“Pace a voi!”

 
 

Letture:
At 2,42-47
Sal 117
1Pt 1,3-9
Gv 20,19-31

Carissimi fratelli e sorelle,
siamo alla seconda domenica di Pasqua, la liturgia così ce la presenta: non “la domenica dopo Pasqua”, quasi che Pasqua fosse un mistero ormai celebrato che sta dietro di noi. No! Questa è la seconda domenica di Pasqua, cioè la Chiesa per la seconda volta celebra lo stesso mistero e per tutte le domeniche di Pasqua sarà sempre così. Pasqua non è mai un mistero celebrato e archiviato, ma è un mistero di cui noi siamo sempre contemporanei. Non si può parlare della Pasqua usando i verbi al passato, ma dobbiamo parlare della Pasqua usando i verbi al presente perché Pasqua è adesso, ora, oggi!

Ci aiuta il Vangelo, come sempre.  San Giovanni ci ha raccontato come sono andate le cose nel gruppo dei discepoli a partire da quel primo giorno dopo il sabato: al mattino, fin dall’alba, un grande via vai verso la tomba di Gesù. Poi si fa sera e gli apostoli sono riuniti; è finita una giornata misteriosa, straordinaria, tutta da capire! C’è questa notizia della tomba vuota, c’è la notizia data dagli angeli che Gesù è risorto, c’è anche un appuntamento dato da Gesù: “Dite ai miei discepoli che vadano in Galilea perché li aspetto lì”. Ecco allora il brano di oggi. Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei… Evidentemente questi apostoli credevano e non credevano; conviveva nel loro cuore la fede e il dubbio, la certezza e la paura, il timore e la gioia. Vedete, la fede non è mai allo stato puro nel nostro cuore, a volte anche in noi è così: la fede convive col dubbio; mentre crediamo, però poi ci assale il dubbio; mentre vogliamo essere annunciatori del Signore, poi ci prende la paura: ecco il senso di quelle porte chiuse. Venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”.

Gesù viene, sfonda le porte del dubbio e della paura e si presenta davanti ai suoi amici. Ma i suoi amici, i discepoli, non erano pronti a quell’incontro; sì, la tomba era vuota, ma loro, oltre ai dubbi, si portavano nel cuore mille scrupoli, forse anche per questo avevano paura, non solo dei Giudei, ma tutto sommato forse avevano paura anche di Gesù, che rinfacciasse il loro tradimento, il loro abbandono; poche ore prima loro non c’erano sotto la croce ad accogliere l’ultimo respiro di Gesù, erano scappati tutti. Però il Signore rompe ogni paura e dice: “Pace a voi!”. Gesù non rinfaccia niente, non dice niente del passato; “Pace a voi!”. E giustamente San Giovanni commenta: “I discepoli gioirono nel vedere il Signore…”. Certo che gioirono, anche perché Gesù compie un altro gesto particolare: mostrò loro le mani e il costato, dov’erano i segni tangibili della passione. Lui non dimentica la sofferenza e il dolore! Croce e gloria sono lo stesso mistero! Non si può parlare di croce senza aprirsi alla gloria, alla risurrezione, ma nemmeno si può parlare di resurrezione senza parlare prima della croce. È la logica della vita! Mostrando le mani e il costato, Gesù vuole aiutare i suoi discepoli a far sintesi di fronte a quel mistero, li vuole aiutare a capire, perché loro sono ancora molto incerti. e prosegue: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi!”. Ma guardate che mistero: Gesù si fida di questa gente; non erano certamente i migliori che Gesù poteva trovare; chissà quanta gente migliore di loro c’era a quel tempo! E anche oggi chissà quanta gente migliore di noi c’è fuori dei nostri ambienti, dei nostri confini… Certo che c’è! Noi lo sappiamo che siamo peccatori, che siamo povera gente e, come i discepoli, spesso abbiamo una fede che traballa, che ondeggia tra il fervore e il dubbio, tra l’impegno e la pigrizia, eppure Gesù a questa gente affida il compito: “Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi!”.

