Valorizzare le tre forme della bellezza della Città di Ugento – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria di Ugento
chiesa Cattedrale, Ugento, 4 dicembre 2022. 

Ill.mi Signori,

Signor Sindaco, Presidente del Consiglio, Assessori, Consiglieri, cittadini di Ugento, amici rivolgo a tutti voi il mio più cordiale saluto. La cittadinanza onoraria che mi avete conferito è per me un grande onore e un segno della vostra stima e dell’affetto di questa Città di Ugento. Il gesto è particolarmente significativo anche perché avviene nel dodicesimo anniversario della mia ordinazione episcopale. In un certo senso, rinnova la gioia di quell’evento di grazia che ha interessato non solo la mia persona, ma l’intera comunità diocesana e, in modo particolare, il popolo ugentino dal momento che la sede episcopale è a Ugento. 

Il mio intendimento inziale 

Fin dall’inizio, il mio intento è stato quello di entrare in dialogo con le persone, le istituzioni, le associazioni. Mi sono proposto di collocarmi dentro la vita della gente per camminare insieme a tutti, credenti e non credenti, in un atteggiamento di fraterna solidarietà e responsabile collaborazione. Nel primo Messaggio inviato alla comunità diocesana ho scritto: «Vengo tra voi come un pastore che vuole ascoltare e mettersi in sintonia con quanto lo Spirito ha indicato nel passato e suggerirà ancora nel prossimo futuro, inserendomi con discrezione nel tracciato di vita ecclesiale che avete percorso. Da parte mia, vorrei sottolineare che c’è un fine che accomuna e dà senso a tutti gli sforzi pastorali: dare gloria al Signore!»[1].

Pur non conoscendo in maniera approfondita la realtà sociale e territoriale della Diocesi, ho sottolineato che «un fascino tutto particolare esercitano la bellezza del territorio e le qualità umane della nostra gente. Ciò che veramente conta, però, è la bellezza spirituale che si manifesta nella vita di fede e di carità del nostro popolo, sorretta da una tenace speranza nonostante le difficoltà sociali siano, talvolta, sconfortanti»[2].

Da questa consapevolezza, scaturiva il proposito di orientare il mio ministero episcopale su due fronti: da una parte, «riconoscere la magnificenza del creato e impegnarmi a custodire e far risplendere la bellezza del giardino di Dio»; dall’altra, prendermi cura degli altri. Per questo ponevo a me e a voi domande che risultano ancora di grande attualità: «Possiamo rimanere insensibili di fronte a tanti giovani che guardano con preoccupazione al loro futuro che si presenta incerto e pieno di incognite per la fatica ad entrare nel mondo del lavoro? Possiamo chiudere gli occhi di fronte a coloro che, negli ultimi anni, hanno sperimentato la dura realtà del precariato o addirittura la perdita del lavoro con la conseguente situazione di difficoltà per le loro famiglie? Possiamo disinteressarci di coloro che approdano sulle nostre coste in cerca di una migliore qualità della vita? Più grande è la difficoltà in cui l’uomo si dibatte, più forte deve essere l’impegno a lenire le sue sofferenze e così far risplendere in modo incomparabile la gloria di Dio!»[3].

La collaborazione con l’Amministrazione comunale di Ugento

In questi anni, ho cercato di camminare sulla linea indicata da questi propositi iniziali. Se ciò è stato possibile è anche grazie alla lungimiranza delle Amministrazioni comunali che si sono succedute nel tempo, presiedute dai Sindaci Eugenio Ozza, Massimo Lecci, Salvatore Chiga. Si è creata così una sorta di fruttuosa sinergia e preziosa collaborazione, nel rispetto delle specifiche competenze e responsabilità, nel perseguire come supremo valore la ricerca e la valorizzazione del bene comune in una linea di fraterna vicinanza e di proficua progettualità. In altri termini, abbiamo stabilito rapporti di amichevole conoscenza personale, di visione generale e di concreta condivisione di progetti, consapevoli della necessità di prevedere tempi lunghi per la loro realizzazione, in riferimento soprattutto alla valorizzazione della dimensione culturale e del necessario adeguamento strutturale.

