soglia usciranno musiche e canti di festa e si oserà azzardare passi di danza con quanti li ascoltano dall’esterno!

Ma chi danza se non chi ha avuto il coraggio di guardare negli occhi il dolore e ora sa che esso non ha l’ultima parola? Ha capito questo don Tonino Bello che in un breve testo dal titolo “Maria, Donna che conosce la danza”, così prega: “Maria, donna dell’eclisse totale, ripeti la danza attorno alle croci dei tuoi figli. Se ci sei tu, la luce non tarderà a spuntare. E anche il patibolo più tragico fiorirà come un albero in primavera. Santa Maria, donna che ben conosci la danza, facci capire che la festa è l’ultima vocazione dell’uomo. Accresci, pertanto, le nostre riserve di coraggio. Raddoppia le nostre provviste di amore. Alimentaci le lampade della speranza. E fa’ che, nelle frequenti carestie di felicità che contrassegnano i nostri giorni, non smettiamo di attendere con fede colui che verrà finalmente a mutare il lamento in danza e la veste di sacco in abito di gioia”.

 

  • Accennare canti polifonici che diffondono bellezza

 

La soglia è il frammezzo tra il dentro e il fuori, non intende segnare una linea di separazione o un confine che crea dualismi e sovrapposizioni; la soglia è spazio di contaminazione: dentro e fuori, due luoghi che richiedono continuo rapporto e relazione reciproca. Allora, se chi sta dentro canta, perché lì ha trovato “tutte le sorgenti” (cfr. Sal 87), chi da fuori passa e sente, potrebbe chiedersi perché mai dentro si canta, incuriosirsi e provare ad entrare.

Come capita a volte di “parlarsi addosso”, così può capitare anche “di cantarsi addosso”, ed invece di incuriosire ed attrarre chi sta passando si finisce ad annoiare sé stessi. Come sarebbe bello se le comunità cristiane diventassero luoghi dove si intonano non solo canti di adorazione, rivolti a Dio, ma anche canti di tenerezza e cura rivolti all’umanità ed al creato. Come sarebbe bello se i canti delle nostre liturgie debordassero al di fuori e diventassero anche canti di liberazione dell’uomo e per l’uomo. Non solo canti di celebrazione, ma anche canti di promozione umana, ricchi di gioia per una umanità ritrovata dopo che è stata smarrita; canti rivoluzionari, i quali per essere tali, esigono rivoluzioni interiori ed un respiro aperto sulla realtà. Non canta chi è schiavo, chi è solo, chi è schiacciato dai propri fallimenti, chi ha la notte nel cuore, o chi è prigioniero dei peccati che non sa riconoscere. Non abbiamo il diritto di cantare in Chiesa i salmi della lode e della gioia, se non sappiamo cantare i salmi del dolore che vengono intonati fuori, nel mondo e nella vita di tuti i giorni. Che i nostri canti siano allora canti polifonici e non solitari! E, si sa, nei canti polifonici non si canta mai per emergere e primeggiare con la propria voce su quella degli altri. Tutti cantano, anche chi a volte pare sia stonato, ciascuno con le proprie note, ma in armonia e in sintonia con gli altri, a tempo di comunità e con la ricchezza della diversità. I canti polifonici sono canti di liberazione, ma anche canti di comunione e di partecipazione, canti che profumano le strade di servizio e di gratuità, per una giustizia sociale e per una amicizia e fraternità che supera egoismi e conflitti. Canti polifonici in ogni tono e nota dicono amore e prossimità e così celebrano l’icona che ogni uomo è della Trinità: chi canta Dio Trinità, canta l’uomo Sua immagine!

Così, come cristiani “sulla” e “della” soglia potremo riaccendere per tutti la bellezza perduta e dimenticata, offesa e calpestata, per farla di nuovo tornare a risplendere in pienezza. La soglia non è la vetrina dove la bellezza di ciò in cui crediamo viene esibita, ostentata, fruita o consumata, ma è lo spazio dove la bellezza della nostra fede, speranza e carità, viene appena sussurrata, bisbigliata, accennata e fatta desiderare. Testimoniare la fede, sostando sulla soglia, significa farlo non per sedurre, accalappiare, incantare, per fare numero o, peggio ancora, per “influenzare”. Noi discepoli del Signore non siamo gli influencer della fede! No! Noi siamo i testimoni della fede incarnata. La missionarietà della soglia è missionarietà della vigilanza, della cura, della custodia, dell’ascolto attivo, della militanza coraggiosa e della profezia.

La comunità credente, quando vive la profezia, sa intonare canti alter-nativi, nati dallo sguardo dell’Altro, del Padre misericordioso che risana e perdona. Così il dono dello Spirito Santo prima ancora che rinnovare la faccia della terra, rinnova lo sguardo di chi la osserva facendogli sperimentare il gusto della custodia e della cura. Non solo si canterà con giubilo dinanzi al raccolto (cf Sal 125), ma si avrà la certezza che anche le generazioni future potranno continuare a cantare con giubilo, perché avremo custodito e trasmesso in eredità a loro i beni della casa comune. L’armonia nel canto non è mai sinonimo di univocità, ma capacità di mettere assieme le diversità, ospitare le differenze, custodire l’originalità, fare il possibile perché ognuno esprima sé stesso e intoni il magnificat della propria esistenza. Accennare, dalla soglia, canti polifonici è affidarsi a Dio Padre, competente direttore d’orchestra, che farà di tutti una poliedrica sinfonia e di ciascuno un fratello unico e irripetibile.

 

Quanto ho presentato come missionarietà della soglia e scandito in otto passi, trova riscontro anche negli scritti di don Tonino Bello. Il venerabile vescovo di Molfetta, riflettendo sulla necessità di mettere in pratica, nei confronti delle persone che passano accanto e bussano alle porte delle comunità cristiane, un atteggiamento di apertura ed accoglienza ha parlato di “pedagogia della soglia”. Intendeva, con questa formula, la capacità di sostare «sul portone della loro coscienza, senza invaderla. Mettetevi, perciò, accanto a loro, senza prevaricare. Aiutateli con discrezione a costruirsi sul progetto-vangelo, ma con i materiali afferenti che la storia e la vita prepongono, un valido sistema di significati, una coerente scala di valori, un apprezzabile quadro di riferimento, attorno a cui giocarsi la libertà. E infine, è necessario attrezzarsi di un grande entusiasmo. Che poi, in ultima analisi, è consuetudine con Gesù Cristo. Senza questa alacrità spirituale non si può essere educatori. Solo un traboccamento d’amore vi renderà capaci di far crescere personalità forti. Vi darà il diploma di promotori di coscienze libere. Vi farà esperti nell’allenare i ragazzi a prese di posizione coerenti. E vi conferirà il prestigio sufficiente per stimolare ognuno di loro a un (decidersi per) in prima persona».[18]

 

  1. Dall’ascolto ai cantieri

 

Dall’ascolto del popolo e della Chiesa, sia a livello italiano che diocesano, nel biennio 2021-2023 sono emersi tre cantieri, denominati di Betania con riferimento agli episodi evangelici che hanno come ambiente la casa dei fratelli Lazzaro, Marta e Maria.[19] Si tratta di cantieri già avviati, ma che devono essere tenuti aperti e perseguiti per dare una prospettiva alla fase sapienziale che si sta aprendo.

 

  • Coscienza dell’esistenza di un divario semantico tra i praticanti e i non praticanti.

 

Siamo nel centenario della nascita di don Lorenzo Milani, sono significative e profetiche alcune riflessioni sulla processione del Corpus Domini che riporta in Esperienze pastorali. Appuntando la presenza di tanti spettatori e pochi partecipanti e sottolineando le aspettative e le preghiere dei due sacerdoti dediti alla parrocchia nei confronti degli indifferenti e dei lontani, osserva come l’anziano parroco Don Daniele Pugi pregasse: “perdonali perché non son qui con te!”; mentre lui, giovane cappellano, si esprimeva: “perdonaci, perché non siamo là con loro!”. È autentica la preghiera di entrambe, ma Don Milani ci insegna come la parrocchia non sia composta solo dai fedeli: ci sono anche gli infedeli, i lontani, gli spettatori della fede … i passanti casuali ed indifferenti. Bisogna trovare un linguaggio ed un percorso che ci aiuti a superare il divario praticanti e non praticanti, nella coscienza che anche tra i praticanti il lessico ecclesiale rischia di ridursi a formule desuete, espressione di una frustrazione spirituale, perché non si trova più quello che si cerca o si vorrebbe comunicare.

In realtà il “divario” è molto più esteso, e non può essere limitato alla sola fascia della “pratica sì e no”. È questione di approccio culturale, di interessi diversi che si basano su giudizi/pregiudizi il più delle volte divisivi. Si tratta di dare alla Chiesa tutta, ed a quella locale in particolare, il volto dell’ascolto e la capacità dell’utilizzo dello strumento del dialogo. Dobbiamo saper presentare il volto di una Chiesa che sa stare in strada e nelle piazze, riscoprendole come i luoghi della testimonianza e dell’attrazione, come i palcoscenici dell’incontro e dell’annuncio, senza dimenticare che oggi tra le strade e le piazze da frequentare ci sono anche quelle del continente web (cfr. il primo cantiere di Betania: cantiere della strada e del villaggio).

 

  • Bisogno di rivedere ed aumentare i punti di accesso alla vita comunitaria.

 

Occorre andare all’identità propria di ciò che significa essere Chiesa. L’identità precede e supera tutti gli aspetti istituzionali e giuridici; rinnova continuamente le strutture rendendole luoghi e spazi di ospitalità, capaci di favorire l’incontro con tutti. L’identità apre strade perché tutti nella comunità, che crede ed annuncia Cristo, possano trovare cittadinanza. Si tratta di recuperare l’atmosfera ed il calore della “casa-oykìa” prima che del “para-oykìa”.

È importante continuare a lavorare sull’accoglienza ed aprire accessi, evitando il più possibile ciò che indica separazioni o pone condizioni e/o limiti. Il fenomeno della “migrazione”, che tanto segna il cambiamento d’epoca in cui siamo inseriti, vale anche per i riferimenti parrocchiali e non solo per quelli nazionali. Non esiste più l’identificazione di appartenenza territoriale stretta, e diventa un fenomeno abituale oggi “l’emigrare” dalla parrocchia territoriale a quella affettiva (cfr. il secondo cantiere di Betania: cantiere dell’ospitalità e della casa).

 

  • Obiettivo da raggiungere: sentirsi meno “parrocchia” e più Chiesa.

 

Non si tratta di ritenere la parrocchia una struttura caduca (cf EG 26-28), ma di ripensarla piuttosto in vista di un obiettivo da perseguire per il futuro; futuro che è già presente nella cultura contemporanea e nella nostra popolazione, specie nelle nuove generazioni. Diventa strategico ritrovare il contatto con i giovani ed i loro ambienti di vita; come è strategico il rapporto con le fasce della società che propongono della stessa una lettura critica e propositiva (= la così detta società civile attiva). Oltre a rendere le nostre parrocchie, comunità religiose, associazioni e movimenti accoglienti, dobbiamo anche imparare a farci ospitare dagli altri. Gesù, del resto, nel Vangelo non ha chiesto ai suoi discepoli di costruire luoghi o creare eventi organizzati e spettacolari per la missione evangelizzatrice, ma piuttosto di farsi accogliere nelle case e nella vita della gente[20]. Abbiamo bisogno di formare, ma anche di lasciarci formare per entrare in sintonia con la gente e poter annunciare il Vangelo e farlo sentire attraente al cuore e bello da vivere. L’annuncio e la proposta cristiana non possono apparire fuori dal mondo od appartati da esso, sarebbe contrario al principio dell’incarnazione che costituisce l’essenza della fede in Cristo (cfr il terzo cantiere di Betania: cantiere delle diaconie e della formazione spirituale).

