Io sono il pastore, io sono la porta. – Diocesi di Andria

 
 

Letture:
At 2,14a.36-41
Sal 22
1Pt 2,20b-25
Gv 10,1-10

Carissimi,

questa quarta domenica della Pasqua è dominata dalla figura, del pastore. Sappiamo che Gesù usa molto spesso le immagini per descrivere sé stesso: io sono la vite, io sono il pane, io sono il buon pastore… Ma, a dire il vero, se volessimo tradurre bene, com’è nel senso del testo greco, dovremmo dir così: io sono il pastore, quello vero. Il vero pastore si vede dal fatto che dà la vita per le sue pecore. Questa immagine non era nuova nella spiritualità del mondo ebraico, ma ha una lunga storia biblica. Dopo la prima lettura nel salmo responsoriale abbiamo pregato con un salmo che affonda le sue radici addirittura nei tempi di Davide, “Signore, tu sei il mio pastore, non manco di nulla”.

L’immagine del pastore era molto usata per indicare Dio, il pastore.  Allora, quando Gesù si presenta e dice: “Io sono il pastore, quello vero”, Gesù vuole dire che tutto quello che pensate di Dio lo dovete applicare a me. Sì, Gesù è colui che rivela Dio come pastore del suo popolo.

E questa parola di Gesù è fortemente in polemica con un mondo, quello del suo tempo, che non lo accettava, vi ricordate: “Il figlio di Giuseppe, il falegname! Ma chi crede di essere?!” Gli scribi e i farisei stavano sempre contro di Lui, ogni cosa che diceva non andava mai bene, quando faceva i miracoli borbottavano perché li faceva in giorno di sabato. Quindi Gesù vedeva intorno a sé un grande rifiuto; la folla lo acclamava quando vedeva i miracoli però poi la stessa folla ha chiesto a Pilato di crocifiggerlo, quindi si è rivoltata contro di Lui. Gesù sapeva di avere attorno a sé gente che non lo accettava come messia, come salvatore, ecco perché insiste: “Io sono il pastore, quello vero. Quelli che sono venuti prima di me sono tutti ladri e briganti, imbroglioni, gente che calpesta le pecore, che sbrana le pecore, abbandona le pecore”. I pastori del popolo erano le guide spirituali di quel tempo, gli scribi, i farisei, i dottori della Legge.

Gesù dice a noi oggi: “Io sono il pastore, io vi parlo di Dio, io vi porto la salvezza, non vi fidate degli altri, state attenti”. Io penso che questa parola di Gesù, fatte le debite differenze, sia valida anche per noi oggi perché anche noi siamo confusi tra tanti pastori, tanti pontefici, tanti microfoni, tanti pulpiti che ci gridano e ci confondono. Perciò, per noi risuona ancora più forte questa parola di Gesù: “Io sono il vostro pastore. State attenti, tutti gli altri sono ladri, briganti”. Questa immagine, ci ha detto il vangelo, non fu compresa: “Ma essi non capirono quello che voleva dire Gesù”. Allora Gesù per essere più chiaro usa, nell’ambito dello stesso vocabolario pastorale, un’altra immagine: “Io sono la porta delle pecore”. La porta è un po’ più forte come immagine perché ci fa capire la necessità, il fatto che per entrare in un luogo noi, ci piaccia o no, dobbiamo passare attraverso una porta. Allora quando Gesù dice: “Io sono la porta”, ci vuol dire questo: io sono necessario alla vostra vita, senza di me voi non entrate da nessuna parte, senza di me non avete futuro, senza di me non potrete mai costruire un mondo più bello, né tanto meno raggiungere poi la vita eterna.

Gesù dunque con questo modo di parlare si presenta a noi come colui che ci vuole salvare ma ci dice: “Fuori di me non c’è salvezza”. Proviamo a pensare: chi ci può salvare? Il potere? Ma quando anche fosse il potere più grande di questo mondo poi a un certo punto finisce. Il denaro? Peggio! Possiamo anche farci le montagne di denaro, ci salva? Il successo? La salute? Ci può essere la salute ma manca tutto il resto: manca la pace, la serenità, un ideale con cui vivere. Tutto passa, tutto finisce. Allora se tutto passa e finisce, chi ci dà uno scoglio a cui aggrapparci ed essere sicuri che la nostra vita ha un senso, una direzione, ha una meta, non finisce nel nulla? Chi ci dà questa certezza? Io sono il pastore – dice Gesù – io sono la porta.

E se volgiamo approfondire ancora di più l’immagine del pastore ci sono dei particolari nel racconto davvero belli, molto significativi. Dice Gesù: “Le pecore conoscono il pastore e il pastore conosce le sue pecore, le conosce una per una”. Significa che per Gesù, il nostro pastore, noi non siamo anonimi, uno vale l’altro, no! Lui ci conosce uno per uno, davanti a Lui ciascuno di noi sa che è unico, non ci sono le fotocopie, non ci sono i sosia, siamo unici e Gesù ci conosce, ci conosce per quello che siamo, pregi e difetti, luci ed ombre, successi e cadute. Possiamo fare scena un po’ davanti agli altri ma davanti al Signore c’è poco da sceneggiare, Lui sa ciò che noi abbiamo dentro e proprio perché lo sa solo Lui ci può salvare.

Allora qual è il punto di arrivo della riflessione di oggi? Un atto di abbandono al Signore. Quanto sono belle quelle immagini che ci presentano Gesù pastore con la pecorella sulle spalle, la pecorella smarrita e ci piace immaginare di essere noi quella pecorella sulle spalle del maestro. Il pastore ci aveva perso ma non si era rassegnato, è venuto a cercarci e, una volta trovati, non ci ha fatto la ramanzina, ma con pazienza e bontà ci ha preso e messo sulle spalle: “Vieni con me, non ti preoccupare, non aver paura, ti voglio bene ancora, ti voglio bene lo stesso, ti voglio bene più di prima”. Il vangelo di quest’oggi ci apre a questo atto di abbandono fiducioso sulle spalle di Gesù buon pastore e lasciamoci veramente portare da Lui, mettiamo da parte l’orgoglio, le resistenze, come Pietro nel giovedì santo che non voleva che gli lavasse i piedi. Sì, lacciamoci amare dal Signore!


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