Fare di Cristo il cuore del mondo – Diocesi di Andria

 
 

Letture:
Is 5,1-7;
Sal 79;
Fil 4,6-9;
Mt 21,33-43

Carissimi fratelli e sorelle,
La pagina del Vangelo oggi ci riporta ancora una parabola, questa volta si tratta della storia di una vigna. La vigna, nel mondo biblico, era una immagine usata per indicare il popolo di Israele. Dio se ne è preso cura fin da quando erano una massa di schiavi in Egitto, li ha liberati, li ha “piantati” nella terra promessa, e soprattutto ha stretto con loro una “alleanza”. Però questa vigna si rivelerà infruttuosa. Israele non produce i frutti che il Signore si aspetta, che sono: l’obbedienza a Lui come unico Dio e la manifestazione della Sua gloria fra le nazioni. La responsabilità cade sul popolo; ma fra di essi hanno maggiore colpa i loro capi che invece avevano il compito di guidare Israele secondo la volontà del Signore. I profeti avevano denunciato questa situazione, ma non furono ascoltati.

La prima parte della parabola di Gesù è dunque una immagine di quanto avvenuto nel passato. Questa è stata la storia di Israele. Ma ora appare qualcosa di nuovo: L’invio del Figlio. E questo è veramente nuovo e imprevedibile.  Che Dio mandi il suo proprio figlio è qualcosa che certamente appariva irritante agli orecchi dei suoi interlocutori, perché Gesù che in tante occasioni si era manifestato come il Figlio di Dio, parla del rifiuto che, invece, gli israeliti del suo tempo manifestano verso la sua persona e la sua testimonianza. Rifiuto che avrà il suo culmine sulla croce. Lui è la pietra rigettata che Dio ha scelto. Ma lui è anche l’ultima, la definitiva possibilità che Dio dà al suo popolo. E invece Lui verrà rifiutato e addirittura ucciso.

La verità è che degli amministratori vogliono diventare padroni. Il Signore della terra è Dio. Noi uomini non siamo padroni di niente, nemmeno della nostra vita, figuriamoci poi della terra. La parabola manifesta la ribellione a questo stato di cose; è una ribellione simile a quella del primo uomo, il quale, a causa di essa, perse il giardino. E, se questo Dio è tenuto “lontano”, è facile per degli amministratori trasformarsi in padroni per fare ciò che si vuole. Si tratta dell’antica ed eterna tentazione di farsi “dei”, di diventare padroni di qualcosa che invece appartiene solo a Dio.

Perciò non si tratta semplicemente di una gestione sbagliata di tutti i beni che Dio ci ha concesso, ma del sentirsi e diventare padroni del regno dimenticando di esserne invece solo amministratori. Siamo chiamati a portare il regno di Dio agli uomini, invitarli a farne parte. In altre parole, siamo tutti chiamati soprattutto a continuare in mezzo agli uomini e in favore degli uomini la missione di salvezza che Cristo ha realizzato. Se questo non avviene non si porta frutto. Ma Dio di sicuro non può permettere che il suo regno, che è costato il sangue di Cristo, sia strumentalizzato dagli uomini.

Siamo dunque chiamati dentro la vigna/regno dei cieli a “lavorare con frutto”. Se non si porta frutto si è oziosi/inutili. Siamo chiamati ad essere partecipi dei doni del regno, della sua grazia. Ma allo stesso tempo siamo chiamati anche a rendere fruttuosa quella grazia che, senza nostro merito, abbiamo ricevuto. Il regno di Dio è affidato a coloro che ne fanno parte. Gli Israeliti si consideravano destinatari delle promesse messianiche, gli invitati di diritto al banchetto del regno (Mt 22,2-4). E tuttavia lo hanno perso. Il regno viene affidato ad altri.

Diventare partecipi del regno dei cieli significa ricevere dei doni, senza alcun nostro merito. E dunque siamo cattivi amministratori anche quando semplicemente sprechiamo le possibilità di bene che siamo chiamati a fare. Così dunque la parabola che quando Gesù parlava si rivolgeva ai sommi sacerdoti e agli anziani del popolo, oggi è rivolta a noi. Tutti noi, partecipi del Regno di Dio, siamo amministratori dei beni che abbiamo ricevuto. E c’è sempre il pericolo, anche per tutti noi, di amministrare male o addirittura far perdere la realtà del regno. E questo accade quando ci si fa padroni, quando si vuole decidere in autonomia riguardo al modo di innalzare un edificio che non è il nostro.

Gli interlocutori di Gesù non erano all’oscuro della volontà di Dio, non erano certo degli sprovveduti riguardo alle cose di Dio. In altre parole: la volontà di Dio, ciò che occorre fare ed evitare, non era a loro sconosciuta. Allora, vien da chiedersi: perché non traggono le dovute conseguenze? Perché pur conoscendo la verità non la seguono? Perché sono chiusi in sé stessi e nelle proprie convinzioni di essere giusti. E questo pericolo è sempre presente, per tutti i figli del regno, dunque anche per noi.

Nella Chiesa di Cristo tutti dobbiamo collaborare all’unico progetto che è l’edificazione del regno, che ha in Cristo la pietra angolare che giustifica e regge tutto e tutti. Il criterio fondante di tutte le opere di cui si compone il regno è uno solo: fare di Cristo il cuore del mondo. E dunque Lui e solo Lui è il frutto del regno che viene. Se qualcuno nel regno non lavora secondo questo criterio e per questo scopo, si è fatto padrone di qualcosa che non gli appartiene.

Perciò vigiliamo su noi stessi e impegniamoci seriamente per il Regno di Dio. Diamo anche noi la vita per questo scopo e chiediamo al Signore che ci dia la forza, la convinzione, la costanza nell’essere all’opera in questa esaltante impresa.


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