 

In continuità con i cantieri sopra evidenziati, propongo tre osservazioni per dare forza a quanto emerso durante la fase narrativa dell’ascolto ed è stato evidenziato sia nella nostra Sintesi Diocesana, che in quelle della Chiesa d’Italia ed europea. Ad ogni osservazione faccio seguire un impegno pastorale permanente da perseguire.

 

  • Il cammino sinodale come missione non come conservazione

Questo aspetto emerge da tre numeri del Documento di lavoro per la Tappa Continentale (d’ora in poi DTC) del sinodo universale, dal titolo “Allarga lo spazio della tua tenda” (Is 54,2), che qui riporto integralmente come spunto di riflessione e motivazione al discernimento operativo:

«Nelle sintesi, il Popolo di Dio esprime il desiderio di essere meno una Chiesa di mantenimento e conservazione, e più una Chiesa che esce in missione. Emerge un collegamento tra l’approfondimento della comunione attraverso la partecipazione e il rafforzamento dell’impegno per la missione: la sinodalità conduce a un rinnovamento missionario» (n. 99).

 

«Il DTC così è lo strumento privilegiato attraverso cui nella Tappa Continentale si può realizzare il dialogo delle Chiese locali tra di loro e con la Chiesa universale. Per portare avanti questo processo di ascolto, dialogo e discernimento, la riflessione si focalizzerà intorno a tre interrogativi: − Dopo aver letto il DTC in clima di preghiera, quali intuizioni risuonano in modo più intenso con le esperienze e le realtà concrete della Chiesa del vostro continente? Quali esperienze vi appaiono nuove o illuminanti? − Dopo aver letto il DTC e aver sostato in preghiera, quali tensioni o divergenze sostanziali emergono come particolarmente importanti nella prospettiva del vostro continente? Di conseguenza, quali sono le questioni o gli interrogativi che dovrebbero essere affrontati e presi in considerazione nelle prossime fasi del processo? − Guardando a ciò che affiora dalle due domande precedenti, quali sono le priorità, i temi ricorrenti e gli appelli all’azione che possono essere condivisi con le altre Chiese locali nel mondo e discussi durante la Prima Sessione dell’Assemblea sinodale nell’ottobre 2023?» (n. 106).

 

«Il processo che conduce dalla pubblicazione del presente DTC alla redazione dell’Instrumentum laboris sarà scandito dai seguenti passi: 1) Il DTC sarà inviato a tutti i vescovi diocesani; ciascuno di loro, insieme alla équipe sinodale diocesana che ha coordinato la prima fase, provvederà a organizzare un processo ecclesiale di discernimento sul DTC, a partire dalle tre domande sopra indicate al n. 106. Ogni Chiesa locale avrà così la possibilità di mettersi in ascolto della voce delle altre Chiese, raccolte nel DTC, e di darvi risposta a partire dalla propria esperienza» (n. 109).

IMPEGNO: rendere la sinodalità lo stile permanente della vita e delle scelte della Chiesa locale e delle singole comunità credenti, in quanto aperte alla missione ed al futuro che viene dallo Spirito.

  • Cosa vedono, a cosa tengono i giovani europei di oggi?

Il Card. Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali europee, così si è espresso: «la nostra pastorale parla ad un uomo che non esiste più. Dobbiamo essere capaci di annunciare il Vangelo, e far capire il Vangelo, all’uomo di oggi che per lo più lo ignora. Questo implica una grande apertura da parte nostra, e anche la disponibilità — pur fermi nel Vangelo — a lasciarci trasformare anche noi. […] Prima di essere cardinale sono un prete; un pastore. E io vedo costantemente che i giovani smettono di considerare il Vangelo, se hanno l’impressione che noi stiamo discriminando. Per i giovani di oggi il valore più alto è la non discriminazione. Non solo quella di genere, ma anche etnica, di provenienza, di ceto sociale. Sulle discriminazioni si arrabbiano proprio! Qualche settimana fa ho incontrato una ragazza ventenne che mi ha detto ‘voglio lasciare la Chiesa, perché non accoglie le coppie omosessuali’, io le ho chiesto ‘ti senti discriminata perché sei omosessuale?’, e lei ‘No, no! Io non sono lesbica, ma la mia più cara amica lo è. Conosco la sua sofferenza, e non intendo essere parte di quelli che la giudicano’. Questo mi ha fatto riflettere molto».[21]

 

Per entrare in relazione e rispondere alle esigenze dei giovani di oggi ci vuole una Chiesa dalle “porte aperte” come indicato in Christus Vivit al n 234. Riporto per intero il paragrafo dell’esortazione apostolica post-sinodale perché indica un “processo” di pastorale giovanile da tenere sempre presente:

 

«Nel Sinodo si è esortato a costruire una pastorale giovanile capace di creare spazi inclusivi, dove ci sia posto per ogni tipo di giovani e dove si manifesti realmente che siamo una Chiesa con le porte aperte. E non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani. Basta un atteggiamento aperto verso tutti quelli che hanno il desiderio e la disponibilità a lasciarsi incontrare dalla verità rivelata da Dio. Alcune proposte pastorali possono richiedere di aver già percorso un certo cammino di fede, ma abbiamo bisogno di una pastorale giovanile popolare che apra le porte e dia spazio a tutti e a ciascuno con i loro dubbi, traumi, problemi e la loro ricerca di identità, con i loro errori, storie, esperienze del peccato e tutte le loro difficoltà».[22]

 

IMPEGNO: non ci può essere sinodalità se si vivono o semplicemente si fanno intravvedere atteggiamenti “discriminanti” verso persone, generazioni e visione di futuro. L’ascolto e l’accoglienza, senza pregiudizi, dei giovani e dei poveri sono parte costitutiva e inseparabile dell’annuncio del Vangelo.

 

  • “Il grido della pace. Religioni e culture in dialogo: la pace è santa, la guerra non può mai esserlo!”

 

A sessant’anni dall’enciclica di San Giovanni XXIII Pacem in Terris,[23] rivolta a “tutti gli uomini di buona volontà”, la pace resta la sfida principale e urgente per l’intera umanità ed il pianeta. Il magistero di papa Francesco è un continuo grido per fermare la violenza della guerra che semina morte ovunque e che è tornata a sconvolgere il cuore della stessa Europa con scenari imprevedibili di distruzione. Riporto due interventi del Santo Padre dello scorso ottobre che spingono noi cattolici ad uscire da posizioni di “neutralità” o equivoci equilibri strategico-ideologici nell’affrontare il binomio guerra-pace:

«Non siamo neutrali ma schierati per la pace. Perciò invochiamo lo ius pacis come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza […] I governanti facciano tutto quello che è in loro potere per

salvare la pace […] Il grido della pace esprime il dolore e l’orrore della guerra, madre di tutte le povertà. […] La pace è nel cuore delle religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio».[24]

«La Chiesa cattolica – la Chiesa, la santa madre Chiesa – è madre, madre di tutti i popoli. E una madre, quando i figli sono in litigio, soffre. La Chiesa deve soffrire davanti alle guerre, perché le guerre sono la distruzione dei figli. Come una mamma soffre quando i figli non vanno d’accordo o litigano e non si parlano – le piccole guerre domestiche – la Chiesa, la madre Chiesa davanti a una guerra come questa nel tuo Paese, deve soffrire. Deve soffrire, piangere, pregare. Deve assistere le persone che hanno avuto delle conseguenze brutte, che perdono la casa o ferite di guerra, morti […] La Chiesa è madre e il ruolo prima di tutto è vicinanza alla gente che soffre. È la madre, è come una madre».[25]

 

IMPEGNO: la sinodalità impone di non essere neutrali o assenti rispetto alla pace, alle ingiustizie, alle ineguaglianze, all’ambiente. Non si tratta di valori “non negoziabili”, ma di “presenze ineludibili” da parte della Chiesa. Si tratta di luoghi esistenziali che la Chiesa deve abitare e in cui costruisce “casa” per sé ed a servizio del Mondo: un piano regolatore per il pianeta e l’umanità ispirato al Vangelo.

II PARTE

 

I primi frutti del secondo anno di ASCOLTO

  

            Vengono presentate di seguito innanzitutto la seconda sintesi diocesana sul cammino sinodale in corso nella Chiesa universale e italiana, e successivamente le sintesi dei lavori svolti nelle singole Vicarie sulle cinque sfide che hanno caratterizzato l’anno pastorale 2022-2023. Si aggiunge, al termine di questa seconda parte, un contributo che proviene dal tentare di portare l’esperienza sinodale in alcune delle scuole pubbliche del nostro territorio diocesano. Del contributo che proviene dal mondo della scuola ringrazio in particolare gli insegnanti di religione cattolica e li invito a continuare nel percorso intrapreso.

 

Come già sottolineato nella Nota Pastorale dell’anno scorso, consegnare questi lavori si deve ad una doppia motivazione: mantenere a livello di Vicaria l’impegno a sviluppare quanto emerso dalla sfida trattata per il futuro prossimo e offrire un contributo di comunione tanto sulle sfide che sul cammino sinodale all’intera Arcidiocesi.

 

 

  1. SINTESI a livello DIOCESANO (a cura dell’Equipe Diocesana Sinodale) del secondo anno della Fase Narrativa del Cammino Sinodale per l’Anno pastorale 2022/23

 

L’Arcidiocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo ha scelto come cantieri – per il secondo anno della Fase Narrativa – di continuare a lavorare alle cinque sfide pastorali (celebrare la speranza, vivere la carità, trasmettere la fede, fare comunità, cittadinanza responsabile) che già da un anno orientano il lavoro nelle sue cinque zone pastorali che avrà durata complessiva di cinque anni. Cammino che prevede lo svolgersi delle cinque sfide in ogni zona pastorale nell’arco di cinque anni.

In questi primi due anni pastorali (2021/22 – 2022/23) tanta strada è stata percorsa ma occorre farne ancora. Il Sinodo è un percorso di grazia per la Chiesa lungo il quale emergono salite e discese, crisi e speranze. In particolare, alcune delle buone prassi proposte nel cammino di questi anni è necessario diventino pratiche sinodali da vivere nella quotidianità delle comunità dei credenti.

 

  • Esperienze significative nella fase narrativa

 

  1. Weekend formativi residenziali

Abbiamo vissuto dei weekend formativi residenziali che hanno permesso ad alcuni laici di crescere nella conoscenza reciproca, maturare relazioni significative, mettersi in gioco in prima persona e affrontare questioni pastorali ed esistenziali, al fine di giungere ad un discernimento comunitario. La sfida centrale è l’annuncio e l’impegno dei cristiani nel mondo. Nell’ascoltare tutti e nel tentativo di dialogare con tutti, provando a fare proposte e ad accoglierle nel più sereno dei confronti, è emerso un grande desiderio di annuncio. Si è notato che c’è tanta voglia di ascoltare, di confrontarsi, di mettersi in gioco ma al contempo si rileva il bisogno di competenze e di formazione continua. Non basta la buona volontà di dialogare con tutti, ma bisogna saper ascoltare e colloquiare per costruire insieme una verità condivisa, saper sedere al tavolo con gli altri soprattutto rispetto alle questioni della vita e del mondo. Questo può realizzarsi proponendosi in tali ambiti come lievito e luce. Tale obiettivo, evidentemente, richiama la necessità di formazione per il coinvolgimento nel mondo da cristiani.

