Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi per l’Ordinazione Presbiterale di don Tommaso Cavaliere – Diocesi di Castellaneta

 
 

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Carissimi fratelli e sorelle,

dopo l’ordinazione della scorsa settimana di don Michele Mingolla – le cui mani profumano ancora del santo crisma – il Signore questa sera ci ha convocati nuovamente come Chiesa diocesana per vivere “insieme” una nuova ora di grazia, in cui continua a benedire il Padre per noi e a manifestare, nella piccolezza e nella fragilità della nostra natura umana, i segni e i misteri del Suo Regno, che attraverso l’effusione dello Spirito santo prenderanno piena forma nella persona di don Tommaso, chiamato ad essere: “servo per amore”!

Saluto caramente i genitori di don Tommaso e i suoi familiari, che oggi gioiscono per il dono che il Signore ha riservato per la loro casa… dono di grazia: accolto, custodito ed accompagnato.

Grazie, poi, a tutti i confratelli presbiteri, diaconi e seminaristi presenti, iniziando da don Renzo Di Fonzo, nostro Vicario generale, e don Gianni Magistro, parroco di questa Comunità parrocchiale che, negli ultimi 11 anni, per la terza volta (dopo don Giacomo Antonicelli e don Domenico Pinto) ha la gioia di donare uno dei suoi figli al servizio totale di Dio e degli uomini.

Dinanzi ad una tale ricchezza vocazionale, come non riconoscere il segno bello e significativo della grazia per il quale dobbiamo «rendere lode, al Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli ha rivelato i misteri del Regno», come don Tommaso stesso ha voluto scrivere sul ricordo di questa giornata?

Un ringraziamento che deve farsi impegno di preghiera per le vocazioni di speciale consacrazione: perché il Signore continui a bussare alla porta della vita di tanti giovani, affinché ascoltino il bell’invito del Vangelo «Venite a me» e vivere, così, nella libertà vera, «dove la legge dell’amore non è un fardello da portare, ma un paio di ali per volare» (S. Fausti) sempre più in alto per la vita vera.

In quest’ora di grazia, permettetemi un ricordo-preghiera per un pastore di questa comunità che, dai racconti che ho ricevuto, definirei “geniale” e “generoso”: don Vincenzo Paradiso (+3/8/2008). Penso che sia stato tra i primissimi ad innaffiare, con la testimonianza della sua vita, quel “seme vocazionale” presente in don Tommaso.

Ancora un grazie a don Gianni Caliandro, Rettore del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI” di Molfetta e all’equipe dei formatori, che in questi anni hanno accompagnato e fatto germogliare la “pianticella di Dio” in questo nostro fratello.

Infine, ma non da ultimo, un deferente saluto alle autorità civili e militari, ad iniziare dal Signor Sindaco.

Caro don Tommaso, la tua ordinazione coincide con un giorno particolarmente significativo per la mia vita: la festa di San Francesco d’Assisi. Se per tutti noi, con santa Caterina da Siena, San Francesco è il Patrono d’Italia, per me – in modo particolare – è modello nella sequela del Signore, a cui – al di là delle fragilità – dal 1988 ho cercato di conformare tutta la mia persona.

Prima di morire, nel suo Testamento (siamo nell’estate 1226), il Poverello di Assisi volle consegnare un commosso “ricordo” dei doni di grazia ricevuti ai tempi del suo primo «fare penitenza». Un ricordo che non aveva lo scopo della pura rievocazione nostalgica, ma di una nuova ammonizione ed esortazione a sé e agli altri. E proprio in questo testo, raccontando del significativo dono dei fratelli ricevuto dal Signore afferma: «nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo» (Testamento 14: Fonti Francescane 116).

Fu proprio la luce del Vangelo che illuminò tutta intera la vita di san Francesco e gli permise di scoprire l’amore del Signore che, con l’agire della grazia, lo conformò tutto a Lui «come un astro mattutino fra le nubi, come la luna nei giorni in cui è piena, come il sole sfolgorante così egli rifulse nel tempio di Dio» (Sir 50,7). Parole quest’ultime, che abbiamo ascoltato nella prima lettura tratta dal Libro del Siracide. Parole rivolte al sommo sacerdote Simone [«che nella sua vita riparò il tempio e nei suoi giorni fortificò il santuario» (Sir 50,1)] e che ben si addicono alla persona di Francesco d’Assisi e ci richiamano alla mente i celebri versi del Sommo Poeta, quando – nel XI canto del Paradiso – alludendo alla nascita del santo scriverà: «Nacque al mondo un sole», che avrebbe sposato, come Cristo, Madonna Povertà, diventando così l’uomo nuovo, ossia l’alter Christus: icona vivente di Cristo.

