Caro don Antonio, sii sacrificio e sacerdote di Dio – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia tenuta dal Vescovo in occasione del XXV anniversario di ordinazione sacerdotale
di don Antonio De Giorgi,
Chiesa Cristo Redentore, Tiggiano, 28 giugno 2022.

Caro don Antonio, 
in questa vigilia della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, celebrando il venticinquesimo anniversario di ordinazione sacerdotale fai memoria dell’amore di elezione del Signore, della grazia sacramentale che hai ricevuto e del tempo in cui l’hai sperimentata ed esercitata.

Come san Paolo sei «vas electionis» (At 9,15)[1], strumento nelle mani di Cristo per portare il suo nome tra le genti; come san Pietro, sei il discepolo a cui è chiesta una risposta d’amore (cfr.  Gv 21, 1-19). Pertanto fai memoria dell’amore di elezione che il Signore ha dimostrato nei tuoi riguardi scegliendoti per il ministero sacerdotale. Ti ha amato e ti ha scelto per amore. Con questo atto di benevolenza, Cristo si è legato a te e continuamente si lega all’azione che svolgi e svolgerai nel tuo ministero. Sei stato eletto a essere sacerdote di Cristo e come Cristo. Conquistato dal fascino della sua chiamata, hai sperimentato la gioia dell’incontro con lui. Sia lui il modello della tua vita sacerdotale!

Riconosci che appartieni al Signore. A questo amore hai consegnato la vita per lasciarti liberare da ogni amor proprio e andare incontro ai fratelli ad annunciare il Vangelo. L’amore di Cristo è stato e deve continuare ad essere il “roveto ardente” che ha marchiato a fuoco la tua esistenza, l’ha conquista e la conforma continuamente alla sua. Come hai fatto in questi anni, devi custodire il rapporto con lui, rendendoti estraneo alla mondanità spirituale, ad ogni compromesso e meschinità. L’amicizia con il Signore deve spingerti ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che niente è impossibile a Dio. Dopo venticinque anni di ministero, questa sera egli rinnova la sua elezione e il suo amore.

Il sacerdozio è un dono di grazia e di misericordia che ha donato novità alla tua vita. Nell’omelia durante le ordinazioni sacerdotali del 1958, l’allora arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Montini, affermava: «Comincia la vita sacerdotale: un poema, un dramma, un mistero nuovo […] fonte di perpetua meditazione […] sempre oggetto di scoperta e di meraviglia; sempre novità e bellezza per chi vi dedica amoroso pensiero […] riconoscimento dell’opera di Dio in noi»[2]. Sulla scorta dell’insegnamento di sant’Ambrogio anche tu, caro don Antonio, dovrai continuamente e nuovamente «accogliere Cristo (Christum suscipere)» perché «chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi»[3]. Il Signore Gesù è stato e sia sempre la tua grande attrattiva, l’argomento principale della tua riflessione e predicazione, il termine di un amore vivo e confidente.

Il suo amore di elezione e il dono della sua grazia hanno segnato il tuo cammino lungo questi venticinque anni ministro pastorale. Il tempo, lo sappiamo, è un mistero, ma è anche qualcosa di evanescente. Il tempo ha il sapore della cronaca. Essa, però, non si risolve nel puro fluire del momento, ma permane nello scorrere incessante del suo inarrestabile movimento. In tal modo, il tempo si qualifica come durata che si conserva nella memoria, si tramanda nella storia, si consolida nella sua apparente trasformazione della realtà. Se qualcosa scompare o si dilegua, qualche altra rimane e si conserva. In questa direzione, il tempo assume il valore dell’intensità. Come un sigillo, l’intensità di ciò che è diventato esperienza personale segna a fuoco la coscienza e genera emozioni e vibrazioni dell’animo che il susseguirsi degli avvenimenti e degli anni non cancella né rende meno vivi e presenti alla mente. Si sperimenta così la durevolezza dell’intensità, la sua dimensione di eterno presente, di forza durevole e incancellabile.   

