Cara Tilde, ti sei consegnata nelle mani tue, degli altri e di Dio – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella Messa esequiale di mia sorella Angiuli Matilde, vedova Novielli,
Chiesa Matrice, Sannicandro di Bari, 17 aprile 2023.

Cara Tilde, 

sei la più grande tra noi, fratelli e sorelle. Con te se ve ne una gran parte della storia della nostra famiglia. Ora molti avvenimenti, situazioni, difficoltà, legami, che hanno riguardato le vicende e i rapporti interpersonali e familiari, sono consegnati al passato e forse all’oscuro oblio. Le nuove generazioni vivono in un altro tempo, avvertono altre esigenze, sono chiamati a percorrere altri sentieri. Il difetto di memoria per ciò che è accaduto talvolta può essere un vantaggio. Virtù non è solo il ricordo, ma anche la dimenticanza. In alcuni momenti occorre attraversare il fiume Lete, per ritrovare la novità e il gusto della vita.

Noi, però, tuoi fratelli e tua sorella, continuiamo a conservare ciò che ci accomuna alla tua persona e appartiene a tutti. Non possiamo e non vogliamo dimenticare. È la vita d tutti, attraversata da eventi talvolta più grandi di noi. Sappiamo bene che non basta dire: «È il destino!», per dare sollievo alla sofferenza. Il passato non può essere cancellato, ci insegue con il suo silenzioso linguaggio. È la parte più interna e nascosta della nostra persona. Un bagno nel fiume dell’oblio può essere salutare. Ma ciò che è indelebilmente scritto nella carne viva rimane per sempre, anche quando tace e sembra essersi dileguato.   

Anche i tuoi figli, Franco, Lorenzo e Vincenzo portano nel cuore l’esperienza vissuta in famiglia. E sono sicuro che la considerano come un lascito prezioso. Forse anche un’ancora di salvezza, perché al centro di ogni movimento essi scorgono la tua presenza amorevole e appassionata. Qui l’oblio non ha più ragione d’essere. Anzi, è proprio il ricordo la forza e l’energia vitale che permette di proiettarsi in avanti, e programmare il futuro tra le tante incertezze della vita presente. 

Questa mattina siamo riuniti in preghiera per accompagnarti nel tuo ultimo cammino verso la casa di Dio. È il tempo di Pasqua, il tempo della celebrazione del mistero di Cristo morto e risorto. Quante volte ti sei accostata sacramentalmente a questa fonte d’acqua viva. In questi ultimi tempi, hai sperimentato, in tutte le sue fasi, la sua straordinaria potenza nella concretezza della tua situazione personale: la sofferenza, la morte ed ora l’incontro con Cristo risorto. Lo hai fatto in silenzio, cercando il riposo e la pace di Cristo. E noi ti abbiamo accompagnato con la nostra vicinanza, la nostra preghiera e, per quanto è stato possibile, con la nostra amorevole cura. Soprattutto i tuoi figli ti sono stati amorevolmente vicini.

In quest’ultima parte della tua esistenza, è apparso più evidente che, soprattutto nel tempo della sofferenza e della debolezza umana, siamo consegnati nelle mani degli altri: i figli, i partenti, gli amici; soprattutto i medici, quando la fragilità si fa più evidente e sono necessarie cure specialistiche. È la regola della vita e nessuno può sottrarsi: quando vengono a mancare le forze e il vigore personale si fa più labile, bisogna appoggiarsi necessariamente agli altri. Il corpo si debilita e la consegna ad altri è inevitabile. Si sperimenta così non solo la sofferenza fisica, ma anche la sofferenza spirituale. Si scopre però che non si tratta di una sconfitta, ma di un guadagno. Ci è, infatti, necessaria la disponibilità, la consolazione, la cura degli altri. La vita è un intreccio di fragilità e di sostegno, di bisogno e di robustezza, di richiesta e di offerta, di soccorso e di conforto.

In questi momenti, tuttavia, non basta consegnarsi nelle mani degli altri, bisogna consegnarsi anche nelle proprie mani. Matura così una nuova consapevolezza circa il valore dell’esistenza e il significato della libertà. Tutto ci è donato e tutto è da noi raccolto. Niente è da tralasciare o, peggio ancora, da gettare via. Anche la sofferenza diventa una grande scuola. La debolezza, infatti, ci purifica dalle scorie del tempo e raffina l’anima fin nelle fibre più profonde. E così, sulla scorta della Lettera agli Ebrei, impariamo dalle cose che patiamo (cf. Eb 5,8).  

Forse, allora, comprenderemo meglio che siamo nelle mani di Dio. La nostra fragilità e l’impotenza degli altri di fronte al nostro dolore sono come una finestra che si spalanca sul mistero e indirizza lo sguardo sulla presenza ineffabile e nascosta, ma reale e tangibile di Dio. Questa, in definitiva, è la grande e vera consolazione della vita: sapere, constatare e riconoscere che siamo nelle mani di Dio. Allora saremo sicuri che nessun tormento ci toccherà e anche se dobbiamo essere purificati come oro nel crogiuolo, siamo certi di essere disegnati per sempre sulle palme delle sue mani.     

Possiamo allora, come Gesù sulla croce, dire: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito» (Lc 23, 46). È quello che tu, cara sorella, hai fatto nel silenzio della tua sofferenza e della tua preghiera. Quando la solitudine si è fatta più evidente, ti sei aggrappata alle braccia misericordiose di Dio Padre per trovare il porto sicuro nel quale poter riposare. Ti sei abbandonata a lui nella certezza della fede. E forse hai sentito la sua voce sussurrarti: «Entra nella gioia del tuo Signore» (Mt 25,21).  

Ora ti consegniamo definitivamente nelle mani di Dio. Incontrerai tuo marito. Rivedrai i nostri genitori, lo zio Saverio e i nonni con i quali hai vissuto i giorni felici la tua adolescenza. Potrai riprendere i discorsi interrotti con le sorelle, Franca e Anna. Potrai soprattutto farti ancora più vicina ai tuoi figli, ai tuoi famigliari e a tutti parenti ed essere per noi, pellegrini nel tempo, un potente punto di riferimento e di sostegno.  

Non è terminato il tuo compito di madre. C’è ancora qualcosa che puoi fare e che certamente vuoi fare: sostenerci tutti con la tua preghiera e il tuo affetto. La morte è certo un mistero di dolore, spezza i legami visibili, ma rinsalda quelli invisibili, affetti più reali dei primi. La vita, infatti, non è tolta, ma è trasformata. E dall’abitazione eterna nel cielo è più facile vedere le nostre necessità e intervenire al momento opportuno.  

Se, di fronte alla morte, le parole sono incapaci di dire l’oscurità del mistero, la fede contiene una luce idonea ad attraversarlo e a consentire di vedere oltre e intravedere la casa sfolgorante, posta sulla vetta del monte, dove risuona il canto, pieno di gioia, dei santi. Ora sei vicina alla porta di quella celeste abitazione. Entra, dunque, nella gioia del tuo Signore e riposa in pace.    

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