La cura delle ferite e il realismo della speranza – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

[ad_1]

Omelia nella Messa in onore dei Santi Medici
Piazzale antistante la Cattedrale; Ugento, 27 settembre 2022.

Cari fratelli e sorelle,

tradizionalmente la festa dei Santi Medici si pone ad Ugento come uno spartiacque tra il periodo estivo e la ripresa delle attività professionali, scolastiche, civili ed ecclesiali. La festa è sentita e vissuta in un clima di partecipazione corale e di intenso sentimento di pietà popolare. È significativo che questo momento di ripresa dell’attività sociale e pastorale avvenga nel segno e sotto la protezione dei Santi Medici. Il loro esempio di santità e la testimonianza di fede che essi ci hanno lasciato sono un significativo punto di riferimento e una fonte inesauribile di insegnamenti e di orientamenti per ritrovare il giusto binario su cui indirizzare la nostra vita personale e comunitaria, tenendo conto dei cambiamenti storici che si verificano nel corso del tempo.  

L’autunno, stagione metereologica ed esistenziale

La memoria dei Santi Medici cade nella stagione autunnale il cui inizio, quest’anno, è coinciso con festa liturgica di san Pio da Pietrelcina (23 settembre). Anche il riferimento al santo con le stimmate rappresenta un invito a riprendere con serietà, intensità e responsabilità il nuovo percorso che ci accingiamo a vivere. 

Sul piano meteorologico, secondo molti, l‘autunno è il tempo dei mille colori, una stagione romantica, poetica e un po’ melanconica; una stagione in grado di regalarci paesaggi mozzafiato con sfumature cromatiche uniche, fonte di ispirazione di moltissimi artisti e poeti, incantati dalla bellezza della natura che, in questo particolare periodo, assume una colorazione tutta speciale. L’autunno è una stagione ricca di fascino. Gli alberi perdono le foglie, come a volersi liberare del superfluo. In un processo di catarsi, lasciano andare ciò di cui non avranno più bisogno nei mesi a venire. Le foglie secche, che cadono in terra, sono destinate a essere calpestate, a diventare polvere e a marcire. Quasi nessuno è immune dal fascino e romanticismo del manto fogliare ingiallito e di tutti i rituali che accompagnano lo scricchiolare di foglie e rametti lungo il cammino. Così scrive Trilussa nella sua poesia “Foglie gialle”: «Ma dove ve ne andate, / povere foglie gialle, / come tante farfalle / spensierate? / Venite da lontano / o da vicino? / Da un bosco / o da un giardino? / E non sentite la malinconia / del vento stesso / che vi porta via?».

In autunno il tempo è ancora vivido dei ricordi estivi anche se, come un nuovo e vero presagio, preannuncia già la prospettiva di un paesaggio invernale. Anche il mare, nella sua solitudine, si offre con il suo potere calmante e rigenerante. In ogni stagione, il mare non perde il suo fascino e riesce a trasmettere la sensazione di spazio infinito e di libertà. Ma in autunno, quando l’aria diventa più fredda e cristallina, sentire addosso l’odore degli spruzzi d’acqua, della spuma delle onde che si infrangono sulle rocce ha un effetto catartico. 

Il mare è di tutti, ma d’autunno non è per tutti. È esclusivo e si mostra, quasi timidamente, a chi ne sa apprezzare la bellezza. Allontana ogni pensiero, riconcilia con se stessi, mette di fronte alla potenza e alla forza della natura ridimensionando ogni ombra della mente. Ha un fascino intimista, personale, introspettivo. Un soffio, un alito di vento respirato al mare porta con sé il suo odore e aiuta a lasciarsi andare, a fuggire e a volare con la fantasia verso lidi e destinazioni lontane.

