La Puglia, spettro di luce nei colori dell’arcobaleno – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Presentazione al libro di P. Rubini (a cura di), Le parole di don Tonino per una politica dei volti, Cacucci Editore, Bari  2023, pp. 21-24.

Splendida sei, amata terra di Puglia.

Che a me appari, quasi in sogno, come luce sfrangiata nei riflessi dei differenti colori dell’arcobaleno. Plurale nella tua più intima natura. Identità quasi senza volto, ovvero con tanti appellativi che ti si addicono e stanno sempre insieme, senza che alcuno possa sopraffare l’altro. Molteplice perfino nel nome, declinabile al singolare (Puglia) o al plurale (Puglie).  

Mi appari nei volti meridionali, abbronzati alla luce del sole, vaganti in una terra immersa nella luce meridiana, nel suo sinuoso e fascinoso sporgersi nel mare, come ponte che si incunea nell’acqua, desideroso solo di congiungersi all’altra sponda. Qui il confine non separa, ma unisce. È la peculiarità di questa terra e di questo “mare tra le terre”, questo antico e misterioso luogo dove differenti tradizioni, religioni e culture interagiscono e si arricchiscono nel loro reciproco mescolarsi. Terra e mare di frontiera, confine aperto verso l’altrove dove l’esclusività si perde a favore di una contaminazione continua.

«Ponte lanciato verso l’Oriente»[1], illuminato dalla luce aurorale che rischiara le tenebre del tramonto d’Occidente. Luce che si rinfrange nell’azzurro mar Mediterraneo e si disperde negli orizzonti di terre che si intravedono da lontano. Luce diffusa che evidenzia la tua composizione territoriale e richiama le vicende storiche che ti hanno generata come incrocio e crocevia, approdo e passaggio, confine e frontiera. 

Splendida tu, terra di Puglia. 

La più settentrionale delle regioni del Sud o la più orientale delle regioni meridionali. Da sempre, centro di scambi culturali e commerciali con i paesi posti sull’altra sponda dell’Adriatico e dell’Africa settentrionale. Terra di mezzo, tra periferia e punto mediano dove si dirigono e partono le tante frecce che vanno verso Sud e Nord, Est ed Ovest. Ambivalente e ambigua nei tuoi contrasti e nelle tue convergenze, nei tuoi ricorrenti esodi di gente che emigra per altri lidi e nei sempre nuovi flussi di migranti alla disperata ricerca di un approdo sicuro. 

Terra-porto sei, e terra-finestra! 

Terra-porto. 

Che accogli i barconi e le ombre vaganti sul mare e custodisci tutti come figli, nel tuo grembo materno e longilineo. Attraversata da gente che parla strani linguaggi, dove i dialetti si moltiplicano e si incrociano, si fondono e si confondono. E anche i canti modulano differenti tonalità di ritmi e di suoni. Terra di badanti e di turisti che si avventurano alla ricerca di lavoro e di bellezza; di lavoratori stagionali disseminati nei campi, che si muovono quasi fossero ombre invisibili agli occhi incuranti della moltitudine; di prostitute troppo visibili nella loro invisibilità, piantate lungo le strade, quasi pietre miliari, per segnare il viaggio slanciato che dal Gargano scende giù nel Capo di Leuca e dal Salento risale verso la Capitanata. Drammi umani che spesso si consumano tacitamente nei campi, sulle strade, nelle case abbandonate, lungo le radure semideserte, ma in realtà note a tutti come luoghi per appuntamenti furtivi. Anime che nessuno più vede, incarnate in corpi che sono ben visibili. Anche le lacrime scendono nascoste e segrete a rigare il volto, mente il silenzio avvolge, nel suo manto consunto, le violenze fisiche e psicologiche e i più subdoli ricatti.

Terra-finestra. 