È mia convinzione che tra la comunità cristiana e la società civile debba instaurarsi una necessaria collaborazione istituzionale. «La società nella sua globalità, infatti, costituisce un ambiente vitale dal forte impatto educativo; essa veicola una serie di riferimenti fondamentali che condizionano in bene o in male la formazione dell’identità, incidendo profondamente sulla mentalità e sulle scelte di ciascuno»[4]. D’altra parte, negli amministratori sopra richiamati, ho riscontrato il desiderio di incarare quelle qualità che Max Weber, nella celebre conferenza La politica come professione, indica come “decisive”: «La passione, il senso di responsabilità, la lungimiranza. La passione è virtù che esprime la donazione totale e accorata a una causa; la responsabilità indica il rispetto verso di essa; la lungimiranza esprime il senso «della capacità di far agire su di sé la realtà con calma e raccoglimento interiore, vale a dire la distanza dalle cose e dagli uomini»[5].

Ugento e lo strano paradosso del Capo di Leuca

Il reciproco riconoscimento personale e istituzionale ha consentito di contribuire a lavorare di concerto per lo sviluppo della Città e del territorio ugentino. Lo richiedeva e lo richiede ancora quello strano paradosso che caratterizza l’intero Capo di Leuca: una terra ammirata, esaltata e ambita e, nello stesso tempo, trascurata, scartata, dimenticata. Il Capo di Leuca, nel passato come nel presente, sembra a volte come “l’isola che non c’è”. Parafrasando il titolo di un fortunato libro di Carlo Levi si potrebbe dire che “Cristo si è fermato a Lecce”. Così assistiamo a uno strano fenomeno: Lecce si lamenta di una sorta di “baricentrismo” ossia di una prevalenza e accentramento politico e amministrativo nella città di Bari. A sua volta, il Capo di Leuca non può non lamentarsi della posizione dominante che Lecce riveste nei confronti del resto del territorio salentino. 

A Lecce sono tutti i centri di potere istituzionale, politico, economico, culturale e mass-mediale. Il resto del territorio sembra abbandonato a se stesso: senza infrastrutture adeguate per il suo sviluppo, senza proposte a sostegno della sua crescita, senza centri culturali per un innalzamento del tasso di competitività. Non si può non rilevare che agli avvenimenti più significativi del Capo di Leuca i mezzi di comunicazione riservano solo qualche breve cenno di cronaca. Sembra che gli abitanti del Sud Salento siano “figli di un Dio minore”. Prima erano preposti a servizio dei latifondi dei nobili, ora a servizio di programmazioni centralizzate ad opera di istituzioni e di agenzie turistiche e culturali, ma sempre in una posizione subalterna e servile. 

Basti solo richiamare il tema del Barocco. Quello del Sud Salento è forse inferiore come bellezza a quello di Lecce? E allora perché non si sponsorizza con la stessa evidenza quello del Capo di Leuca? Di fronte alle reiterate dimostrazioni di poca considerazione, nulla vieta di pensare che si tratti non solo di mancanza di conoscenza e forse anche di una colpevole ignoranza, ma anche di un incomprensibile e ingiustificato senso di saccente superiorità. Va anche detto che il Capo di Leuca non è esente da qualche colpevole mancanza che non si può nascondere e sanare con il lamento, ma con una maggiore intraprendenza e assunzione di responsabilità.  

Ugento nel contesto della bellezza del Salento

Non da oggi è nota la bellezza multiforme e attrattiva del Salento per il suo mare trasparente e incantevole, per le vedute paesaggistiche dell’entroterra, ricco di masserie fortificate, di micro-insediamenti rurali, di paesi dove sono sedimentati siti archeologici di rilevante interesse scientifico. Celebre rimane la descrizione proposta da Guido Piovene, originata dalla trasmissione radiofonica RAI che egli tenne, dal 1953 al 1956, percorrendo il territorio salentino, raccontando le ‘cose viste’. Il Salento – egli scrisse – «è una terra di miraggi, ventosa; è fantastico, pieno di dolcezza; resta nel mio ricordo più come un viaggio immaginario che come un viaggio vero»[6].

