La croce con le ali, stella polare del tuo sacerdozio – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella Messa del 50° di ordinazione sacerdotale di don Gigi Ciardo
Collegiata ss. Salvatore, Alessano 8 luglio 2022

Caro don Gigi,
la nostra Chiesa particolare e questa comunità di Alessano celebrano insieme con te il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale. Con una memoria riconoscente, sei invitato a ripercorrere le tappe che ti hanno portato a ricevere il sacramento dell’Ordine e a rivolgere al Signore, con un sentimento di gratitudine, un sincero e profondo ringraziamento per il dono di cui sei stato investito. Il tempo e la grazia si sono fusi insieme e hanno segnato il tuo ministero sacerdotale. 

La croce con le ali

La tua vita è intimamente e profondamente legata a questa città e a questa comunità parrocchiale per la durata del tempo del ministero di parroco (circa 45 anni), per l’affetto che ti ha unito a questo popolo, per la conoscenza che hai delle persone e delle situazioni familiari, per la dedizione con la quale hai servito questa comunità. 
Decisivo è stato il rapporto con il figlio più illustre di Alessano, il venerabile don Tonino Bello, che prima hai incontrato come alunno del Seminario vescovile e poi hai avuto modo di frequentare come parroco della sua parrocchia d’origine. Senza ombra di dubbio, il legame con lui, fatto di ammirazione, affetto, riconoscenza, ha illuminato il tuo ministero pastorale. In tutti questi anni, insieme ai famigliari e alla Fondazione, sei stato il custode della sua memoria e il promotore di tante iniziative per far conoscere la sua persona e il suo messaggio di pace. Le sue parole si sono scolpite nel tuo cuore, i suoi gesti costituiscono per te esempi da imitare, la sua sofferenza e la sua morte rimangono un prezioso testamento da custodire e far conoscere a tutti coloro, sempre più numerosi, che vengono a sostare e a pregare sulla sua tomba. 
Questa intensa relazione con don Tonino, mi porta a pensare che puoi assumere anche tu, come simbolo della tua vita e del tuo sacerdozio, il suo stemma episcopale che è lo stesso della città di Alessano. Il simbolo della “croce con le ali” mette in evidenza la dimensione paradossale del cristianesimo e del ministero sacerdotale[1]: parla cioè di un amore sine modo, fino alla fine, fino al dono di sé. È il grande ideale che hai cercato di vivere in una dialettica tra essere e dover essere, tra imperativo categorico e fragilità strutturali della persona, tra desiderio di assoluto e imperfezioni dovute alla debolezza umana. 