Francesco, dal 1200 in poi, ha avuto l’onere (fattosi poi onore) di irradiare con la sua spiritualità la calda e potente luce del Vangelo, con la profonda nostalgia di viverlo integralmente, perché ogni cuore è fatto di Vangelo, ma soprattutto è fatto per il Vangelo.

Caro Tommaso, oggi, ricevendo il secondo grado dell’ordine sacro, ti conformerai totalmente a Cristo e proprio come san Francesco sarai chiamato a testimoniare con umiltà ed amore il Vangelo vivente: la persona stessa del Signore. Sarai anche tu «come astro mattutino fra le nubi…» con la missione di manifestare con la testimonianza della tua vita sacerdotale il buon profumo del Vangelo che altro non è che «il buon odore di Cristo» (2Cor 2,15).

La vita di un discepolo che diventa pastore è segno sensibile ed efficace di Cristo, presente e operante, nella misura in cui è autentico profumo di Lui. Non può emanare altro profumo che quello del pastore bello e buono. In concreto, si è «profumo» di Cristo nella misura in cui si ha il coraggio di seguire la sua stessa sorte, senza preoccuparsi di sé stessi e delle proprie cose, ma occupandosi esclusivamente dei «misteri del Regno»… consapevoli come dirà Gesù che «le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20).

Nel presente storico di una società segnata dall’individualismo, dall’affermazione di sé e dall’indifferenza la Chiesa oggi ha sempre più bisogno di preti capaci di stare tra la gente; di sacerdoti disposti ad essere servi umili e testimoni disinteressati di gioia e di speranza. «Di persone capaci di vivere, di ridere e di piangere con la gente, in una parola capaci di comunicare con essa» (Papa Francesco).

Dall’incontro con il Crocifisso, che gli parlò nella diroccata Chiesetta di San Damiano, «va’ ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina» (2Cel. 3), e fino al Monte de La Verna laddove, come canta Dante Alighieri, «nel crudo sasso intra Tevero e Arno da Cristo prese l’ultimo sigillo che le sue membra due anni portarno» (Paradiso XI), Francesco ha vissuto un rapporto intenso e particolare con la Croce. Il suo unico ideale di vita fu quello di: «essere – in tutto – come Gesù; contemplare il Cristo del Vangelo, amarlo intensamente, imitarne le virtù» (Benedetto XVI) e come San Paolo sapere di appartenere a Cristo con tutta la sua vita e non aver altro motivo di cui vantarsi se non nella sua Croce, portando, così, nella sua carne i segni amorevoli della passione.

L’adesione alla croce renderà san Paolo (così come Francesco) discepolo autorevole e coerente: perché la fede operante mediante l’amore lo trasformerà in una «creatura nuova». Infatti «se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).

Ed è proprio la croce che qualificherà la bellezza e la novità dell’annuncio: perché come Cristo, tanto Paolo che Francesco d’Assisi, sapranno abbassarsi, considerando gli altri superiori a sé stesso, non appropriandosi, così, della prerogativa di apostoli, ma riconoscendosi piuttosto servi di tutti.

Caro don Tommaso, con l’ordinazione presbiterale, tu hai scelto di consegnare la tua vita al Signore nella donazione ai fratelli per poter esclamare con Paolo la gioia del servizio: «ho servito il Signore con tutta umiltà… non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile» (At 20,19.20).

Nella tua vita sacerdotale contempla sempre il Crocifisso, perché Lui sarà per te sorgente di amore, di umiltà e di servizio.

Di un amore che moltiplica le forze e rende fecondo il ministero; di un’umiltà che attira la compiacenza di Dio e fa accogliere con gioia i suoi doni; di un servizio autentico, il solo che dona la gioia di essere ogni giorno pane spezzato per i fratelli. Tutto ciò lo imparerai se saprai “stare”, ossia “rimanere”, sotto la croce e là ti riconoscerai come il discepolo amato dal Signore.