All’interno della bellezza del territorio salentino, la Città di Ugento occupa un posto tutto particolare. Situata all’estremità meridionale di una serra nell’immediato entroterra della costa ionico-salentina, a 5 km dal mare, conosce una prima frequentazione antropica durante il Neolitico, con una continuità abitativa costante fino all’epoca moderna. Centro dominante della Messapia arcaica meridionale conserva le testimonianze storico-artistiche delle dominazioni che si sono succedute: romana, bizantina, normanna, angioina. Da Ugento passa la famosa via Sallentina, usata dai Messapi, ma resa importante dai Romani, con la quale collegavano Taranto a Otranto, per raggiungere poi il Capo di Leuca. Ma questa importante arteria è stata usata in ogni epoca, come dimostrano alcuni resti archeologici, alcune chiese, come quella della Madonna della Luce[7], e incisioni ritrovate lungo il percorso.

La costruzione di un’identità sociale si realizza attraverso una accurata e metodica elaborazione culturale. L’analisi della società presentata nel Rapporto Ocse (Pisa 2018) punta il dito sulla reciproca influenza tra la povertà educativa, la dispersione scolastica e lo sviluppo sociale. Il Rapporto rileva che «povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda, perché la carenza di mezzi culturali e di reti sociali riduce anche le opportunità di occupazione. Allo stesso tempo, le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle risorse culturali ed educative, costituendo un limite oggettivo per i bambini e i ragazzi che provengono da famiglie svantaggiate.».

In questa prospettiva, occorre ribadire che la nozione di “bene comune” si arricchisce della dimensione “immateriale” della cultura. Pertanto una efficace strategia culturale deve necessariamente riferirsi sia alla dimensione “materiale” (spazi/edifici pubblici, opere di architettura, nuovi simboli dell’identità locale), sia a quella “immateriale” (valori, stili di vita, credenze, tradizioni, simboli). La scommessa del domani risiede nel valorizzare il capitale culturale anche come vera base economica per lo sviluppo della città. È ormai un principio acquisito e ampiamente condiviso che i modelli di sviluppo basati sulla capacità attrattiva di queste risorse non sono solo potenzialmente vincenti sul mercato globale, ma risultano anche decisamente coerenti con le vocazioni territoriali locali. 

Queste considerazioni richiamano l’importanza di offrire percorsi culturali che superando i tradizionali steccati e, accanto a una gestione più efficace dell’immensa ricchezza paesaggistica, artistica e culturale del territorio, contemplino anche l’attivazione di politiche in favore di un’industria culturale, che potrebbe aprire importanti prospettive di occupazione qualificata e di sviluppo sostenibile del territorio per il rilancio dell’economia e la spinta al cambiamento civile, sociale e politico. 

Le tre forme della bellezza della Città di Ugento

La bellezza della Città di Ugento si caratterizza per il suo grande patrimonio archeologico- paesaggistico e storico-artistico[8] tanto che, nel 2008, è stata dichiarata “Città d’Arte” e una tra le maggiori destinazioni della regione Puglia.  

a) La bellezza archeologica e paesaggistica

Di grande rilievo è la bellezza e la ricchezza archeologica di Ugento, come hanno dimostrato diversi studi compiuti in tanti anni di ricerche sul campo e di approfondimenti attraverso notizie di archivio[9].  Questo ricco patrimonio archeologico va custodito e valorizzato, come giustamente afferma l’Avv. Massimo Lecci nella Presentazione del volume sulla Carta archeologica di Ugento: «Il recupero e la valorizzazione delle presenze archeologiche che insistono sul nostro territorio – la loro approfondita conoscenza e messa in rete – vanno infatti affiancati a una programmazione delle iniziative e delle proposte culturali, che concretizzano il ruolo della Città di Ugento come polo di attrazione culturale»[10].   