Cioè «terra-simbolo, terra-speranza, terra-frontiera, terra finis-terrae»[2]. Terra chiamata dare vita e a mettere in luce. Ora, però, un po’ dimentica e incapace a dire che «l’aborto è un oltraggio grave / alla tua (divina) fantasia. È un crimine contro il tuo genio / È un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano / È l’antigenesi più delittuosa. È la “decreazione” più desolante. / Ma (anche) a dire, anche, che mettere in vita non è tutto / Bisogna mettere in luce. / E che antipasqua non è solo l’aborto / ma è ogni accoglienza mancata. / È ogni rifiuto. / Il rifiuto della casa, del lavoro, dell’istruzione dei diritti primari»[3].  

Riaccendi, splendida terra di Puglia, il fuoco della tua missione all’incontro e alla generatività. Guarisci dalla grande “malattia dell’Occidente” e dismetti lo stretto abito di una identità che si concepisce come il “non-generato che non si lascia generare”. Rifiuta l’individualismo neutro, la scelta per la scelta, libera di essere senza nessun riferimento al bene e al male. Mantieni la tensione finalistica della realtà all’eschaton. Arresta il declino della tua bellezza e non spogliarti della responsabilità di “generare”, che si manifesta in modo preoccupante nel sensibile calo delle nascite. È giunta l’ora, riprendi la corsa.

È tua la vocazione di essere terra di cammini e di oasi, di misteriosi pellegrinaggi e di gradite soste, di ataviche fatiche e di moderni ristori. Forma la «carovana solidale, in un santo pellegrinaggio»[4] e percorri tutta la dorsale della santità pugliese: dalla grotta di san Michele e dalla stanza di san Pio da Pietrelcina fino alla cripta della Basilica di san Nicola, per sostare davanti alla testimonianza dei santi martiri idruntini e finalmente lasciarti afferrare, nella Basilica di Leuca, dalle materne braccia della santa Vergine de finibus terrae

Non ti appartiene solo il peregrinare di Ulisse, l’eroe del ritorno (nostos e nostalgico) alla patria abbandonata, ma anche il viaggio (avventuroso e rischioso) di Abramo, fondato su un atto di fiducia nel Signore della storia. Un viaggio che, in modo inatteso, spalanca all’orizzonte la luce di una meta da raggiungere, sorretti solo dal coraggio, dalla speranza che non delude e dall’abbandono confidente. Incamminati con parresia lungo il suo sentiero e liberati da ogni vestito ideologico. Rifiuta ogni banalità e riempi la bisaccia del pellegrino del «coraggio dell’esodo […] Rifiuto della staticità sonnolenta. Abbandono di inerti moduli ripetitivi. Spirito di ricerca»[5].

Pellegrini siamo tutti. E ancora di più lo sono coloro che hanno responsabilità di guida della comunità ecclesiale e della società civile. A questi ultimi, don Tonino soleva augurare: «Discernimento dei segni dei tempi; intuizione delle grandi utopie che irrompono nell’oggi e diventano già carne e sangue; percezione che la pace è frutto della giustizia, a tutti i livelli. Conversione, che deve farvi ribaltare copernicanamente la visione egoistica che avete del vostro mestiere. Fino a farvi diventare mistici, o artisti, o bambini»[6].

Le parole di don Tonino Bello per una politica dei volti vibrano in questo libro e suscitano nella società civile, nelle donne e negli uomini impegnati in politica e nelle istituzioni pubbliche e private, una logica differente, per generare pensieri e prassi di giustizia e carità, di accoglienza e convivialità, di gratuità e libertà. E far fiorire germi di speranza e di pace. 


[1] A. Bello, Quale olio brucerà sulla tomba di Francesco, in Scritti 4, p. 94.

[2] Id., La speranza a caro prezzo, in Scritti 4, p. 348.

[3] Id., Dammi, Signore, un’ala di riserva, in Scritti 3, p. 316.

[4] Francesco, Evangelii gaudium, 87. 

[5] A. Bello, Vegliare nella notte. Riflessione dettata ai politici della Diocesi, in Scritti 6, p. 86.

[6] Id., Capaci di misericordia. Riflessione dettata ai politici della Diocesi, in Scritti 6, pp. 65-66.

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