Vorrei, infine, ricordare l’invito che Gesù ci rivolge nel breve ma intenso brano del Vangelo, dopo aver suggerito di non fermarsi desolati dinanzi ai possibili insuccessi missionari, quanto piuttosto di riconoscere l’“oltre” che attende, rielaborando ogni cosa nella preghiera e rinnovando la piena ed incondizionata adesione al Padre, riconoscendo il bene che cresce dal seme della Parola.

Si tratta di un vero e proprio itinerario di sequela, fatto di una chiamata: «Venite a me»; di un impegno a rinunciare alla propria volontà, per obbedire a quella del Signore («prendete il mio giogo»); della disponibilità ad essere discepoli: «imparate da me» e troverete «riposo per la vostra vita».

Il giogo di Cristo è sempre quello dell’amore che si fa dono, nella mitezza e nell’umiltà di cuore: virtù, queste, che san Francesco si impegnò continuamente ad incarnare, fondandosi unicamente su una relazione decisiva, che valeva più di ogni ricchezza, cioè il lasciarsi amare da Dio.

Il ministero sacerdotale, caro don Tommaso, è un atto di amore a Dio e ai fratelli. Si configura come la ricerca costante del Signore nella propria vita, al fine di essere “come i piccoli del Vangelo” che nell’unità alla sua Persona ritrovano: la pace al cuore, la santificazione personale e la fecondità pastorale.

Gesù, offrendoci di entrare con lui nell’amore del Padre, ci invita al banchetto della Sapienza: il cui cibo è conoscere Dio come Padre e se stessi come figli, rinnovandoci sempre e di nuovo nell’obbedienza a Lui (il Signore) che desidera conquistare il cuore di ciascun discepolo.

La grande tentazione, sempre in agguato, è quella di non rispondere con l’obbedienza al volere di Dio, rimanendo prigionieri e schiavi di sé stessi, dei propri progetti, privi della libertà, la sola che permette di vivere la vita come dono.

Per obbedire – caro don Tommaso – bisogna essere sempre docili all’ascolto di Dio che parla al cuore dell’uomo, anche e soprattutto mediante la mediazione umana. Chi non riesce ad obbedire è perché non sa ascoltare e fa fatica (o rifiuta) ad «imparare» da Cristo, Lui che è il mite ed umile di cuore. Obbedire significa testimoniare sempre il primato di Dio nella propria vita. Tutto ciò, però, matura solo attraverso la preghiera, nel dialogo costante con Dio: il vero ed autentico riposo, a cui Gesù allude nel Vangelo.

La via da seguire è sempre quella di restare uniti (innestati) a Cristo nell’esercizio del ministero sacerdotale. Solo così – come dice Papa Francesco – non saremo «pastori con la faccia acida, lamentosi, né, ciò che è peggio, pastori annoiati».

In questa circostanza particolare penso che San Francesco, rivolgendosi a te, caro don Tommaso, che stai per essere creato presbitero, e a tutti noi che già lo siamo, raccomanderebbe quanto sollecitato a tutti i sacerdoti dell’Ordine:

«Prego poi nel Signore tutti i sacerdoti, che sono e saranno e desiderano essere sacerdoti dell’Altissimo, che quando vorranno celebrare la Messa, puri e con purezza compiano con riverenza il vero sacrificio del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, con intenzione santa e monda, non per motivi terreni, né per timore o amore di alcun uomo, come se dovessero piacere agli uomini» (Lettera a tutto l’Ordine, 14).

Caro don Tommaso e fratelli tutti nel presbiterato, non dimentichiamo mai questo insegnamento: la santità dell’Eucarestia ci chiede di essere puri, di vivere e testimoniare in modo coerente e credibile il Mistero che celebriamo. Tra poco, nei riti esplicativi, alla consegna del pane e del vino, caro don Tommaso ti dirò: «Renditi conto di ciò che farai, imita ciò che celebrerai, conforma la tua vita al mistero della croce di Cristo». Sia questo, per te e per tutti noi, un quotidiano e costante programma di vita.

La Regina del Santo Rosario, che Francesco d’Assisi amava salutare come «la Vergine fatta Chiesa», e a cui oggi ti affidiamo, caro don Tommaso: ti sostenga nel tuo nuovo servizio, ti accompagni nel tuo farti dono totale e ti consoli con il suo sguardo di Madre. Amen!

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