È difficile che l’autunno passi inosservato. È, infatti, la stagione che gode uno stato ambivalente nel vissuto emotivo delle persone. Non porta con sé solo l’arrivo del primo freddo, le giornate più corte ed il conseguente mutare di tutto ciò che ci circonda, ma un’infinità di significati simbolici e di indissolubili ricordi. Lo scenario autunnale rappresenta il mutamento della propria interiorità, quando si è costretti a coprirsi, a ridimensionare le ore vissute all’aperto, lasciando che l’immaginazione diventi più fervida. È una stagione sottilmente angosciante, ma allo stesso tempo vagamente rincuorante e quasi pacificante; un periodo di perdita, ma anche di rinascita, un momento in cui si cade in vecchie debolezze, ma si trovano anche nuove forze. 

Le ferite del nostro tempo

Ed è proprio questa ambivalenza che ci accingiamo a vivere. Di solito, negli anni scorsi, si parlava di “autunno caldo” in riferimento alle lotte sindacali che sarebbero emerse con la ripresa dell’attività lavorativa. Ora siamo quasi costretti a parlare di “autunno freddo” in riferimento alle ferite antiche, recenti e recentissime che si presenteranno davanti a noi.

Mi riferisco innanzitutto alla ferita bellica causata dalla guerra in Ucraina. Essa, oltre ai feriti, ai morti e alle devastazioni, ha prodotto uno stravolgimento geopolitico con conseguenze sul piano economico e con gravi difficoltà sul piano energetico e della fornitura del gas. Proprio in questi giorni si registrano danni definiti “senza precedenti” a tre linee del gasdotto Nordstream 1 e 2, con ripercussioni sul prezzo del gas. Si affaccia così davanti a noi lo spettro del razionamento energetico e il ritorno a una certa forma di austerity.

Le ferite provocate dalla guerra si sommano a quelle causate dalla pandemia per il Covid-19 dalla quale non sembra che siamo venuti fuori definitivamente. A partire da marzo 2020, la rapida e pervasiva diffusione del contagio e le misure di contenimento introdotte hanno creato una frattura nei rituali quotidiani e nella continuità dei legami e delle relazioni familiari e sociali. Oltre ai danni sul piano economico e sanitario, la diffusone del virus ha contribuito a esasperare il sentimento di incertezza, la sensazione di non farcela, la delusione e il senso di inadeguatezza, l’assenza di prospettive future.

A queste recenti ferite, si aggiungono quelle di più lungo corso. Innanzitutto di disagio sociale per l’aumento della povertà e della mancanza di lavoro. A partire dal 2008, cioè dallo scoppio della crisi finanziaria globale, il numero dei poveri è in forte crescita ed è decisamente aumentato a seguito della pandemia e della guerra. Tutti gli indici sociologici documentano gli alti livelli di povertà assoluta che si sono aggravati in questi ultimi tempi e persistono come una piaga che si allarga sempre di più con il rischio di una esclusione sociale superiore alla media europea e con l’aumento di forme di devianza e di incremento dell’odiosa piaga dell’usura. 

Anche se ci siamo quasi abituati e, in un certo senso rassegnati, non meno grave è la crisi ambientale che nel nostro territorio ha assunto la forma della devastazione degli ulivi con l’inarrestabile propagazione della xylella. Il Sud Salento è una delle “aree interne” sparse in Italia la cui progressiva emarginazione non accenna ad arrestarsi, soprattutto se si tiene conto dell’invecchiamento della popolazione e del triste fenomeno della denatalità. Il calo delle nascite è un dato così appariscente tanto che non è difficile pensare a una sorta di “desertificazione” dei nostri paesi; una desertificazione accentuata anche dal ritorno al fenomeno delle migrazioni. Mi riferiscono non solo ai migranti che tentano di raggiungere le nostre sponde affrontando viaggi carichi di pericoli e di dolore, ma soprattutto al numero sempre maggiore di giovani e di intere famiglie che si spostano nei paesi nel Nord Italia e dell’Europa. 