 

  1. Momenti di ascolto e confronto nelle scuole

Abbiamo sperimentato alcuni tavoli di ascolto e di confronto nelle scuole con adolescenti e preadolescenti – a primo acchito meno propensi al dialogo con gli adulti – scoprendo una propensione maggiore verso l’ascolto e il confronto quando la testimonianza è ricca di fede, gioiosa, coraggiosa, appassionata e consapevole. L’incontro con il mondo giovanile ha messo in risalto la ricerca, da parte loro, di qualcosa di stabile e il bisogno di credibilità. Nel processo di crescita è necessario incontrare qualcuno che testimoni e veicoli nel modo e nei tempi giusti.

Resta, dunque, sicuramente una sfida quella di una testimonianza di vita alla luce della Parola da riflettere e trasmettere altrove, soprattutto nel rapporto con le nuove generazioni. Una questione di formazione che diventa propedeutica rispetto allo stile da acquisire.

 

  1. La corresponsabilità nelle comunità. Come sostenere una sinodalità che diventi poi abitudine ecclesiale?

Abbiamo proposto lungo l’intero anno pastorale 2022/23 una formazione rivolta ai presbiteri inerente il loro ruolo e il ministero all’interno delle Comunità credenti. Al tempo stesso, le varie comunità parrocchiali sono state spronate a riflettere sul proprio stile di essere Chiesa. Infine, abbiamo concluso il percorso con una giornata sinodale durante la quale tutti i protagonisti sono stati coinvolti in un confronto schietto e sereno circa la missione e l’identità dell’essere Chiesa oggi nei nostri territori. Ne è emersa la consapevolezza delle molteplici sfaccettature della realtà ecclesiale, tra luci e ombre, ma soprattutto la bellezza di “fare chiesa” assieme. Il “rilancio” della Chiesa, perciò, nella sua interezza va fatto a partire dalla base, rivedendo il rapporto preti/laici, giovani/adulti perché tutti vivano con passione la testimonianza di Cristo risorto alla luce della Parola.

 

  • Alcune piccole riflessioni che riteniamo illuminanti

 

Abbiamo scelto solo alcune delle iniziative legate alla fase narrativa che mettono in evidenza tre questioni che riteniamo centrali nel cammino sinodale:

  1. Occorre offrire una formazione rivolta ai laici affinché la Chiesa cresca sempre di più nella sua dimensione estroversa, come lievito nel mondo e nella storia. Riteniamo che le comunità credenti debbano accompagnare i battezzati nello svolgere la propria missione secolare.
  2. I credenti hanno urgente bisogno di recuperare la capacità di dialogare davvero con tutti. Le nuove generazioni sono tra gli interlocutori più significativi perché portatrici del nuovo che arriva e che non può essere trascurato per non rischiare l’insignificanza dell’annuncio evangelico. Il linguaggio dei credenti deve essere sempre più corrispondente alla grammatica della vita, conservando e rinnovando il sapore del Vangelo.
  3. La corresponsabilità all’interno delle vite comunitarie resta la sfida urgente per dare slancio alle diocesi e alle parrocchie, sia nell’affrontare la questione delle forze reali a disposizione (risorse umane, economiche, strutturali) sia per rendere lo stile sempre più partecipativo e comunionale. In un’epoca segnata da una nuova domanda di comunità, le nostre – per essere all’altezza di questo compito – devono rinnovare le loro dinamiche interne a favore di una nuova capacità di accoglienza e, soprattutto, nella capacità di farsi accogliere nei vari ambienti di vita (di qualsiasi identità culturale) per condividere gioie e dolori e portare con umiltà e disinteresse la luce del Vangelo.

 

  1. Restituzione delle SINTESI delle sfide da parte delle VICARIE

 

 

Nell’anno pastorale 2022/23 alla vicaria di Manfredonia è stata affidata la sfida “collaborare per una cittadinanza responsabile”. Il cammino è cominciato con un weekend formativo “sinodale” residenziale vissuto presso una struttura alberghiera nel mese di novembre. Hanno partecipato laici provenienti da diverse parrocchie e aggregazioni laicali in un sincero spirito di comunione.

 

È stato tempo di ascolto:

  • di alcuni laici che ci hanno raccontato del servizio svolto come volontari a favore dei più deboli mosso da profonda fede e caratterizzato dal coraggio di osare, di prendere l’iniziativa, di pensare risposte nuove per i bisogni che emergono nella città;
  • del nostro vescovo che ci ha indicato come ineludibile la presenza dei battezzati nei luoghi della povertà, del disagio, della salvaguardia dell’ambiente, dei processi di educazione e la necessità che questa presenza sia anche organizzata.

 

È stato tempo di confronto da cui sono emersi:

  • l’importanza di imparare a leggere i bisogni di chi abita il territorio per dare risposte adeguate;
  • l’indispensabilità di una solida formazione umana e spirituale;
  • il ruolo fondamentale che svolgono quei sacerdoti che incoraggiano e aiutano i laici ad essere fedeli alla propria vocazione di testimoni di Cristo nel mondo;
  • la necessità di fare rete tra le diverse comunità ed associazioni della vicaria.

 

È stato tempo di approfondimento della lettera pastorale Con Cristo Trasfigurati per un territorio e un popolo di trasfigurati, e di sinodalità in cui ogni partecipante ha avuto la possibilità di indicare quali dovrebbero essere le priorità per la vicaria. Eccone alcune:

  • comunità che si mettono in ascolto delle problematiche sociali del quartiere dando loro un nome e provano a dare risposte;
  • coinvolgimento nella vita della res pubblica collaborando con scuole ed Istituzioni;
  • attenzione particolare alla promozione di una cultura di legalità;
  • attenzione particolare ai giovani;
  • attenzione particolare ai quartieri periferici.

 

Nelle settimane successive si sono tenute in diverse parrocchie assemblee tese a sensibilizzare i laici ai temi della sfida. Il gruppo formatosi in occasione del weekend sinodale, di cui sono entrati a far parte anche altri che nel frattempo si sono aggiunti, ha individuato alcuni dei temi da cui cominciare. Così si è cercato di disegnare un piccolo percorso denominato comunità che generano valore, fatto di incontri con esperti vari che potessero aiutare a capirne di più su alcuni temi della cittadinanza attiva e responsabile.

Il primo ha riguardato le comunità energetiche. Tecnici sia locali che del tavolo costituito presso la Conferenza Episcopale Italiana ci hanno aiutato a comprendere quanto questo nuovo modo di produrre e condividere l’energia possa essere importante nell’immediato futuro per il rispetto dell’ambiente e per aiutare chi è in difficoltà economiche.

Al centro del secondo incontro c’è stato il tema del consumo responsabile. Con l’intervento di sindacalisti, imprenditori e operatori sociali ci siamo posti l’interrogativo su quanto sia “etica” la filiera di produzione di quello che consumiamo. Testimonianze dirette ci hanno mostrato quanto sfruttamento (che a volte diventa vera e propria riduzione in schiavitù) ci possa essere dietro la produzione, anche nei nostri territori, di alcuni prodotti agricoli. I ghetti di immigrati esistenti nella provincia di Foggia sono il segno evidente anche di una economia malata.  Ci può essere un modo diverso di produrre rispettando la dignità dei lavoratori, stranieri o italiani che siano? Esistono in tal senso esempi virtuosi anche sul nostro territorio. Come comunità ecclesiale dobbiamo fare quanto possibile perché continuino ad esserlo e ne nascano degli altri.

Nel terzo incontro abbiamo ascoltato quanto le due comunità Laudato Si’, nate nel Gargano nord e a San Giovanni Rotondo fanno per la promozione del rispetto dell’ambiente.

A questi momenti si è aggiunto un ultimo incontro sulle povertà educative in cui operatori di comunità terapeutiche ed educative hanno testimoniato come la passione per l’educare nasca dalla passione per l’uomo.

Al termine di tutti questi approfondimenti ci siamo chiesti come rilanciare nel tempo i temi della sfida e come soprattutto iniziare a dargli concretezza. In un incontro tenuto anche alla presenza del vescovo sono state presentate alcune buone prassi che sono già in essere e progetti attorno a cui comunità parrocchiali, aggregazioni e singoli cittadini si possono ritrovare per dare gambe ad una pastorale rinnovata capace di incidere sulla vita di Manfredonia, Mattinata e Zapponeta, Isole Tremiti, Borgo Mezzanone e Frazione Montagna. Possiamo dire che quello che doveva essere l’ultimo incontro della sfida dell’anno pastorale è stato già il primo del prossimo anno, un modo per proiettarci con concretezza nell’immediato futuro e dare continuità a quanto iniziato. Ecco le prassi e i progetti:

 

  • “Festa dei popoli”. Una iniziativa già promossa dalla comunità parrocchiale di Mattinata che, da qualche anno nel mese di settembre, crea l’occasione per trascorrere del tempo insieme a chi, provenendo da nazioni di diversi continenti, vive nel nostro territorio condividendone cibo, musica, cultura. Una occasione in cui la diversità unisce. Nella edizione di settembre 2023 verrà data una attenzione particolare agli “invisibili”, sparsi spesso nei casolari abbandonati delle nostre campagne. Chi vorrà potrà unirsi alla prassi in corso anche semplicemente partecipandovi o potrà replicare l’evento in altro luogo della vicaria.
  • Comunità energetiche e produzioni sostenibili. Ci saranno a disposizione dei referenti, a cui ci si potrà rivolgere, per tenersi informati sugli sviluppi legislativi e tecnici di questo modo innovativo di produrre e condividere energia rinnovabile e non solo.
  • Emergenza abitativa. L’Associazione SS.mo Redentore di Manfredonia ha dei progetti in corso per dare risposte a chi si trova per vari motivi a non avere più un’abitazione. Si può essere di supporto a quanto fa questa Associazione o pensare ad altri progetti simili che affrontino il problema.
  • Progetto lettura. Un modo diverso per affrontare l’emergenza educativa dei ragazzi: il libro letto e vissuto insieme. Chi vorrà potrà unirsi a quanto già cominciato nel 2023 presso alcune parrocchie, anche mettendo a disposizione le proprie competenze o chiedere aiuto per replicare in proprio l’esperienza.
  • Economia di Francesco. È iniziato un cammino avente lo scopo di far conoscere che è possibile un modo diverso di fare economia: un percorso che coinvolgerà tra gli altri studenti ed imprenditori, anche attraverso iniziative scolastiche di PCTO e di Educazione Civica in Istituti di istruzione secondaria superiore. Nel mese di maggio è stato fatto il primo passo con un incontro, tenuto in presenza e on line, al quale sono intervenuti membri del team della segreteria organizzativa centrale di Economy of Francesco ed alcuni imprenditori di diverse parti d’Italia, che già adottano nelle loro attività questo nuovo paradigma economico. È in cantiere la costituzione di un premio diocesano che abbia lo scopo di mettere in evidenza esperienze imprenditoriali che adottano appunto un modo diverso di fare economia cosi come auspicato da Economy of Francesco.
  • È in via di costituzione una nuova comunità Laudato Si’ nella vicaria di Manfredonia.
  • Infine si farà quanto possibile per collaborare alla nascita di un presidio di Libera nella città di Manfredonia.