Il paradosso e la scientia crucis

Nel tuo ministero, hai sperimentato il grande paradosso in un triplice modo la croce. Innanzitutto come “scandalo e follia”, contraddizione con la logica del mondo, ma rivelazione della sapienza nascosta in Dio fin dall’eternità (cfr. 1Cor 1,23-24). In secondo luogo, come avvenimento sorprendente fino all’incredibile. La croce è un fatto mai raccontato e una notizia che mai si era udita (cfr. Is 52, 15). Infine, hai scoperto che il suo segreto oscuro è la meravigliosa risposta per raggiungere la meta e il fine della propria esistenza terrena. A questo proposito, sant’Agostino scrive: «E’ come se qualcuno riuscisse a vedere da lontano la patria, ma ci sia il mare che lo separa da essa. Egli vede dove andare, ma gli manca il mezzo con cui andare […]. C’è di mezzo il mare di questo secolo attraverso il quale dobbiamo andare, mentre molti non vedono neppure dove devono andare. Perciò, affinché ci fosse anche il mezzo con cui andare, venne di là Colui al quale volevamo andare. E che cosa ha fatto? Ha preparato il legno con cui potessimo attraversare il mare. Infatti, nessuno può attraversare il mare di questo secolo, se non è portato dalla croce di Cristo. A questa croce potrà stringersi, talvolta, anche chi ha gli occhi malati. E chi non riesce a vedere dove deve andare, non si stacchi dalla croce, e la croce lo porterà»[2].
San Paolo, nelle sue lettere, fa uso di una vasta gamma di termini metaforici per illustrare la portata salvifica e il paradosso della croce: “redenzione”, “riscatto”, “giustificazione”, “riconciliazione”, “espiazione”. Nessuno di questi termini, preso da solo, è in grado di esprimerne l’insondabile ricchezza del mistero. Li accomuna soprattutto il fatto che indicano l’effetto finale, il beneficio che scaturisce “per noi” dalla morte e risurrezione di Cristo. Il “pro nobis” paolino è connotato in senso personalistico in quanto esprime l’idea che la croce è un mistero che si compie “a favore di” e “a vantaggio di”. Da una parte, infatti, essa punta all’eliminazione di ciò che è negativo e che ostacola la relazione, dall’altra mette in evidenza i concetti positivi di benedizione, grazia, dono dello Spirito, partecipazione, nuova creazione, figliolanza. I concetti di giustificazione, di partecipazione e di incorporazione prospettano l’effetto finale in quanto i credenti sono innestati nella morte e risurrezione di Cristo, (cfr. Rm 6,1-11) e diventano il suo corpo che è presente nel mondo (cfr. 1Cor 12,27), ma che è destinato alla risurrezione finale e alla pienezza della vita eterna[3]
A ragione, E. Stein parla di una scientia crucis. Si tratta, infatti, di una sapienza che non viene dal mondo, ma di «una verità viva, reale e attiva: seminata nell’anima come un granello di frumento, vi getta radici e cresce, dando all’anima un’impronta speciale e determinante nella sua condotta, al punto da risultare chiaramente discernibile all’esterno»[4]. L’amore che scaturisce dalla croce è «una fusione di esseri in un mutuo e volontario abbandono: tale è la vita intima trinitaria di Dio. Mirano a questa consumazione, tanto l’amore creato che si strugge e desidera (…), quanto l’amore di Dio che si piega misericordioso sulla creatura»[5]. In questa progressiva unione d’amore, Dio concede all’uomo «un incontro personale mediante un tocco, che è una presa di contatto nell’intimo; gli schiude il suo proprio intimo mediante speciali grazie che illuminano la sua natura e i suoi segreti disegni; gli dona il suo cuore, dapprima come fuggevole abbraccio d’un attimo nel corso d’un convegno personale (nell’orazione d’unione), poi come possesso stabile nel fidanzamento e nel matrimonio mistico»[6].

