Una relazione esigente – Luce e vita

 
 

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Il discepolato ha delle istanze ben precise, che non possono essere alterate o modellate dalle volontà egoistiche del singolo discepolo. Dal maestro Gesù sono state date delle norme che sono imprescindibili, il non attuarle significa non che saremo espulsi dalla cerchia o addirittura non accettati, ma nel non riuscire a mantenere il passo dietro a Lui.

Il libro della Sapienza ci pone in guardia da un pensiero culturale molto pericoloso e ben presente nella nostra società: “I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima”. Ci sono domande a cui razionalmente non si è in grado di rispondere e il grande rischio è quello che l’uomo di oggi immerso nell’epoca del pensiero tecnico, si accontenti di quello che il mondo della ragione e della scienza è in grado di dare, dimenticando che l’essere umano è un mistero, dove vi sono delle dimensioni che vanno al di là di quello che l’esclusiva ragione può darci. Essere discepolo di Gesù significa voler andare oltre questo tipo di cultura, praticando una strada ben tracciata, un cammino di libertà.

La prima condizione è quella di liberarsi dal mondo dell’infanzia: non significa odiare o rinnegare chi ci ha dato la vita o chi ci ama perché amici o fratelli, non è però possibile che la missione cristiana debba risentire della mia incapacità di un sano distacco dalla vita precedente al discepolato, dove i carismi che ci sono stati dati non vengono impiegati, in quanto devono sempre interagire e misurarsi con la famiglia e la comunità di origine. Se uno dei primi inviti del pontificato di papa Francesco è stato quello di dirci che il cristiano si caratterizza dal profumo delle pecore impregnato sul suo corpo, ciò significa che il discepolo è chiamato a vivere pienamente nelle comunità parrocchiali, a servizio del prossimo che gli è stato affidato. Il mondo dell’infanzia per molti, garantisce l’ambiente in cui ci si sente sicuri, dove l’amore nei nostri confronti è palpabile sotto tanti aspetti, ma al suo discepolo Gesù chiede di sollevare, così come Lui che per amore nostro si è svuotato di ogni sua ricchezza, la croce e indirizzarsi verso il luogo del supplizio, lì dove l’amore si concretizza. Il discepolato non è una luna di miele o un continuo battimani, ma il vivere nella condizione della via crucis, dove nel presentare la logica divina non si viene compresi, anzi combattuti o considerati fuori di senno per i tempi in cui viviamo.

L’ultima istanza per il discepolo è quella più difficile da attuare: la rinuncia ai propri beni. Forse riusciremo a uscire dal mondo ovattato dell’infanzia ed essere disposti alla non comprensione, tuttavia è impossibile rinunciare alla sicurezza che i beni della terra offrono, dove potersi rifugiare, riposare, sentirsi apprezzati… L’avere non è solo l’economico, ma quella ricchezza che ha un’efficacia esclusiva per noi. Se queste tre istanze non vengono comprese, lo Spirito di Gesù non entra in noi, di conseguenza il passo si farà sempre più pesante e il prossimo verso cui avere un amore smisurato finirà nell’essere ferocemente giudicato. Come discepoli non siamo chiamati ad essere un’interpretazione di Cristo, ma degli alter Cristus. Se abbiamo deciso di indossare la veste bianca dei redenti, ciò significa incamminarsi, ciascuno secondo il suo proprio, nella via della passione e dell’amore smisurato. In questo cammino non si è mai soli, i nostri piedi poggiano dove Lui ci ha già preceduti, e se le voci del mondo sono contrarie, la Sua non smetterà mai di incoraggiarci, consolarci e invitarci alla fiducia.

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