 

Ora la vera sfida è diventare più operosi, farsi promotori di piccole e grandi iniziative che incidano positivamente sulla vita di chi è in difficoltà e tutelino il territorio che il Padre ci ha affidato. Tutti sono interpellati in tal senso. In primo luogo le comunità parrocchiali, le associazioni, i movimenti e i gruppi ecclesiali, singoli laici più o meno vicini alle comunità, tutti i cittadini di buona volontà anche lontani dall’ esperienza di fede. Siamo convinti che quello della cittadinanza responsabile sia il terreno su cui tutti si possono ritrovare per portare il proprio contributo idoneo ad accrescere il grado di civiltà del nostro amato Gargano e vedere finalmente l’inizio di un processo di trasfigurazione del suo popolo e del suo territorio.

 

 

In quest’anno pastorale 2022/2023 la vicaria di Vieste ha accolto e vissuto la sfida Trasmettere la fede nel mondo di oggi. Ci si è lasciati interrogare dalle istanze del presente che la sfida ha suscitato in ciascuno di noi, con tutte le perplessità e provocazioni annesse, ma anche accogliendo le riflessioni come stimoli importanti per avviare un tempo di verifica e di comprensione degli eventi attuali e dei fatti concreti che esprimono il senso reale del nostro vivere la fede oggi.

La sfida pastorale, dopo essere stata presentata ai parroci, con l’ausilio del Vicario Territoriale e del Referente della pista, ha sviluppato un percorso che ha visto interessati sia gli operatori pastorali sia persone impegnate in alcuni particolari settori e contesti sociali.  Con i rappresentanti delle parrocchie, nei settori della pastorale giovanile, familiare e catechesi, si è vissuto un cammino breve, ma mirato. L’intenzione non è stata quella di offrire loro delle risposte esaustive o dei progetti concreti, ma una riflessione sulla propria capacità di ascoltare e suscitare le domande vive, quelle che aprono ad una ricerca di fede. Nell’organizzazione di questo percorso si è voluto privilegiare un metodo perlopiù esperienziale, fatto di ascolto di testimonianze e di laboratori di riflessione con qualche spunto operativo, che in itinere ha permesso di sviluppare una sorta di presa di coscienza del proprio modo di testimoniare la fede.  Il passaggio più significativo è stato quello in cui ognuno ha compreso quanto sia più importante riuscire ad avviare un processo, piuttosto che raggiungere un obiettivo. Ciò ha aperto in tutti un punto di vista nuovo sull’annuncio.

Nella scelta d’incontrare quanti non frequentano abitualmente le attività ecclesiali, l’attenzione è caduta sugli studenti degli Istituti di scuola superiore e gli operatori delle emittenti radio di Vieste. Interpellare questi enti pubblici e sociali ha permesso alla sfida di acquisire un risvolto più ampio e di conoscere il pensiero di chi guarda alle realtà della fede con un altro occhio ed interesse, e arricchendo la nostra fase di conoscenza e di verifica. L’esperienza di interfacciarsi con gli studenti, attraverso un sondaggio, somministrato dai docenti di Religione, ha fatto emergere diverse perplessità da parte del mondo giovanile, sia sulla credibilità degli adulti, che sul mondo della Chiesa, definendo gli uni incapaci di essere vitali e realistici, l’altra di essere affidabile e concreta.

Altri due dati sono significativi, in merito all’esperienza con la Chiesa: se da una parte si registra il vissuto fallimentare del periodo adolescenziale con i percorsi catechistici, definiti dalla maggior parte come disagianti e coercitivi; dall’altra parte, resta il bisogno di Dio, di una fede in lui e della sua grazia, quasi sempre senza i tradizionali mediatori. Questi due aspetti mettono in risalto il volto di un mondo giovanile che è alla ricerca di qualcosa di stabile, ma che non tollera più paletti e limiti alla libertà della propria espressione e del proprio credo. Non c’è una vera e propria domanda di fede, ma il senso della ricerca e il bisogno di credibilità fanno intuire che nel processo di crescita dei giovani sia ancora necessario qualcuno che testimoni e veicoli il dato di fede. Questo, però, va fatto bene e nel giusto modo, senza urtare le sensibilità altrui e con il rispetto dovuto.

L’attenzione, invece, posta sull’emittente TV Gargano ha assunto una connotazione più di servizio che di confronto. Da subito, il direttore Gianni Sollitto ha messo a disposizione i propri spazi televisivi per far conoscere, a livello pubblico, il percorso vicariale e le varie iniziative intraprese sulla sfida. Nei tempi forti dell’anno liturgico, inoltre, sono state realizzate delle lectio sui vangeli della domenica, curate dai sacerdoti della vicaria e mandate in onda come servizi per la riflessione e la preghiera personale. Nella fase organizzativa di questa collaborazione con la TV locale ci si è interrogati sul come siano avvertite, da parte degli spettatori, alcune tipologie di trasmissioni. In breve, prendendo in considerazione l’indice d’ascolto, la trasmissione della fede raggiunge un particolare dato significativo e di interesse nei servizi di carattere devozionale, laddove probabilmente religiosità, cultura e folklore si fondono e mettono in risalto più il bisogno di trasmettere una tradizione che quello della fede.

Il percorso vicariale sulla sfida è terminato nel mese di marzo con due incontri: l’uno alla presenza dell’Arcivescovo, con la restituzione dei lavori svolti sulla sfida; l’altro come approfondimento, con il professor Francesco Zaccaria, sui modelli di evangelizzazione ancora possibili in questo cambiamento d’epoca. Quest’ultimo incontro più che concludere ha rilanciato la riflessione affidandola a coloro che operano negli ambienti della vita sociale ed ecclesiale, proiettandoli verso un futuro ancora tutto da intuire e da fronteggiare, non come guerrieri che ostacolano e combattono le novità dei tempi, ma come autentici esploratori dell’avvenire.

 

  • Vicaria di MONTE SANT’ANGELO

 

La Vicaria di Monte Sant’Angelo, nell’anno pastorale 2022-2023, ha vissuto la sfida Celebrare la Speranza.

I parroci, sacerdoti e religiosi, dopo un iniziale confronto vissuto durante gli incontri di vicaria, necessario per focalizzare il tema ed elaborare un metodo di lavoro, hanno attivato, dopo le feste natalizie, una sorta di laboratorio fra i gruppi parrocchiali, associazioni e movimenti ecclesiali presenti sul territorio partendo dai dati raccolti da un questionario somministrato in vari ambienti di vita (parrocchia, scuola, lavoro, associazioni).

Da questa attività di confronto sono emerse ricchezze e criticità rispetto all’area della liturgia insieme a eventuali proposte perchè ci si possa riconoscere sempre più come comunità credente, che annuncia il Risorto dopo averlo incontrato nella Parola e nell’Eucaristia domenicale.

Di seguito si riportano i dati emersi dal questionario e le proposte dei gruppi di lavoro scaturiti dalla loro lettura.

 

I.                Informazioni generali

 

  1. Al questionario hanno partecipato 564 persone, l’età: dal meno 18 anni 31%; tra 18-29 anni 13%; tra 30-44 anni 18%; dal 45-67 anni 30%; tra 68 – 80 anni 6%; oltre 80 anni 1%.
  2. Stato civile: 47% – coniugati; 44% – Nubile/celibe; qualche separato, vedovo, divorziato, convivente.
  3. Professioni: 38% – studenti; 25% – dipendenti; 17% – non occupati; 10% – pensionati; 8% -autonomi.

 

  1. 53% non hanno figli; 46% hanno figli;
  2. 33% meno 11 anni; 29% tra 19-30 anni; 17% tra 14-18; 13% oltre 30 anni; sotto 10% tra 11-13.
  3. Frequento la Chiesa: Si 82%; 18% no; con cadenza settimanale 46%; occasionale 31% e giornaliera 22%.
  4. Carmine 35%; Immacolata 30%; S. Maria Maggiore 10%; San Michele 8%; Sacro Cuore 7%, San Francesco e Pulsano.

  

II.             Premessa

 

  1. Idea della Chiesa sinodale che la popolazione del questionario presenta: 40% Chiesa che cammina insieme, 22% chiesa che avvicina i lontani, 19% Chiesa che si interessa della difficoltà del mondo, 17% Chiesa che ascolta.
  2. Sembra che come Chiesa si deve ancora lavorare abbastanza, individualmente anche quasi: 80% si ritengono sotto.

 

III.           Prima parte partecipazione attiva

 

  1. Per te la liturgia che cos’è: 67% Relazione con Dio, 15% con i fratelli, 17% servizio.
  2. Qual è l’azione liturgica in cui ti senti più coinvolto: Messa festiva 64%, 17% Adorazione, 8% Rosario, S. Messa feriale 7%.
  3. Cosa mi sento di poter fare per aumentare la mia partecipazione: partecipazione attiva 30%, approfondimento della liturgia 30%, preparazione remota 23%, nulla protagonista è il prete.
  4. In che modo I miei sensi-corpo mi aiutano a partecipare in maniera più attiva: 61% uso dei sensi in modo attivo, 21% sensi aiutano nella comprensione, 11% sensi agiscono sulle emozioni presto passano, 6% la liturgia si comprende solo con intelligenza.
  5. Come mi preparo alla liturgia: 56% raccoglimento in Chiesa, 24% pensando alle azioni che andrò a fare, 12% si distrae osservando le persone e gli oggetti.
IV.          Seconda parte il linguaggio della liturgia

 

  1. Linguaggio liturgico è: per 75% comprensibile, 14% fanno fatica a comprendere, 10% un’abitudine non ci fanno caso.
  2. In quali ambiti della liturgia sento che la mia comunità debba crescere: Accoglienza 60%, 17% Servizio liturgico, 11% canto, 11% cura dei luoghi.
  3. Quali proposte suggerisce per incrementare la comprensione del linguaggio liturgico: 45% Catechesi liturgiche, 14% sussidi cartacei digitali, 15% formazione dei lettori, 26% altro.
  4. Ritieni utile che le liturgie vengono guidate da un animatore liturgico che accompagni fedeli nella comprensione dei gesti e delle parole pronunciate: 56% serve anche agli adulti, 21% solo nelle Messe dei bambini, 13% porterebbe alla distrazione, 10% nelle liturgie solenni.
V.            Terza parte liturgia famiglia

 

  1. Generalmente partecipi ai vari appuntamenti liturgici: 55% da solo, 21% come coppia, 16% con i figli, qualche percentuale con un solo figlio.
  2. Quale difficoltà incontra la famiglia a partecipare regolarmente alla liturgia: 40% Domenica giorno di riposo, 29% orario, 15% liturgie che non coinvolgono i bimbi, ragazzi, giovani, 12% lavoro anche di Domenica.
  3. Come le famiglie dei tuoi amici si comportano nell’approssimarsi di un evento in parrocchia che coinvolge i loro figli: 36% cercano di partecipare come famiglie, 31% sono contenti ma mandano solo figli, 20% sono indifferenti, 7% nessuno gli ha detto che possono partecipare si sentono esclusi. 
  4. Sono convinto che un genitore: 64% Deve partecipare alla liturgia insieme ai figli, al fine di dare testimonianza, piuttosto che dare un ordine, 31% Deve lasciare libero il proprio figlio di scegliere, affinché capisca da solo il valore di ciò che fa, sotto 10% deve accompagnare il proprio figlio, ma il suo impegno finisce qui.
  5. Dopo l’esperienza della pandemia e cresciuta l’attenzione alla famiglia come chiesa domestica quali sono le difficoltà per vivere una liturgia domestica pregare in casa come famiglia: 26% la casa non è il luogo ideale … troppe distrazioni e troppa comodità non aiuta, meglio in chiesa, 25% i componenti della famiglia (coniuge/figli) sono distratti, preferiscono fare altro, 18% non ci sono state difficoltà, 17% gli impegni lavorativi, 14% non sappiamo come si fa nel modo giusto.
  6. Spesso i più distanti sono i giovani, come la famiglia può favorire la partecipazione dei giovani: 46% impegnarsi con la Parrocchia a trovare strade nuove che coinvolgano la famiglia nei percorsi pensati per i giovani, 28% il ruolo educativo è importante, ma non si riesce ad essere di esempio, perché i giovani hanno tante distrazioni, 16% partire da una liturgia domestica per aiutare i giovani al senso comunitario, sotto 10% basta dirlo, poi il resto lo deve fare la parrocchia
VI.          Quarta parte Liturgia e vita