Nei giorni in cui si riaprono le scuole, mi sembra importante segnalare anche la necessità di un necessario accompagnamento educativo delle nuove generazioni. I giovani del nostro tempo sono la prima generazione a non avere memoria del XX secolo e a sentirsi del tutto appartenenti a quello attuale. Nello stesso tempo è la prima generazione a costruire il proprio percorso lavorativo e di entrata nella vita adulta dopo la discontinuità prodotta dalla pandemia di Covid- 19. Negli ultimi anni sono aumentate nei giovani le difficoltà connesse con gli stati di ansia, gli attacchi di panico, i disturbi della condotta alimentare, i gesti autolesivi, i tentativi di ritiro sociale e di suicidio, la crescita del fenomeno delle baby-gang, degli atti di bullismo e cyberbullismo. I giovani necessitano di un supporto educativo condiviso e mirato tra tutti i soggetti proposti alla loro crescita per superare l’incertezza del nostro tempo e i sentimenti negativi che insorgono nella psicologia personale e sociale.

Il realismo della speranza

In definitiva, appare sempre più necessario adoperarsi per il risveglio di una coscienza collettiva che sia capace di creare in tutti il senso di comunità e la necessità di sconfiggere insieme quell’individualismo che pervade la nostra società, raccogliendo gli sforzi di tutti per costruire insieme il bene comune. L’individualismo è un “cancro” che distrugge la persona e la società. A tal proposito, vale la pena di ricordare una famosa espressione di Gandhi: «L’uomo si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con la scienza senza umanità, con la fede senza sacrifici».

Il compito che ci prefiggiamo è arduo, ma è assolutamente indispensabile. Nessuno può sottrarsi a questa missione. Per questo compito è necessario “osare la speranza”, virtù che consente di riprendere con coraggio il cammino personale e comunitario. La speranza è parente stretta del realismo. Diversamente da chi si dice “ottimista”, perché gli pare che tutto vada bene, chi vive la speranza è, invece, un “realista”. Egli sa che il dolore e il fallimento non hanno l’ultima parola, ma sono il terreno che accoglie il seme di un futuro di bellezza e di gioia sapendo, come afferma il poeta Hölderlin in un verso dell’inno intitolato Patmos che «dove c’è il pericolo, cresce anche il salvifico». 

La speranza non dà risposta alla domanda: «Perché mi accade questo?», ma risponde ad un interrogativo più fecondo: «Cosa posso imparare da questo dolore?». Quando si avverte che la vita ha un senso, nonostante le difficoltà e i fallimenti, si scopre che il mondo è sotto la continua azione dell’Onnipotente. Egli sa trasformare il carbone in diamante e trarre la perla dalla lacrima della conchiglia. È necessario, però, che il nostro sperare sia ragionevolmente fondato. La ragionevolezza della speranza trova il suo solido fondamento nell’essere inchiodata alla croce e nascosta nella tomba di Cristo. 

Abbiamo bisogno di affidarci al “realismo della speranza”, un realismo «che non si lascia deprimere né fa spazio al cinismo paralizzante, perché sa che il mondo, nonostante tutto è attraversato dalla grazia pasquale che lo sostiene e lo redime. Questa grazia ha bisogno di testimoni operosi, che siano per i fratelli il volto della speranza: tutti i figli della Chiesa sono chiamati ad esserlo»[1].

Sotto questo profilo, è opportuno richiamare quanto diceva don Tonino Bello, secondo il quale la speranza non è «un ripostiglio dei desideri mancati». «La speranza, invece, è parente stretta del realismo, la tensione di chi, incamminandosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto.  È impegno robusto che non ha da spartire nulla con la fuga. Perché chi spera non fugge. Si incarna nella storia, non si aliena. Costruisce il futuro, non lo attende soltanto. Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma. Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare. Cambia la storia, non la subisce. Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti,non la gloria del navigatore solitario»[2].

I Santi Medici ci siano di aiuto e di conforto in questo pellegrinaggio della speranza che desideriamo vivere questo anno, sorretti dalla loro protezione e dall’esemplarità della loro testimonianza di fede e di amore a Cristo. 


[1] Sinodo del 1985, Relazione finale, D2.

[2] A. Bello, Squilli di trombe e rintocchi di campane, in Id. Scritti mariani, lettere ai catechisti, visite pastorali, preghiere, vol. III, Mezzina, Molfetta 2005, pp. 231-232, n. 153. 

[ad_2]

clic qui per l’articolo sul sito della Diocesi di Ugento – S. Maria di Leuca