Il vero volto della fede e il suo valore universale – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Articolo del Vescovo apparso in “Nuovo Quotidiano di Puglia – Lecce”,
sabato, 4 giugno 2022, pp. 1 e 27

Nel dibattito culturale capita sempre più spesso che si faccia ricorso a definizioni in negativo piuttosto che in positivo. Così dopo aver introdotto i concetti di post-modernità, post-cristianità, post-secolarismo, post-umanesimo, da qualche tempo si parla anche di post-teismo.  

Il punto a cui si è giunti alla fine del lungo percorso che ha portato la cultura occidentale dalla modernità alla post-modernità o, come altri sostengono all’ipermodernità, non è l’esclusione della fede dall’orizzonte della ragione, come ha sostenuto una forma “rozza” di ateismo, e nemmeno, come vuole l’Illuminismo, il primato della ragione sulla fede ma, paradossalmente, l’identificazione della fede con la ragione. Essa ingloba e invera la fede in una forma superiore fino a sostenere che il vero credente è il filosofo. Egli, infatti, ammette razionalmente l’esistenza inconfutabile di Dio quale ragione ultima e definitiva del mondo. Non però il Dio antropomorfo, ma il Dio inteso come divinità. Si afferma un “Dio senza Dio”. Si esclude cioè di pensare Dio come “Deus”, e lo si considera solo come “Deitas”, un “Dio senza volto” [1].

Vi è, dunque, il superamento non solo dell’ateismo e del deismo, ma persino del teismo, per approdare al post-teismo ossia a una religione che, spoglia di tutte le sovrastrutture e incrostazioni cultuali, dogmatiche e bibliche, è intesa come il “conato” stesso della ragione che cerca e ammette Dio come “causa sui” e “sostanza divina ed eterna”. Dio non si identifica e non è nemmeno separato dal mondo, ma è il “divino” del mondo, la sua stessa ragione d’essere. «Una cosa – afferma José María Vigil – è intuire il Mistero, intuire con riverenza il Sacro della realtà, la Realtà ultima, inesprimibile e indescrivibile, e accoglierla in un riverente e rispettoso silenzio senza forme, e altro è credere che quel Mistero adotti concretamente il modello “Dio”». In questa visione, prevale l’esaltazione dell’apofatismo e la dimensione mistica e misterica dell’esperienza religiosa. Per questo i teologi che sostengono questa tesi si riallacciano alla dottrina della beghina Margarita Porete (XIII sec.), di Meister Eckhart (XIII/XIV sec.) e di Nicolò Cusano (XV sec.). 

A ben vedere, questo indirizzo teologico si sposa con la visione filosofica di Spinoza[2] e si ricollega all’idea aristotelica di Dio come “Atto Puro”, attività assoluta, energia (in greco ἐνέργεια) e come “noesis noeseos”, pensiero di pensiero che contempla se stesso perché è la perfezione, il fine del movimento e la ragione ordinatrice del mondo. A differenza del cristianesimo che afferma Dio come amore gratuito e preveniente, il Dio aristotelico è il “motore immobile” che muove ogni cosa rimanendo immobile in se stesso. Anche la “Sostanza” spinoziana è “causa sui” ed è conosciuta attraverso la trasposizione della verità rivelata nell’esigenza intrinseca e nella naturale conclusione di un ragionamento filosofico.

Aristotele, però, non conosceva la rivelazione biblica, a differenza di Spinoza che la reinterpretava alla luce della ragione approdando a una conclusione che metteva fuori gioco la rivelazione. Se, pertanto, Aristotele può essere interpretato in senso cristiano, come ha fatto san Tommaso d’Aquino, non così si può fare con Spinoza che si pone come superamento e riduzione della verità rivelata “nei limiti della ragione” (I. Kant), fino alla dichiarazione di Nietzsche che accuserà il cristianesimo di essere un “veleno” per l’uomo.

Il post-teismo è, dunque, una sorta di amalgama tra l’idea filosofica aristotelica e spinoziana, la concezione anonima del Mistero e la dottrina dei mistici renani. Non so se i teologi che si dichiarano post-teisti valutano attentamente il fatto che la negazione del Dio antropomorfo porta al rifiuto del Cristo storico, ossia alla negazione dell’uomo Gesù in quanto Verbo incarnato. Si dimentica che il linguaggio dei mistici era diretto a proporre una visione più profonda della religione cristiana affinché, senza mettere da parte la rivelazione oggettiva e storica, si potesse cogliere il suo valore universale, in continuità con la dottrina dei “semina Verbi”, proposta dagli apologisti e dai Padri della Chiesa del III e IV secolo. 

Il risultato di questo movimento di pensiero filosofico e teologico consiste nella proposta di una “esperienza religiosa anonima del Mistero” o, per dirla con le parole di Sossio Giametta, nell’instaurazione della “religione laica” ossia nel rifiuto esplicito o implicito del Dio antropomorfo, cioè di Cristoper esaltare «l’immensa rivoluzione costituita dalla laicizzazione dell’Europa, base della religione laica destinata a sostituire quella cristiana (cosa che sarebbe stata definitivamente accolta e proclamata proprio dal genio religioso di Nietzsche)»[3].

Non è facile dire quale sarà l’esito futuro di questo processo storico-culturale. Sarà possibile valutare le cose alla luce della “storia degli effetti” (Wirkungsgeschichte) e soprattutto tenendo conto del criterio formulato da Gamaliele negli Atti degli Apostoli: «Se infatti questa teoria o questa attività è di origine umana, verrà distrutta; ma se essa viene da Dio, non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere contro Dio!» (At 5,39). Tuttavia, anche se la fede cristiana nel Dio personale rivelato in Cristo dovesse estinguersi come fenomeno sociale e culturale, ma dovesse rimanere ancora nel cuore di una sola persona, sarebbe dimostrata la sua origine divina.


[1] Cfr. G. Barzaghi, Oltre Dio ovvero omnia in omnibus. Pensieri su Dio, il divino, la deità, Giorgio Barghigiani Editore, Bologna 2000.

[2] Cfr. A. Zambaldi, Conversando con Baruch. Spinoza, un filosofo “oltre le religioni”, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (Verona) 2022.  

[3] S. Giametta, La filosofia di Spinoza e il duello con Schopenhauer e Nietzsche, Bollati Boringhieri, Torino, 2022, p. 53.

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