 

  1. La celebrazione termina con l’invito “ite missa est” letteralmente “andate la messa è ora”, quale significato ha per te: 32% è un invito ad essere testimoni, 26% la partecipazione trasforma la mia vita per rendermi sempre più annunciatore, 25% la messa “vera” inizia quando finisce quella liturgica, 16% non ci ho mai fatto caso.
  2. La partecipazione alla liturgia deve dare uno sguardo nuovo alla vita verso quale direzione: 47% verso gli altri; 35% verso Cristo, 11% verso noi stessi, il resto la liturgia non trasforma la vita.
  3. La liturgia stimola e aumenta il desiderio di prendersi cura degli altri in quale direzione: 47% per il bene comune, 38% gesti di carità, 9% in famiglia, il resto nell’ambito lavorativo.
  4. Come diffondere notizie riguardanti eventi liturgici: 48% social media, 26% avvisi dopo la Messa, 14% passa parola, 11% avvisi affissi in bacheca.
  5. Papa Francesco ci chiede di essere una “Chiesa in uscita”. In che modo le nostre liturgie rappresentano l’incontro di Cristo Risorto con gli uomini del nostro tempo: 41% testimoniando la Parola di Dio nel nostro quotidiano, 22% nella liturgia si trovano spunti per vivere sapientemente il tessuto sociale, 20% si potrebbero pensare percorsi di preparazione ai sacramenti, che favoriscono l’accoglienza dei più lontani, 14% la Liturgia aiuta ad uscire dalla logica del “Si è sempre fatto così”, che rischia di anestetizzare il nostro cammino di fede.
  6. La liturgia aiuta concretamente a interiorizzare meglio la preghiera come esperienza di vita vissuta: 67% riesco a mettere la mia vita nelle mani del Signore, con la certezza di avere Lui come compagno di viaggio, 28% riesco a portarmi la Parola di Dio ascoltata la domenica durante la settimana.

 

 

I Gruppo. Dalle risposte al questionario e dalle indicazioni di Padre Franco emergono le seguenti priorità:

 

  1. “Far entrare la strada nelle liturgie” attraverso:
  • preghiere dei fedeli più attente ai problemi sociali locali e nazionali;
  • incontri di preghiera e riflessioni parrocchiali e interparrocchiali che accompagnino momenti particolari della vita civile.
  1. Liturgie più accoglienti e coinvolgenti, facendo attenzione a:
  • aiutare la gente a partecipare al canto (con l’aiuto anche di un animatore liturgico);
  • utilizzare linguaggi più adatti ai giovani;
  • favorire la nascita di cori giovanili;
  • creare gruppi di accoglienza all’interno di celebrazioni liturgiche (con riguardo alle famiglie giovani con bambini…)
  1. 3. Catechesi liturgiche, non solo nella preparazione immediata ai Sacramenti.
  2. Incoraggiare la preghiera domestica anche con la realizzazione di sussidi per le famiglie.

 

II Gruppo. Due livelli di riflessione:

 

1) coloro che pur professandosi credenti, non partecipano alle liturgie e non se ne creano un problema.

2) i praticanti che comunque hanno necessità di una nuova consapevolezza e di migliorare la propria partecipazione.

AD 1) Conoscenza del territorio, visite informali da parte dei sacerdoti alle famiglie per coinvolgerli poi nella vita della comunità, incontri con i genitori dei ragazzi del catechismo, ritiri per famiglie nei tempi forti, animazione dei quartieri con manifestazioni liturgiche (rosario, via crucis, processioni).

AD2) Per i secondi (i praticanti):

cura della liturgia, istituzione di gruppi liturgici che curino tutte le liturgie in tutti gli aspetti, formazione di lettori, ministranti, cantori ecc., catechesi liturgiche soprattutto destinate a catechisti e operatori pastorali.

Auspicabile incontro/i interparrocchiale/i su temi liturgici in particolare il significato e i significati della celebrazione eucaristica.

 

III Gruppo:

  • Conoscenza del territorio affidato ai sacerdoti.
  • Centri di ascolto nelle famiglie cristiane per avvicinare le famiglie lontane.
  • Dare la possibilità alle ragazze di fare le ministranti.
  • Riunioni interparrocchiali con la figura di esperti nei momenti forti dell’Anno Liturgico.
  • Riscoprire il valore della fratellanza cristiana tra tutte le comunità parrocchiali attraverso momenti di convivialità.

 

 

  • Vicaria di SAN GIOVANNI ROTONDO

 

La Vicaria di San Giovanni Rotondo, ripartendo dal lavoro fatto lo scorso anno, dopo aver ricevuto dal Vescovo – all’interno della Veglia Missionaria celebrata ad Ottobre – il mandato a vivere la carità come testimonianza di Chiesa, ha deciso di fare sintesi sulla sfida della liturgia. Ha invitato don Mario Castellano, liturgista e vicario della Pastorale della diocesi di Bari-Bitonto, il quale ha tenuto una relazione sul tema: “Liturgia e vita”. Questo tema è stato scelto dopo aver consultato i questionari dello scorso anno. Ecco alcuni stralci della relazione di don Mario:

“In un tempo di auspicata conversione pastorale, la liturgia e in primis l’Eucaristia sacramento al quale tende tutta l’iniziazione alla vita cristiana, resta il luogo privilegiato in cui sperimentare l’incontro con il Risorto e la comunione ecclesiale. Ci vogliono quindi liturgie che non siano cerimonie, ma vere celebrazioni più aperte al mistero di Dio e alla vita, più incarnate nella cultura e più stimolanti per la missione, capaci di creare una mentalità di fede, di avere un impatto sulla storia e di diventare luogo in cui si manifesta la Chiesa”.

“L’eucaristia, cuore e centro di tutta la vita liturgica della Chiesa, è un autentico evento relazionale: il dono di Dio e l’agire dell’uomo si intrecciano affinché si realizzi l’incontro. Perché ciò accada, è necessario che il fare liturgico sia all’altezza del dono che custodisce, perché la bellezza dell’incontro non sia offuscata dalla banalità degli stili con cui ci si dispone”.

“Perché la partecipazione al Mistero sia effettiva ed efficace, lo stile di celebrare è una questione sostanziale, non accidentale, che rinvia ad una ‘arte’, ad una capacità di porre i gesti e le parole del rito in maniera adeguata, seguendo le norme liturgiche, ma con un’attenzione reale alla comunità. È necessario che alcuni si pongano al servizio di tutti per predisporre le liturgie, in modo da rendere possibile una partecipazione corale”.

Partendo da questi spunti interessantissimi, alla luce della presentazione della nuova sfida fatta nelle parrocchie e nei vari gruppi parrocchiali, nel mese di Marzo abbiamo convocato i vari settori e collaboratori del settore della “carità” che ci hanno arricchito, ascoltandoli, con le loro testimonianze e i loro racconti al servizio in questi anni dei poveri con la loro assistenza e solidarietà. Soprattutto i volontari delle nostre comunità che operano nell’emporio interparrocchiale.

In seguito abbiamo riflettuto sul tema della carità: indispensabile per la nostra vita cristiana. Si è molto sottolineato che non ci servono metodi efficaci o strategie per “fare” carità, ma è indispensabile la testimonianza che parte dall’incontro con il Risorto.

La città di San Giovanni Rotondo presenta tante emergenze e povertà: stranieri, giovani legati alle dipendenze, anziani e ammalati, ci si deve impegnare ad individuare quali siano i bisogni primari e lavorarci su. Inoltre emerge sempre più vivamente l’emergenza educativa che interessa tutto il territorio cittadino e di cui si è iniziato a discutere, attraverso due tavole rotonde di approfondimento, che hanno visto il coinvolgimento del mondo della scuola, della famiglia e delle stesse nostre comunità parrocchiali. Dunque ci siamo concentrati su queste tematiche sociali le quali nel prossimo autunno daranno avvio a laboratori per famiglie e adolescenti.

Con i vari collaboratori e volontari della “carità” abbiamo inoltre auspicato la creazione di un luogo di ascolto, anche intergenerazionale, che potesse essere espressione della nostra attenzione alle varie famiglie che vivono le diverse forme di povertà, al fine di intrecciarsi con il lavoro proficuo dei vari operatori presenti nelle nostre comunità.

 

 

Nell’anno pastorale 2022-2023 la Vicaria del Gargano nord ha vissuto la sfida Fare comunità. Sostanzialmente non abbiamo aggiunto né incontri, né convegni, ma abbiamo desiderato con l’aiuto di don Salvatore Miscio, referente per questa sfida, fare un cammino unitario cominciando dai presbiteri. Abbiamo vissuto infatti una due giorni con pernottamento presso la struttura Villa Americana in Rodi Garganico nei giorni giovedì e venerdì 12 e 13 gennaio: siamo stati insieme e abbiamo condiviso momenti fraterni e formativi, senza il bisogno di un organigramma definito e fisso, ma vivendo le sollecitazioni alla fraternità con semplicità; abbiamo rafforzato la nostra identità presbiterale, oltre il fatto che ci siamo arricchiti fraternamente delle nostre storie e della nostra formazione così diversa per età e cammini personali.

Nel periodo quaresimale, precisamente venerdì 10 marzo, abbiamo deciso di vivere un incontro di Vicaria sotto forma di ritiro spirituale presso il convento dei Padri Cappuccini di Vico del Gargano, guidati e affiancati da don Davide Longo, vicario per il clero.

Infine, insieme a laici rappresentanti per ogni comunità parrocchiale abbiamo vissuto la domenica sinodale il 16 aprile, presso la struttura alberghiera di Peschici Hotel Morcavallo, con la presenza dell’Arcivescovo. Durante l’incontro durato tutta la giornata abbiamo condiviso le analisi e le semplici opinioni cominciando da una traccia di riflessione qui riportata in una sequenza di domande:

  1. Come viene vissuta la fede nel nostro paese? Come tradizioni religiose a cui aderire senza un coinvolgimento personale? Come una fede individuale senza impegno comunitario? Come un’appartenenza ad una parrocchia senza impegno sociale?
  2. I gruppi parrocchiali, le associazioni e i movimenti, le confraternite sono occasione di rete e di espressione di diversi carismi, o sono un ostacolo alla comunione e al lavoro di squadra? Quali passi per crescere in tal senso?
  3. Il territorio che abitiamo presenta risorse e criticità. Quale contributo possono offrire le comunità cristiane per le famiglie e la comunità civile?

