Il discepolo di Cristo si consegna all’esagerazione dell’amore – Diocesi di Andria

 
 

Letture:
Sir 15,15-20
Sal 118
1Cor 2 6-10
Mt 5,17-37

Carissimi fratelli e sorelle,

La Parola di Dio di questa domenica è ancora proclamata da una montagna, e ormai conosciamo bene il senso di questa metafora. Potremmo dire che in questo discorso c’è tutto quello che un cristiano deve sapere per comprendere la propria identità e la propria vocazione. Infatti già domenica scorsa abbiamo ascoltato da Gesù quelle parole tanto impegnative: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”. A fronte di una mentalità che tende a rinchiuderla nel privato, Gesù ci dice che la fede è un fatto personale, questo sì, ma non privato, perché ognuno di noi, nel momento in cui accoglie la chiamata di Gesù e decide di seguirlo, si assume delle responsabilità di fronte al mondo, di fronte alla storia.

Allora, oggi Gesù ci fa una proposta che all’inizio ci fa quasi un po’ sobbalzare perché è una condizione molto stringente che non ammette repliche, trattative o mercanteggiamenti, è una condizione che se l’accettiamo accade qualcosa, se non l’accettiamo non se ne fa niente. E qual è questa condizione? Disse Gesù ai suoi discepoli: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei cieli!”. Ecco la condizione! La nostra giustizia in che cosa si differenzia da quella degli scribi e dei farisei del tempo di Gesù e la supera? La giustizia di questi è la giustizia di chi si ritiene giusto, perfetto, perché pensa di aver osservato a puntino i dieci Comandamenti, quelle norme essenziali del vivere che noi impariamo fin da bambini quando andiamo al catechismo e che quindi gli spetta il premio. E ci si mette perciò di fronte a Dio con un atteggiamento di pretesa. È come pretendere di trattare con Dio da pari.

La fede a quel punto diventa una specie di commercio, e magari noi siamo anche pronti a chiedere sconti, qualche riduzione di costo in modo da raggiungere il massimo risultato, spendendo il minimo possibile: questa è spesso la nostra fede! Noi con Dio ci mettiamo talvolta in questa posizione: non gli diciamo no, non si sa bene perché, forse per un sussulto di scrupolo o per paura di Lui, però non gli diciamo nemmeno un bel sì gioioso, coraggioso che va fino in fondo, fino alle estreme conseguenze.

Ebbene, la parola del Vangelo oggi ci vuole aiutare ad uscire fuori da questa mediocrità, perché questa non ci conduce da nessuna parte, forse ci fa vivere senza grossi scrupoli, ma è senza gioia, la gioia profonda della fede!

Oggi ci dice Gesù che noi entreremo nel Regno dei Cieli se, superando la soglia della mediocrità, cominceremo a capire che seguire il Signore è cosa seria, che ci prende tutto: il cuore, la mente, la vita, i comportamenti, che ci porta ineludibilmente a dire dei no e a dire dei sì. Non si può andare dietro a Gesù soltanto per modo di dire e poi nelle scelte della vita fare esattamente come tutti gli altri…

Ripensiamo alle parole di domenica scorsa: “Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo”, Occorre imparare insomma a seguire il Signore non come atto di tradizione, della serie: “Io sono cristiano perché lo era mio nonno, lo è mio padre, lo sono io, lo sono i miei figli… No! Io sono cristiano perché io oggi scelgo di essere cristiano, faccio una scelta che mi impegna”.

Ecco, allora, la prima lettura che comincia con una parola solenne: “Se vuoi – dice – osserva i comandamenti”. La nostra fede comincia proprio da queste parole, non si è cristiani per tradizione. Si è cristiani per scelta: “Se vuoi osserva i comandamenti”. Ma di quali comandamenti si tratta? I Dieci Comandamenti, certo, sono il minimo vitale, quel minimo però che è talmente minimo che poi ad un certo punto rischia di ridursi a un niente di fatto. Questo minimo, insomma, appartiene all’Antico Testamento, c’è il Nuovo, c’è Gesù, c’è la croce di mezzo.

Gesù oggi ci chiede di andare oltre il minimo, ci chiede di superare la soglia della mediocrità.  “Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere”, ma io vi dico…”. Questa parola di Gesù ci fa sussultare perché è esigente, non si ferma al non uccidere, ci chiede di più, molto di più. E questo molto di più sta scritto sulla croce, è il di più che viene dall’amore, da quella capacità di andare oltre il minimo dovuto e di votare la propria vita totalmente e veramente a Gesù e ai fratelli. “Avete inteso che fu detto: Non uccidere, ma io vi dico: “Chi avrà detto al proprio fratello stupido sarà sottoposto a giudizio; chiunque s’adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio”. Gesù ci chiede con queste parole di fare una riflessione coraggiosa e cioè che si può uccidere anche con le parole.  E dobbiamo perciò vigilare su noi stessi perché basta poco e si cade in cattiverie davvero incredibili.

Sì, è esagerato ma è bene dirci che il discepolo di Cristo si consegna all’esagerazione, all’esagerazione dell’amore, quel di più che non sta scritto in nessun libro e in nessun codice, sta scritto sulla croce, se ci crediamo, e sta scritto nel cuore. E noi, contemplando la croce, cominciamo a capire cosa significa essere discepoli del Signore.

E poi, ancora: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non commettere adulterio”, ma io vi dico: “Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”. Anche qui diremmo: “Esagerato!”  Ma è quel di più che Gesù consegna ai suoi discepoli, chiedendo coraggio e forza. E torniamo allora a dirci che la parola del Vangelo non è per i mediocri. Per seguire Cristo bisogna fare atti di coraggio, bisogna essere uomini tutti d’un pezzo, che possono pure cadere per la loro fragilità, ma sanno che trovano sempre la misericordia di Dio.

E infine: “Avete inteso che fu detto: “Non giurare”, ma se proprio giuri, mantieni allora il tuo giuramento, perché sei in debito con Dio”. Ma, ci dice Gesù oggi: io vi dico: “Non giurate affatto!”. Perché? Perché il cristiano è leale, è sincero, non ha bisogno di giurare, è credibile, è affidabile, la verità è il suo stile.

E dunque adesso, intorno all’altare del Signore; il nostro star qui è un sì che diciamo a Dio, ma è un sì che siamo venuti a dire col cuore, con la vita, con tutta la nostra esistenza. Siamo qui per dire al Signore: “Signore, tu sei la mia salvezza”. Sì, mentre i farisei si ritenevano giusti e presentavano il conto al Signore, io non presento nessun conto, ma so che è Lui che mi fai giusto, che mi salva. Ed io sono qui per lasciarmi sempre più salvare da Lui, per aprire il cuore alla Sua parola e alla Sua salvezza”.

 

 

 

 


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