In questi anni, caro don Antonio, hai sperimentato tutte queste sfumature nella tua vita sacerdotale. L’amore di Cristo è continuato nel tempo, il dono si è fatto storia. Sei stato così aiutato a immergerti nella vita concreta del popolo affidato alle tue cure pastorali nelle due comunità di Morciano e di Specchia che hai servito con passione e dedizione. Sei stato sostenuto e accompagnato ad accogliere i travagli e il cammino di fede di coloro a cui sei stato inviato, ad attendere con pazienza che germogliassero i semi del Regno in mezzo ai ritardi e alle lentezze del cammino del popolo di Dio, a vivere la difficile e bella avventura di essere in costante tensione tra le altezze dell’amore di Dio e l’umile livello dell’ordinaria fragilità umana. Senza paura di sporcarti le mani e di impegnare il tuo cuore nella compassione, hai testimoniato quella carità pastorale che ti ha reso vicino alla gente e attento ai bisogni dei più deboli.

In Cristo troverai sempre la sorgente e il modello per ripetere quotidianamente il tuo “sì” alla volontà di Dio. Rimani costantemente legato a lui. «Con quali legami Cristo è trattenuto?», si domandava sant’Ambrogio. E rispondeva: «Non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima»[4]. Ripetendo le parole che il santo vescovo di Milano scrisse in un celebre sermone alle vergini, anch’io ti dico: Cristo sia tutto per te! «Se desideri risanare le tue ferite, egli è medico; se sei angustiato dall’arsura delle febbre, egli è fonte; se ti trovi oppresso dalla colpa, egli è giustizia; se hai bisogno di aiuto, egli è potenza; se hai paura della morte, egli è vita; se desideri il paradiso, egli è via; se rifuggi le tenebre, egli è luce; se sei in cerca di cibo, egli è nutrimento»[5].

Da Cristo, soprattutto, apprendi il valore e il significato del tuo sacerdozio. Egli, infatti, «è sacerdote e sacrificio e Dio. Per questo offrendo sé a se stesso, riconcilia se stesso per mezzo di se stesso con se stesso e inoltre con il Padre e con lo Spirito Santo»[6].  Anche tu, caro don Antonio, sii sacerdote e sacrificio a Dio! «Non perdere ciò che la divina volontà ti ha dato e concesso. Rivesti la stola della santità. Cingi la fascia della castità. Cristo sia la protezione del tuo capo. La croce permanga a difesa della tua fronte. Accosta al tuo petto il sacramento della scienza divina. Fa’ salire sempre l’incenso della preghiera come odore soave. Afferra la spada dello spirito, fa’ del tuo cuore un altare, e così presenta con ferma fiducia il tuo corpo quale vittima a Dio»[7].

Riferendo non solo a Cristo, ma anche a te stesso le parole di san Pietro Crisologo, prorompi in un inno di gioia e canta: «O immensa dignità del sacerdozio cristiano! L’uomo è divenuto vittima e sacerdote per se stesso. L’uomo non cerca fuori di sé ciò che deve immolare a Dio, ma porta con sé e in sé ciò che sacrifica a Dio per sé. La vittima permane, senza mutarsi, e rimane uguale a se stesso il sacerdote, poiché la vittima viene immolata ma vive, e il sacerdote non può dare la morte a chi compie il sacrificio. Mirabile sacrificio, quello dove si offre il corpo senza ferimento del corpo e il sangue senza versamento di sangue»[8].