Durante l’anno pastorale, su richiesta dei singoli parroci, don Salvatore Miscio ha incontrato in assemblea i collaboratori laici e tutta la comunità parrocchiale là dove invitato, esponendo e leggendo insieme ai presenti la necessità di un lavoro sinodale per essere presenza viva sul territorio.

 

Riassumendo possiamo affermare che il lavoro della sfida è stato più introspettivo, volto alla creazione di una consapevolezza secondo la quale ogni comunità guardandosi interiormente si scopre presenza di fede sul territorio.

Relativamente alle iniziative intraprese lo scorso anno pastorale e incentrate sulla sfida per la Cittadinanza attiva, sono continuati gli incontri dell’Osservatorio. Abbiamo incontrato gli assistenti sociali dei paesi della Vicaria: per ben 4 incontri abbiamo ascoltato risorse e criticità di un territorio bello e complesso, bisognoso primariamente di collaborazione, ascolto e sinergia. Abbiamo ascoltato e imparato quanto i servizi sociali si aspettano dalle parrocchie; abbiamo intrapreso un cammino di maggiore consapevolezza in merito alle povertà educative. Gli incontri sono stati organizzati dalla dr. Angela Romano referente dell’Ufficio di piano del distretto socio sanitario locale. Anche in merito alla scuola di formazione sociopolitica, quanto prefissato nel convegno di programmazione del 12 gennaio con un rappresentante della Comunità di Sant’Egidio, è stato oggetto di alcuni incontri, in presenza e online con uno sparuto numero di partecipanti. L’ultimo incontro formativo si terrà nel mese di settembre 2023 alla presenza di mons. Arcivescovo, del prefetto e dei sindaci e amministrazioni comunali. Questa serie di incontri, il convegno iniziale e il “sinodo” degli amministratori comunali sono stati curati dal prof. Massimiliano Arena direttore dell’Ufficio di pastorale sociale del lavoro. Abbiamo seminato, consapevoli che i temi sociali non sono ancora propriamente percepiti come cristiani o parrocchiali. La comunità Laudato Si’ ha continuato il suo percorso conoscitivo e formativo nei 6 paesi della vicaria: numerose sono state le iniziative culturali nel paese di Vico, centro capofila della comunità, ma anche le tematiche ecologiche non sono percepite come propriamente cattoliche.

 

  1. Contributo del percorso sinodale proposto in alcune SCUOLE

Un particolare percorso sinodale è stato intrapreso in alcune scuole della nostra Diocesi. Dopo l’esperienza vissuta lo scorso anno, attraverso la somministrazione di questionari atti a comprendere fondamentalmente cosa pensano i giovani della Chiesa e come la vorrebbero, in questo secondo anno si è pensato di provare una modalità “più viva” di ascolto attraverso incontri “vis a vis” con testimoni appassionati da ascoltare e da cui farsi ascoltare. Un esperimento che val la pena riprodurre in futuro e altrove.

I docenti di religione, assecondando la propria creatività, hanno trattato il tema del Sinodo soffermandosi sulla vita dei loro ragazzi, ascoltando i loro sogni, le loro richieste, i loro desideri, ma anche le loro difficoltà e i loro dubbi. Sono state proposte piste di lavoro diversificate per far conoscere ed aiutare le studentesse e gli studenti a riflettere sul senso della vita e sui contenuti per il Sinodo.

E, come questo Sinodo ci ricorda, occorre dare la precedenza all’ascolto profondo perché questo tipo di ascolto i ragazzi lo avvertono come “bisogno”. Attraverso le loro domande emerge molto del loro vissuto familiare, dei loro bisogni dentro la nostra società complessa. I ragazzi, quando si sentono liberi, riescono ad esprimere il loro pensiero su temi molto delicati e attuali: genitori separati, perdono, guerra e pace, comunità LGBTQ+, natura e clima, paure, pedofilia, discriminazioni, rapporto tra generazioni, rapporto con la Chiesa. Se n’è avuta prova durante questo anno scolastico appena trascorso.

In molti casi, purtroppo, si può scoprire un senso di solitudine sconvolgente vissuto dai ragazzi, abbandonati troppo spesso a sé stessi, isolati o nella periferia ecclesiale. In queste circostanze, il dialogo con un testimone reale, e in ascolto profondo, può far sì che le parole ascoltate riescano a dare un senso più profondo e un significato autentico a ciò che vivono e a cosa cambiare. In base alle esperienze già vissute e raccontate nelle scuole, di supporto all’ascolto può essere anche la musica che per i ragazzi e le ragazze molto spesso fa da colonna sonora alla quotidianità. Incontrarsi per ascoltarsi, con un sottofondo musicale di canzoni di ieri e di oggi, per esempio, e accompagnati sempre da un testimone, può dare la possibilità di comprendere ancor di più cosa pensano, come vivono e cosa vogliono e provare a trovare risposte anche alle domande non dette.

Qualsiasi forma di ascolto o qualsiasi modalità, capace di scendere nel profondo, può essere utile ad entrare in quel mondo giovanile troppo spesso chiuso e pieno di insidie, dove facilmente ci si può perdere per disattenzioni e superficialità. Questi esercizi di ascolto possono consentire anche agli insegnanti di religione, e non solo, di sperimentare concretamente questa capacità, dando valore a qualsiasi strumento. Aiuterà i ragazzi a crescere nell’atteggiamento di apertura nei confronti degli adulti, di ascolto senza giudicare, utile nella vita, e ai docenti di vivere questa opportunità come tempo di grazia da cui attingere per riscoprirsi: essere ascoltati fa sentire i giovani accettati e compresi e gli adulti preziosi. Ascoltare l’altro può essere difficile e impegnativo, ma è importante per la crescita ed è per questo che è necessario imparare a farlo, mettendoci pazienza e volontà. È così che i muri si abbattono, rispettando le opinioni altrui e scoprendo che c’è ancora tanto di buono in questo mondo.

Il Cammino Sinodale non termina dopo questi due anni di narrazione e di ascolto, dunque è auspicabile che progetti come questo, già sperimentato, siano messi in atto anche in tutte le altre scuole del Gargano tenendo vivo l’ascolto e coinvolgendo testimoni autentici. Guardando con attenzione al Logo del Sinodo 2021-2024 possiamo anche noi affermare che ad aprire il cammino ci pensano i bambini, gli adolescenti e i giovani, perché nella Chiesa sinodale non c’è divisione gerarchica tra le persone, tutti sono dentro lo stesso percorso.

 

 

III PARTE

 

CAMMINO SINODALE DIOCESANO: FASE SAPIENZIALE 2023-2024

 

  1. Alcune acquisizioni sulla realtà ecclesiale

 

  • Una fede (e una Chiesa) ancora per tutti?

 

Sicuramente rileviamo che, sulla base della popolazione del nostro territorio diocesano, la percentuale, di chi frequenta assiduamente le comunità parrocchiali e le proposte formative offerte, risulta ancora significativa. In tanti usufruiscono dei servizi religiosi, come catechesi e celebrazioni legate alle grandi festività oppure ai momenti di passaggio della vita, mentre cresce il numero di coloro che richiedono aiuti e prestazioni da parte della Caritas. Se poi analizziamo chi partecipa più intensamente ai momenti della vita comunitaria la percentuale diminuisce ed il numero si assottiglia. Infine, se guardiamo a quanti collaborano operativamente e con assiduità alla vita parrocchiale, il numero si restringe ancora e sembra diventare veramente esiguo.

Si impone quindi la domanda: la fede e la Chiesa cattolica sono ancora per tutti? Si arriva così facilmente alla conclusione: purtroppo sono pochi gli interessati alla Chiesa e alla fede! Sono pochi, non solo perché i numeri avvalorano questa ipotesi, ma anche perché la qualità della esperienza ecclesiale e di fede di quanti partecipano ai vari momenti è tutta da verificare.

In ogni caso, questa prima lettura deve fare i conti con due importanti criteri che non possiamo abbandonare, perché provenienti dal Vangelo e parte integrante dell’essere stesso della Chiesa.

Primo criterio: il compito principale della Chiesa è annunciare il Vangelo ad ogni creatura e far giungere a ciascuno il messaggio che Dio lo ama o lo interpella come protagonista nel Regno di Dio (vedi i testi finali dei Vangeli, dove gli Apostoli ed i discepoli vengono mandati in tutto il mondo a portare il lieto annuncio e a battezzare).

Secondo criterio: nella logica poliedrica dell’identità della Chiesa non esiste un unico modo di vivere la fede e di partecipare alla vita ecclesiale, ma molteplici e differenti fra loro.[26] Molteplicità e differenza sono segno e frutto della continua creatività dello Spirito che guida la storia universale e l’inserimento della Chiesa in essa.

 

  • Tempi nuovi e di minoranza

 

Dobbiamo prendere coscienza che stiamo vivendo dentro un cambiamento d’epoca che fa sì che la Chiesa istituzione non sia più colta come punto di riferimento importante e magari anche esclusivo. La religione in generale ed anche la fede cattolica non è più vissuta in costante riferimento alla Chiesa istituzione, mentre diventa facile per ognuno costruirsi una spiritualità a misura delle proprie sensibilità, esperienze e bisogni. Il significato della messa domenicale, e la relativa partecipazione, è stato molto ridimensionato, mentre sembrano ancora molto partecipate le celebrazioni dei riti di passaggio, come pure le festività legate alle tradizioni religiose locali. Si desidera avere la benedizione per varie necessità, ma raramente si avverte il desiderio di una lectio divina o di una catechesi. La cultura contemporanea usa priorità e linguaggi molto distanti da quelli religiosi in genere e cristiani in particolare. Di conseguenza, possiamo affermare che la cultura cristiana è diventata di minoranza. Si potrebbe essere tentati a ritirarci dalla scena del mondo e creare spazi ecclesiali come piccole oasi di fede.[27]

Dinanzi a questa ipotesi possiamo presentare due obiezioni. Prima obiezione: la condizione di minoranza ci aiuta ad essere in maggiore sintonia col Vangelo, che ha da sempre pensato al ruolo del discepolo/missionario e della Chiesa come quello del lievito nella massa (Mt 13, 33); che ha raccontato il rapporto tra i discepoli e il mondo come un confronto sproporzionato tanto da paragonarlo a quello degli agnelli in mezzo ai lupi (Mt 10,16). Seconda obiezione: la condizione minoritaria ci aiuta a recuperare quella umiltà e quel disinteresse che sono fondamentali per il cristiano, anche quando propone agli altri l’annuncio del Vangelo.