Allora noi dobbiamo prendere coscienza di questa nostra identità e, dunque, del nostro impegno: noi siamo “mandati”, non possiamo vivere la fede per conto nostro o come un fatto privato! Noi siamo mandati! Abbiamo fatto l’esperienza della Pasqua, non ce lo possiamo tenere per noi.  Noi siamo mandati, non lo dimentichiamo mai! Abbiamo una responsabilità di fronte al mondo, non ce ne possiamo disfare chiudendoci in una religiosità solo privata, in un rapporto solitario col Signore.

Gesù ci manda e poiché sa che noi siamo povera gente, incapace, piena di contraddizioni e di peccato, ecco che ci fa un grande dono: Detto questo Gesù alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo!”. Noi abbiamo ricevuto questo dono nel battesimo, confermato nella cresima, siamo abilitati ad essere testimoni del Signore. Non ci manca niente come grazia! Forse quello che manca è la nostra convinzione, il nostro impegno, la nostra decisione.

Ma quella sera – ci raccontava il Vangelo – mancava Tommaso.  Ed è ovvio che la prima cosa che i discepoli fanno è quella di dirgliela: “Abbiamo visto il Signore!”. Per loro era una gioia partecipare a Tommaso questa notizia! Ma trovano resistenza nel loro amico! “No, non mi fido, devo vedere io, devo toccare io!”. Quanto è forte la pretesa di Tommaso! Non è forse uguale la pretesa di tanti di noi? A volte pretendiamo di vedere, di toccare; quando non ci vediamo serviti da Dio come a noi piace, immediatamente cominciamo a borbottare e a protestare: “Dio non c’è!”, solo perché non fa ciò che a noi serve! La testimonianza degli altri non ci basta, vogliamo vedere, vogliamo toccare… E Gesù lo prende in parola: otto giorni dopo, la stessa scena, a porte chiuse (notate, sono passati otto giorni e le porte sono ancora chiuse). Quanto è difficile passare da una fede incerta, dubbiosa ad una fede convinta! Viene da domandare: sono passati otto giorni, sono passati duemila anni, le porte della nostra comunità sono ancora chiuse o sono aperte? Qual è la nostra disponibilità, la nostra predisposizione verso il mondo, verso gli altri, verso quello che succede fuori? Che facciamo della nostra fede, della nostra Chiesa? É un luogo dove davvero incontriamo il Risorto che ci manda incontro al mondo a dare quelle risposte d’amore, di servizio, di generosità che il mondo attende?

E non possiamo non notare com’è dura la posizione di Gesù.  “Metti qua il tuo dito!”, quasi a voler dire: “Ma te lo hanno detto i tuoi amici, fidati!”. Ecco, la fede si trasmette per testimonianza, non si trasmette attraverso un vedere e un toccare. “Metti qua il tuo dito!”. Quindi Tommaso si arrende ed esclama: “Mio Signore e mio Dio”. “Tommaso, perché mi hai veduto, hai creduto!”.

Noi dobbiamo affidarci al Signore, noi facciamo parte di quella schiera innumerevole di persone che Gesù nel Vangelo di stasera chiama beati. Chissà che Gesù, quando disse quelle parole a Tommaso, non pensasse anche a noi, povera gente che si sforza di credere. “Beati quelli che pur senza aver visto crederanno”. Noi siamo tra quelli che non hanno visto il Signore, ma con molta umiltà e molto coraggio dobbiamo testimoniare dinanzi al mondo una fede forte, intrepida, coraggiosa nell’annunciare Cristo, il Verbo della vita, la Parola dell’amore. E non solo la Parola come annuncio, perché a fare i predicatori non ci vuole molto, uno se le prepara le cose…, non è solo questione di dirle le cose, ma soprattutto è questione di fare, di agire, mostrare uno stile nuovo di vivere che parte da una tomba vuota, la tomba di Gesù.

È da lì che scaturisce la vita nuova, l’amore. Accogliamo questo invito del Signore; immaginiamo che Gesù anche a noi, come agli apostoli, dice: “Andate! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”. Quando finirà la messa ci verrà detto: “La messa è finita, andate in pace”. Ecco, immaginiamo che sia Gesù a dirci oggi, come agli apostoli: “Andate! Io vi mando. Cercate di cambiare il volto di questo mondo, per portare gli uomini a Dio!”.


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