C’è un altro aspetto, non sempre adeguatamente considerato, che voglio richiamare. Sei sacerdote del “Cristo totale” [9]. Tuo compito specifico sarà quello di mantenere l’unità tra il capo e il corpo perché la vita che sgorga dal capo raggiunga tutte le membra del corpo e queste agiscano in armonia e stretta collaborazione con il capo e tra di loro. Considera che nella e per la Chiesa, tu sei la «ripresentazione sacramentale di Gesù Cristo capo e pastore»[10]. Dovrai pertanto proclamare autorevolmente la parola, ripetere i gesti di perdono, amministrare i sacramenti e raccogliere in unità il popolo di Dio per condurlo al Padre per mezzo di Cristo nello Spirito. 

Dovrai soprattutto ricucire la frammentazione e la dispersione del popolo di Dio, ricomporre l’unità nella fede e nella vita quotidiana, tra gruppi, associazioni, movimenti. L’unità dei cristiani è necessaria per annunciare in modo credibile la fede a chi non conosce Cristo o a chi, pur avendo già ricevuto il dono prezioso del Vangelo, lo ha dimenticato. L’unità del corpo di Cristo è opera e dono dello Spirito Santo, ma anche impegni di tutti i credenti in lui.

Assolverai questo compito se saprai far fruttificare e a moltiplicare i talenti ricevuti. Per questo ascolta l’esortazione del santo di cui porta i il nome. Sant’Antonio, infatti, ti ammonisce con queste parole: «Nella creazione, quando tu non esistevi, ha dato te a te stesso; nella redenzione, quando esistevi nel male, ha dato se stesso a te perché fu fossi nel bene, e quando ha dato se stesso a te, ha anche restituito te a te stesso. Dato dunque e restituito, tu devi te stesso a lui, e ti devi due volte, e ti devi totalmente. […]. Colui che ha detto “tutto”, non ti ha lasciato una parte di te, ma ha comandato che tu offra a lui tutto te stesso. Infatti con tutto se stesso ha comprato tutto te stesso, per essere lui solo a possedere tutto te stesso»[11].


[1] Dante traduce parzialmente la frase: «Andovvi poi lo Vas d’elezïone» (Inferno, II, 28).

[2] G. B. Montini, Omelia per l’Ordinazione di 46 Sacerdoti, Duomo di Milano, 21 giugno 1958.

[3] Ambrogio, Commento al Vangelo di Luca, V, 16.

[4] Id., Sulla verginità, 13, 77.

[5] Ivi, 16, 99.

[6] Isacco della Stella, Discorso, 42.

[7] Pietro Crisologo, Discorso, 108.

[8] Ivi.

[9] «Secondo la Scrittura il Cristo totale e integrale è capo e corpo, vale a dire tutte le membra assieme sono un unico corpo, il quale con il suo capo è l’unico Figlio dell’uomo, con il Figlio di Dio è l’unico Figlio di Dio, con Dio è lui stesso un solo Dio. Quindi tutto il corpo con il capo è Figlio dell’uomo, Figlio di Dio, Dio. Perciò si legge nel vangelo: Voglio, o Padre, che come io e tu siamo una cosa sola, così anch’essi siano una cosa sola con noi (cfr. Gv 17, 21). Secondo questo famoso testo della Scrittura né il corpo è senza capo né il capo senza corpo, né il Cristo totale, capo e corpo, è senza Dio. Tutto con Dio è un solo Dio. Ma il Figlio di Dio è con Dio per natura, il Figlio dell’uomo è con lui in persona, mentre il suo corpo forma con lui una realtà sacramentale. Pertanto le membra autentiche e fedeli di Cristo possono dire di sé, in tutta verità, ciò che egli è, anche Figlio di Dio, anche Dio. Ma ciò che egli è per natura, le membra lo sono per partecipazione; ciò che egli è, lo è in pienezza, esse lo sono solo parzialmente. Infine ciò che il Figlio di Dio è per generazione, le sue membra lo sono per adozione» (Isacco della Stella, Discorso, 42).

[10] Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 15. 

[11] Antonio di Padova, Domenica XIII dopo Pentecoste, 9, Sermoni domenicali e festivi, Messaggero, Padova 1979, vol. II, p. 163.

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