Dobbiamo uscire dalla logica di una Chiesa che “conta i suoi numeri” (magari inorgoglita per le statistiche a suo favore), per passare da una Chiesa preoccupata di accogliere tutti, senza porre precondizioni, e di farsi accogliere il più possibile da tutti.[28]

 

 

Anche se alla conta ci sembra essere rimasti in pochi e trovarci in situazione di minoranza, resta il dovere di conservare nel contesto culturale attuale la caratteristica della popolarità: il mistero della Chiesa è essere prima di tutto “popolo di Dio”, e solo successivamente viene costituita gerarchicamente.[29] Da questa affermazione basilare e “dogmatica” del Concilio Vaticano II sgorga l’impegno di tutte le comunità cristiane, indipendentemente dal numero dei fedeli, a far sì che tutti possano essere messi nelle condizioni di sentirsi parte attiva del “popolo di Dio”. Tale caratteristica non deve produrre l’alibi di una popolarità demagogica, atta ad ingrossare o a rimpinguare le fila dei partecipanti agli eventi ecclesiali, né deve essere il motivo per svendere la proposta cristiana pur di accontentare tutti, presentandosi “popolare”. L’annuncio della fede e la vita ecclesiale devono conservare la sincerità del Maestro, Cristo Signore, che è venuto “a portare il fuoco sulla terra” (Lc 12, 49), dinanzi al quale ognuno è chiamato a scegliere da che parte stare. Seguirlo è sempre testimonianza martiriale e può costare anche la perdita dei famigliari, degli amici, della professione e della vita stessa. Il Vangelo è una proposta esigente sia come testimonianza personale, che come impegno ad annunciarlo a tutti, secondo le capacità che ciascuno ha di riceverlo e cercare di farlo proprio. Ecco la grande sfida che sempre si pone innanzi alla Chiesa: annunciare il Vangelo edificando il “popolo di Dio”. La gradualità e la pluralità non valgono solo all’inizio del percorso di fede ed ingresso nella vita ecclesiale, ma restano criteri costanti nel valutare tutta l’esperienza di vita e di storia della Chiesa. Sapersi “popolo” ricorda che non siamo chiamati all’uniformità, ma a sentirci dentro un’unica convocazione da parte di Dio, il quale ci costituisce in unità senza mai annullare le differenze; ci guida a fare discernimento in vista di scelte condivise, ma si aspetta anche che ciascuno operi personalmente la sua parte nel Regno di Dio. L’unità nel “popolo di Dio” ha le caratteristiche della pluralità creativa che è frutto dello Spirito Santo. La convivialità delle differenze, come la definiva don Tonino Bello, è la cifra reale della comunione plurale e poliedrica della Chiesa.

L’identità popolare della Chiesa, in quanto “popolo di Dio” comporta alcune implicazioni pastorali: le specifico in modo schematico avvalendomi di un articolo di P. Carrara:[30]

  1. confronto con la cultura: imparare da tutti a leggere il libro del mondo e trovare la grammatica della fede;
  2. sapienza pratica della fede: non solo i contenuti, ma i modi di vivere la fede. Il sensus fidei appartiene a tutto il popolo;
  3. forma anti-elitaria della Chiesa: non costruzione uniforme, ma popolo, realtà territoriale, culturale e porosa;
  4. forme plurali di appartenenza: non tutti devono/possono fare tutto.

 

  1. Continuiamo a lavorare sulle cinque sfide vivendole dentro la fase sapienziale del Cammino sinodale

Siamo chiamati a vivere assieme alle Chiese che sono in Italia la Fase Sapienziale che prevede un discernimento comunitario operativo, teso cioè a individuare le condizioni di possibilità per incamminarsi verso i cambiamenti che individuiamo assieme e che riteniamo necessari per essere all’altezza del mandato di Gesù Cristo oggi e nel futuro prossimo che ci attende. Dalla fase dell’ascolto sono emersi cinque macro temi (che richiamano in maniera chiara le cinque sfide pastorali su cui ci stiamo impegnando come Chiesa locale) e che la CEI ha presentato all’Assemblea generale di maggio 2023 in un documento di lavoro dal titolo Cinque costellazioni tematiche e relativi singoli temi.[31]

Riporto di seguito lo schema del documento di lavoro evidenziandone i gruppi tematici e, mettendo in parentesi, il rapporto di ognuno di questi con una delle cinque sfide su cui sta lavorando la nostra Arcidiocesi:

 

1) la missione secondo lo stile di prossimità (la sfida della carità);

 

2) i linguaggi, la cultura, la proposta cristiana (la sfida del celebrare);

 

3) la formazione alla fede e alla vita (la sfida dell’annuncio);

 

4) la corresponsabilità (la sfida della cittadinanza);

 

5) le strutture (la sfida della comunità).

 

La nostra Chiesa locale, in base alla propria lettura della realtà, continuerà a sviluppare i temi sui quali sta ormai operando (= le cinque sfide), proseguendo con l’ascolto e sforzandosi di attivare il discernimento comunitario. Si cercherà di giungere a formulare proposte operative, che consegnerà al Comitato del Cammino Sinodale entro la fine di aprile del 2024, come richiesto dalla CEI.

 

  1. Una scelta pastorale per la Fase Sapienziale

 

 

“Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24, 35). L’incontro con Gesù – che si fa compagno di viaggio, ascolto dei cuori, annuncio della parola e pane spezzato – permette ai discepoli di cambiare lo sguardo sulla propria storia personale e su quella universale. La pastorale avviata in diocesi da due anni attraverso lo strumento delle cinque sfide nel tentativo di appropriarsi sempre più di logiche e modalità sinodali, ha avviato un processo che si basa necessariamente sull’ascolto di tutti e su una verifica continua del modo di annunciare e testimoniare il Vangelo. Stiamo cercando di acquisire uno sguardo trasfigurato per vedere e riconoscere Dio in azione nelle storie del Popolo e della Chiesa che è in Gargano, di cui è figlia e custode. Ora siamo chiamati ad un passo ulteriore: dalla fase dell’ascolto, che ci ha visti impegnati per due anni, dobbiamo “transitare” nella fase sapienziale.

È il momento di rafforzare e sostenere nelle nostre comunità credenti (parrocchie, comunità religiose, associazioni, movimenti) la capacità di rileggere tutto quanto è stato oggetto di ascolto (tanto la vita che le attività pastorali) alla luce dell’incontro col Signore Risorto. Si provi a condividere questa pratica con tutti gli uomini e le donne del nostro tempo e dei nostri territori, consapevoli che possiamo arricchirci a vicenda. Si tratta di attivare quanto il Concilio Vaticano II, guardando al mondo contemporaneo ed alla Chiesa in esso inserita, afferma: «è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall’evoluzione del genere umano. […] È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l’aiuto dello Spirito Santo ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta».[32]

 

  • Conversazioni nello Spirito

 

Occorre diffondere delle pratiche di annuncio del Vangelo che stimolino e permettano un ascolto della realtà e un discernimento personale e comunitario su di essa a partire dalla Parola di Dio. Per tale motivo, si continui a valorizzare sempre più la pratica comunitaria della lectio divina e si trovino modi perché abbia una continuità negli ambienti di vita: case, scuole, lavoro, tempo libero. Ci si adoperi, con creatività pastorale, perché in più ambienti possibili si propongano occasioni di conversazioni nello Spirito[33] sulle questioni della vita, sulle comunità parrocchiali, sulla società e le sue problematiche locali e globali, per realizzare quanto auspicava san Paolo VI: «la Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa colloquio».[34] In ogni Vicaria, con l’aiuto degli Uffici diocesani, si creino strumenti capaci di favorire queste conversazioni nello Spirito incentrandole sulla sfida assegnata per l’anno pastorale 2023-2024.

 

  • Facilitatori: scelta e formazione

 

È utile che ogni Parrocchia, ogni Famiglia religiosa, ogni Aggregazione laicale provveda a individuare e formare alcuni componenti che possano svolgere il compito di facilitatori delle conversazioni nello Spirito. Chi può svolgere questo ruolo? Qualsiasi battezzato di buona volontà e che abbia il tempo disponibile per seguire un breve percorso di formazione e per progettare e realizzare queste conversazioni nello Spirito. La formazione che gli occorre deve constare di tre elementi essenziali: spirituale, ecclesiale e umana. Si scelgano i facilitatori tra quanti manifestano vissuti di fede gioiosi e costanti, possano contare su di un accompagnamento spirituale e condividano il cammino con la comunità di appartenenza. È opportuno che abbiano idee chiare sulla Chiesa e il suo mandato, in sintonia con Evangelii Gaudium. È importante che sappiano gestire le dinamiche della conversazione nello Spirito, aiutando tutti ad intervenire, a stare sul tema, a lasciarsi illuminare dalla Parola di Dio.

 

  • Facilitatori e restituzione alle comunità di appartenenza

 

I facilitatori hanno anche il compito di annotare quanto emerge nelle conversazioni nello Spirito per restituirlo alla propria comunità di appartenenza, in maniera tale che torni utile al discernimento più ampio che la comunità andrà a svolgere successivamente per le sue scelte di pastorale ordinaria e straordinaria. A tal fine, si organizzino momenti (consigli pastorali o assemblee comunitarie) perché i facilitatori abbiano modo di presentare nel dettaglio quanto è emerso dalle conversazioni nello Spirito. In questo modo si imparerà a riconoscere quanto lo Spirito suggerisce al popolo santo di Dio al fine di compiere scelte pastorali più aderenti alla vita reale, che è un «provvidenziale laboratorio culturale in cui la Chiesa fa esercizio dell’interpretazione performativa della realtà che scaturisce dall’evento di Gesù Cristo».[35]

 

  • Facilitatori e il percorso pastorale per l’anno 2023-2024

 

Entro il mese di settembre 2023 i nomi dei facilitatori devono essere comunicati all’Equipe diocesana per il Sinodo, così che essi vengano contattati e istruiti circa il cammino da fare.

I facilitatori prenderanno parte all’Assemblea diocesana di inizio anno – venerdì 6 ottobre 2023 a San Giovanni Rotondo – durante la quale si presenta la fase sapienziale e si sperimenta una conversazione nello Spirito, guidata da alcuni esperti, così da acquisirne il metodo.

Inoltre, durante l’intero anno pastorale i facilitatori verranno coordinati dall’Equipe diocesana per il Sinodo che li accompagnerà sia nella formazione che nella progettazione. Spetta ad ogni comunità (singolarmente o a livello vicariale) celebrare il momento ufficiale del “mandato” e anche stabilire come e quando organizzare le conversazioni nei vari ambienti di vita di propria competenza.

Nel periodo pasquale, in ogni Vicaria si organizzerà un momento di restituzione dell’esperienza vissuta.

 

  1. Alcune osservazioni finali per tutti ed un appello ai ministri ordinati.

 

4.1. Osservazioni per tutti

 

  1. “Sentirsi fuori della Chiesa” è un dato di fatto, che non possiamo sempre far dipendere dalle nostre modalità di annunciare il Vangelo e presentare il volto della Chiesa di oggi, e neppure attribuire ad insuccessi dei nostri progetti e piani pastorali. È una sensazione avvertita e che appartiene a chi non “partecipa”, per vari motivi, alla vita della Chiesa. Tale sensazione non ci deve far sentire in colpa, ma non può lasciarci indifferenti; deve portarci ad un interrogarci sul perché ed a ripensare in maniera creativa e comunicativa il nostro vivere l’annuncio, il celebrare e la carità.

 

  1. Un’accusa che viene fatta con ricorrenza alla Chiesa, specie dalle giovani generazioni, o da chi si sente “escluso” da essa, è che con troppa facilità e per norme troppo strette, “la Chiesa mette la gente fuori dalla porta”! Sovente diamo l’impressione di preferire l’esclusione all’accoglienza, la modalità della “scomunica” a quella della Misericordia. La funzione di discepoli-missionari deve essere esattamente l’opposta, non atteggiarci al ruolo dei “buttafuori”, ma dei “buttadentro”!

 

  1. Ciò che conta per la Chiesa non è contabilizzare le presenze, ma è assicurare la propria “presenza” in situazioni particolari. Il Signore non ci chiederà “quanti” siamo o siamo stati contabilizzati sui registri parrocchiali o diocesani, quante persone siamo riusciti a portare durante le grandi manifestazioni o festività religiose. Il Signore ci chiederà se siamo stati presenti là dove Lui si trovava nel bisogno, nascosto nei volti e situazioni di sofferenza e rischio. Occupiamo, come Chiesa, i luoghi indicati con chiarezza da Gesù in Mt 25, 31-46, attiviamo la dottrina sociale della Chiesa, stringiamo relazioni educative e solidali con tutti: sono questi i numeri e le statistiche che contano per il Vangelo.