Don Tonino maestro della scientia crucis

Caro don Gigi, sappiamo bene che consideri don Tonino un maestro della sapienza della croce. Apparentemente essa si presenta come un segno di morte, di dolore e di sconfitta. In Cristo diventa manifestazione dell’amore gratuito e misericordioso di Dio, profezia del suo stile in una difficile dialettica di somiglianza-diversità con l’avventura umana. Dio infatti è, ad un tempo, “vicinissimo” e “distante”, “uno di noi” e uno “totalmente altro”. La croce è la cifra che consente di misurare «la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio» (Ef 3, 17-19). Don Tonino traduce questa espressione paolina con lo slogan: «Un mondo da amare nella croce»[7].
Occorre pertanto conoscere e sperimentare tutte le dimensioni della croce. Sant’Agostino ci aiuta a comprendere il loro valore spirituale: l’altezza vuol dire avere Dio nella mente e nel cuore e amarlo con gratuità; la lunghezza consiste nel perseverare nell’amore; la larghezza misura l’immensità dell’amore; la profondità richiama il mistero abissale dell’amore che suscita stupore e fascino per la sua insondabile ricchezza[8]
Riprendendo un’altra splendida annotazione di sant’Agostino, don Tonino scrive che le quattro lettere greche che compongono il nome di ADAM (Arctos, Dysis, Anatolé, Mesembria cioè Nord, Sud, Est Ovest)[9]indicano l’universalità dell’abbraccio e la totalità di un’accoglienza senza nessuna esclusione. E, citando don Primo Mazzolari, aggiunge che la Chiesa deve essere come «l’ambulanza che accoglie tutti coloro che sono feriti, che si sono fermati sulla spalletta del ponte perché non ce la fanno più, quelli che sono caduti, quelli che sono stanchi»[10].
Don Tonino ti ha così insegnato a considerare l’azione pastorale come un «orizzontalismo verticale»[11]. Come Cristo si stende sulla croce e la croce si innalza al cielo, così il sacerdote vive il suo ministero in una compenetrazione tra amore verso Dio e amore verso i fratelli, nella consapevolezza che l’amore verso Dio ha il primato ontologico e l’amore verso i fratelli quello pratico[12] .
Sotto questo profilo, è possibile comprendere l’affermazione di don Tonino quando parla di «collocazione provvisoria» della croce. Se infatti si considera la croce nel suo significato di sofferenza e di dolore, essa è transitoria ed è destinata a passare. Se, invece, si intende la croce nel suo significato di amore verso Dio e verso il prossimo, rimane per sempre perché imprime sulla fronte del credente un sigillo d’amore indelebile.
La croce diventa così seme caduto in terra e albero fecondo di speranza le cui foglie guariscono ogni malattia (cfr. Ez 47, -12; Ap 22, 1-2). Da un piccolissimo seme si genera una stupenda fecondità (cfr. Gv12,23-24; cfr. 1Pt 1,18-19) e si dà vita a un albero pieno di molteplici frutti[13]. Forse a quest’idea, caro don Gigi, facevi riferimento quando, nell’immaginetta della tua ordinazione sacerdotale, ponevi la frase evangelica: «Se il cicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane senza frutto; invece se muore porta molto frutto» (Gv 12, 24).
La “croce con le ali” raccoglie tutti questi significati spirituali. Essa è «senza peso»[14] perché allevia il dolore degli uomini e dona loro il senso del soffrire. Ma, in quanto splendore della gloria di Dio (kabod Javhè), manifesta la potenza e lo spessore della sua bellezza e della sua maestà. 

Caro don Gigi, questa croce continui ad essere la stella polare del tuo sacerdozio così come è avvenuto in questi cinquant’anni di ministero. Sia per te trofeo, gloria ed esaltazione[15], da portare in questa vita insieme a Cristo e da contemplare con i santi eternamente in cielo.  Attingendo al ricco patrimonio spirituale di don Tonino, continua ad insegnare a tutti il valore di questa scientia crucis
Auguri!


[1] Cfr. A. Pitta, Il paradosso della croce: saggi di teologia paolina, Piemme, Casale Monferrato, 1998; E. Bianchi, I paradossi della croce, Morcelliana, Brescia 1999.

[2] Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, II, 2.

[3] Cfr. E. Kasermann E., “Valore salvifico della morte di Gesù”, in Id., Prospettive paoline, Paideia 1972, Brescia, pp. 55-92; G. Pulcinelli, La morte di Gesù come espiazione. La concezione paolina, San Paolo 2007, Cinisello Balsamo.

[4] E. Stein, Scientia crucis. Studio su san Giovanni della croce, Editrice Ancora Milano, 1960, pp. 23-24.

[5] Ivi, pp. 198-199.

[6] Ivi, pp. 199-200.

[7] A. Bello, vol. VI, pp. 547-551

[8] Cfr. Agostino, Discorso, 165, 4, 4.

[9]  A. Bello, vol. VI, p. 550.

[10] Ivi, p. 111.

[11] Ivi, pp. 66-67.

[12] «L’amore di Dio è il primo come comandamento, ma l’amore del prossimo è primo come attuazione pratica. Colui che ti dà il comando dell’amore in questi due precetti, non ti insegna prima l’amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa. Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l’occhio per poter vedere Dio» (Agostino, Trattati sul Vangelo di Giovanni, 17,7-9).

[13] Cfr. Anonimo Quartodecimano (Pseudo-Ippolito), Sulla Santa Pasqua, nn. 94-97.

[14] A. Bello, vol. V, p. 222.

[15] Cfr. Andrea da Creta, Discorso 10 sull’Esaltazione della santa croce.

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