 

  1. Il respiro del discepolo di Gesù e della comunità credente, che lo testimonia nel tempo, cercando di arrivare fino agli estremi confini della terra, richiede, esattamente come il respiro fisico, un doppio momento: inspirare ed espirare. Questo respiro corrisponde a due movimenti, che realizzano le due vocazioni del battezzato e della comunità credente:
  • entrare per vivere la comunione,
  • uscire per andare in missione.

 

  1. Per quanto riguarda il mondo giovanile, soprattutto nell’ambiente e cultura europea, oggi assistiamo ad un vero dilemma esistenziale-spirituale, che può essere schematizzato nelle due affermazioni a seguire:
  • la Chiesa non può fare a meno dei giovani (i giovani costituiscono il cammino del suo futuro, sono i primi destinatari della sua vocazione di annuncio ed educazione),
  • i giovani sentono chiaramente di non aver bisogno della Chiesa per la loro vita e per la ricerca della felicità: sono altre le agenzie e gli spazi in cui ritengono di trovare le risposte alla vita ed alla felicità.

Non disperiamo e apriamoci ai giovani senza giudicare o atteggiandoci da maestri. Rinnoviamo la nostra fede in Gesù certi che «Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che egli tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita». Rivolgiamo ai giovani ed a tutti sempre queste parole: «Lui vive e ti vuole vivo! Lui è in te, Lui è con te e non se ne va mai. Per quanto tu ti possa allontanare, accanto a te c’è il Risorto, che ti chiama e ti aspetta per ricominciare».[36]

 

4.2. Appello ai ministri ordinati

 

Per la nostra formazione come ministri ordinati abbiamo lungo l’anno pastorale 2022-2023 seguito i passi indicatici dai fratelli del Centro Aletti (don Paolo Rocca, p. Ivan Bresciani e p. Oscar Gutierrez). Abbiamo così cercato di ascoltare e lasciarci afferrare dalla bellezza della Parola di Dio, che ci è consegnata in quanto “ministri”, e dalla bellezza dell’arte e del paesaggio di cui la nostra Chiesa locale e territorio sono dotati in modo stupendo ed unico da suscitare ammirazione, ed anche invidia, in chi ci raggiunge qui come pellegrino o semplice turista!

Nel nuovo anno pastorale 2023-2024 ci lasceremo condurre dai fratelli della Comunità di Sant’Egidio, perché ci aiutino ad approfondire e sostenere l’impegno di carità sociale e civile che nella logica del Vangelo e della dottrina della Chiesa siamo impegnati a diffondere ed incarnare in mezzo al nostro amato popolo. Cercheremo di maturare ed anche di migliorare le modalità dei nostri incontri, perché esprimano maggiormente la partecipazione, si colorino di comunione e profumino di missione!

E, soprattutto diventi vero anche per noi, ministri ordinati, il programma del nostro Servo di Dio don Antonio Spalatro: «darsi, darsi! Uscire fuori dalla propria mentalità per mettersi in quella degli altri. Il prete è gli altri, Perché? Perché Cristo, il Verbo-Dio, è gli uomini, Egli ha preso la natura umana! Cristo bisogna essere, anche in questo. Soprattutto in questo: altrimenti non saremo mai sacerdoti!».[37]

 

  1. Terminiamo pregando

 

Cari fratelli e sorelle,

 

per essere nel nostro territorio e tra il nostro popolo nel Gargano Chiesa di Dio dalla Porta sempre aperta, capace della missionarietà della soglia, spalanchiamo con la preghiera i nostri cuori pregando sempre senza stancarci (cf Lc 18, 1):

Signore, hai riunito tutto il tuo Popolo in Sinodo.

Ti rendiamo grazie per la gioia sperimentata
da coloro che hanno deciso di mettersi in cammino
in ascolto di Dio e dei loro fratelli e sorelle durante quest’anno,
con un atteggiamento di accoglienza, umiltà, ospitalità e fratellanza.

Aiutaci a entrare in queste pagine come su “suolo santo”.

Vieni Spirito Santo: sii tu la guida del nostro cammino insieme![38].

Perdonaci la guerra, Signore. Perdonaci la Guerra, Signore.

Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, ti imploriamo!

Ferma le mani di Caino!

Illumina la nostra coscienza,

non sia fatta la nostra volontà,

non abbandonarci al nostro agire!

Fermaci, Signore, Fermaci!

E quando avrai fermato la mano di Caino,

abbi cura anche di lui. È nostro fratello.

O Signore, poni un freno alla violenza! Fermaci Signore![39]

 

Maria, Madre del Volto Santo,

aiutaci ad avere mani innocenti e cuore puro,

mani illuminate dalla verità dell’amore

e cuori rapiti dalla bellezza divina,

perché, trasformati dall’incontro con Cristo,

ci doniamo ai poveri e ai sofferenti,

nei cui volti riluce l’arcana presenza

del tuo Figlio Gesù,

che vive e regna nei secoli dei secoli.

Amen![40]

+ p. Franco Moscone crs

arcivescovo

 

 

 

Manfredonia, 30 agosto 2023

Solennità della B.V.M. di Siponto

Indice

 

Incominciamo pregando……………………………………………………………………………1

 

I parte: la luce della parola. Lettura sapienziale e lettura pastorale…………………………..2

1.Due icone bibliche………………………………………………………………………………..2

  1. Per una lettura sapienziale………………………………………………………………………..3
  2. Per una rilettura pastorale…………………………………………………………………………7
  3. La missionarietà della soglia……………………………………………………………………..8
  4. Dall’ascolto ai cantieri……………………………………………………………………………13

 

II PARTE: I primi frutti del secondo anno di Ascolto………………………………………….17

  1. Sintesi a livello diocesano……………………………………………………………………….17
  2. Restituzione delle sintesi delle sfide da parte delle vicarie……………………………………..19
  3. Contributo del percorso sinodale proposte in alcune scuole…………………………………….27

 

III PARTE: Cammino sinodale diocesano: Fase Sapienziale 2023-2024

  1. Alcune acquisizioni sulla realtà ecclesiale………………………………………………………29
  2. Continuiamo a lavorare sulle cinque sfide

vivendole dentro la fase sapienziale del Cammino sinodale……………………………………….31

  1. Una scelta pastorale per la Fase Sapienziale……………………………………………………..31
  2. Alcune osservazioni finali per tutti ed un appello ai ministri ordinati…………………………..34
  3. Terminiamo pregando……………………………………………………………………………35

 

[1] R. FABRIS, Le lettere di Paolo 3, Borla, Roma 1990, 208.

[2] Ibidem, 190.

[3] Ibidem, 206.

[4] Ibidem, 242.

[5] Cf III Parte della presente Nota al paragrafo 3

[6] cf. Mt 21, 42 e Lc 20,17-18; da confrontare con Is 8,14-15; Dn 2,44; Lc 2,34; Rm 9,33 e 1 Pt 2,5-8

[7] Sunoikodomeisthe, indicativo presente passivo, che indica il costruire insieme, lasciandosi edificare.

[8] Il Libro dei segni capitoli 1-12; Il Libro dell’Ora capitoli 13-21.

[9] Cf le apparizioni del Risorto nel cenacolo agli Undici Gv 20 19. 26

[10] Cf Mt 25,10 (parabola delle dieci vergini) e Lc 13,25 (parabola della porta stretta)

[11] Agostino, In Jo, hom. 59,2

[12] P. Pio ,5 maggio 1956 e 5 maggio 1957

[13] M, CASTORO, Il sogno condiviso: cristiani sulla soglia, Linee pastorali 2016-2017, 27.

[14] cfr. Mt 9, 36

[15] Cf Lc 24, 15.32

[16] L. BRUNI, La fedeltà e il riscatto, Qiqajon, Magnano (BI) 2023, 98.

[17] I. PUNZI, I quattro codici della vita umana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018.

[18] Cf A. BELLO, Lettere ai catechisti, in Id., Scritti mariani. Lettere ai catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Edizioni Luce e Vita, Molfetta (BA) 2014, 220.

[19] Cf Gv 11, 1-46 e Gv 12, 1-8

[20] Cf Lc 10, 2-12 (consigli per la missione), Lc 12, 38-41 (in casa di Marta e Maria) e Lc 19, 1-10 (a Gerico ospitato da Zaccheo).

[21] L’Osservatore Romano del 24 ottobre 2022.

[22] Francesco, Christus Vivit, Esortazione post-sinodale ai giovani e a tutto il popolo di Dio, (25marzo 2019), n. 234.

[23] Giovanni XXIII, Pacem in Terris, 11 aprile 1963. Mi piacerebbe che nelle comunità della nostra diocesi si riprendesse in mano e si facesse conoscere l’attualità profetica del testo di Papa Giovanni XXIII. A questo proposito il 27-28 ottobre 2023 si terrà a San Giovanni Rotondo un evento per promuovere il tema della pace ispirato all’enciclica Pacem in Terris. Saprebbe di profezia se anche San Giovanni Rotondo potesse essere annoverata tra le “città della pace” come Assisi e Loreto: ne ha tutte le caratteristiche per potersi candidare!

[24] Francesco, “Incontro di preghiera per la pace con i leader cristiani e delle religioni mondiali per la pace” al Colosseo del 25 ottobre 2022.

[25]Francesco, Discorso a Seminaristi e sacerdoti che studiano a Roma, Aula Paolo VI, 24 ottobre 2022.

[26] Francesco, Evangelii Gudium, n 236: “Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti”.

[27] Cf. L. BERZANO, Senza più la domenica. Viaggio nella spiritualità secolarizzata, Effatà editrice, 2023.

[28] Cf. A. TORRESIN, La parrocchia ospitale. L’annuncio del Vangelo oltre la retorica, in “il Regno – Attualità” 2/2014, 8-13.

[29] Lumen Gentium, capitoli I, II e III.

[30] P. CARRARA, Una fede (e una Chiesa) ancora ‘per tutti’? Tentativi di discernimento pastorale, in “Rivista del Clero italiano” 3/2018, 165-180.

[31] Ho presentato il documento di lavoro usato dall’Assemblea CEI di maggio 2023, Cinque costellazioni tematiche e relativi singoli temi, all’Assemblea plenaria degli Organismi di partecipazione diocesani tenutasi a Casa della Carità il venerdì 09 giugno scorso. Il testo CEI è facilmente rintracciabile in internet: invito a consultarlo e farne oggetto di riflessione.

[32] Costituzione Apostolica sulla Chiesa e il Mondo contemporaneo, Gaudium et Spes n. 44

[33] L’Intrumentum Laboris per la prima sessione (ottobre 2023) della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedica alla conversazione nello Spirito ed alla figura dei facilitatori la sezione A2 ai numeri 32-42.

[34] Paolo VI, Ecclesiam Suam, 67

[35] Francesco, Veritatis Gaudium 3

[36] Cf Christus Vivit, nn 1-2

[37] A. SPALATRO, Diario, 22 dicembre 1948

[38] Dal Documento per la Tappa Continentale, n. 14

[39] L’invocazione per la pace è la conclusione della preghiera di Papa FRANCESCO il 16 marzo 2022 in aula Paolo VI

[40] La parte mariana della preghiera è di Papa BENEDETTO XVI, cf B. Forte, L’eredità spirituale di Benedetto XVI, ed Shalom, pag 94

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