Non meno significativa è la bellezza paesaggistica per le sue marine e i suoi bacini che si susseguono tra le dune e la macchia mediterranea[11]. Particolare valore riveste il “Litorale di Ugento” inserito nel Parco Naturale Regionale che, non senza ragione, è stato definito la “Nostra Amazzonia”[12]. Se consideriamo, in modo più specifico, il paesaggio costiero di Ugento, che dal litorale sabbioso si estende verso l’entroterra, al di là dei modesti rilievi delle “Serre Salentine”, non possiamo non constatare che «è caratterizzato ancora da un mosaico complesso e diversificato di habitat naturali e seminaturali, rari e vulnerabili, dall’elevato pregio naturalistico che garantiscono la sopravvivenza ad una ricca e straordinaria biodiversità, a endemismi e rarità floristiche e faunistiche altrove scomparsi, o qui rinvenuti per la prima vota!»[13]

In questa prospettiva si colloca l’iniziativa assunta dalla Diocesi di costituire la Fondazione di partecipazione “Parco culturale ecclesiale, Terre del capo di Leuca” che si prefigge di mettere in risalto le ricchezze presenti nella zona, tra l’altro, con la sua proposta di un turismo conviviale[14] come esperienza evocativa e generativa attraverso la narrazione dialogica della bellezza in modo da trasformare un territorio in Locus Lucis. L’intento è di promuovere un “turismo partecipativo” dove ognuno possa imparare a convivere, divenendo capace di accoglienza e di dialogo sincero. Turismo, dunque, come “laboratorio” di una comunità umana conviviale e di un’economia della bellezza fondata sul dono e la relazione e non solo sul profitto che attivi anche «l’economia della bellezza condivisa» e che non rinuncia certo alla produzione di valore, ma lo fa attraverso il processo della promozione della «convivialità delle differenze» tra culture e civiltà diverse. Il Mediterraneo, ridiventato nuovamente centro di scambi economici ed energetici, ha una missione che la storia da sempre ha affidato a questo specchio d’acqua: essere non un mare di confine, ma di prospettiva e di orizzonte, una bellissima e straordinaria tavola attorno alla quale accogliere e condividere le differenze culturali, religiose economiche e sociali.

b) La bellezza storico-artistica

La seconda bellezza è quella storico-artistica. Si tratta di un diffuso patrimonio locale dove sono ben leggibili le stratificazioni delle civiltà e delle culture che si sono susseguite nel corso del tempo e che hanno segnato la storia millenaria di questo straordinario borgo nell’estremo lembo di terra salentina. Da qui la necessità di operare per una valorizzazione dei tanti beni materiali e immateriali migliorandone le condizioni di conoscenza e di conservazione e incrementandone la fruizione pubblica, così da trasmettere i valori di cui tale patrimonio è portatore. 

A raccontare le fasi del glorioso passato di Ugento è il Sistema Museale, comprendente il Nuovo Museo Archeologico, la Collezione archeologica Adolfo Colosso, il complesso monumentale della Cripta del Crocifisso e la Chiesa della Madonna di Costantinopoli, il Castello dei Principi d’Amore e Palazzo Rovito. A ciò bisogna aggiungere quanto promosso dalla Diocesi in merito al restauro e alla fruizione delle chiese confraternali, del Museo diocesano, soprattutto della Cattedrale, dell’Episcopio e del Seminario vescovile. In questi anni, si è realizzata una fruttuosa opera, portata avanti dal Comune e dalla Diocesi, per realizzare interventi su palazzi, edifici, chiese, monumenti, e riconsegnare alla comunità ecclesiale e civile uno dei centri storici più belli del Capo di Leuca. 

Non senza ragione, l’Avv. Massimo Lecci nella Presentazione al volume di Luciano Antonazzo ha scritto: «Tutti siamo chiamati a custodire e valorizzare il diffuso patrimonio culturale locale […]. Significativi interventi di restauro hanno contribuito non solo ad acquisire ulteriori ed importanti elementi conoscitivi, ma a riscoprire antiche tradizioni popolari utilizzate, altresì, per rafforzare la competitività della nostra destinazione turistica nella sua componente esperienziale»[15].  

c) La bellezza dell’educazione 

La terza forma di bellezza riguarda l’educazione delle nuove generazioni, uno dei temi più urgenti e più controversi del nostro tempo. Il noto filosofo e psicoanalista di origine argentina trapiantato da molti anni a Parigi, Miguel Benasayag ha offerto alcune chiavi di lettura sulla situazione contemporanea[16]. A suo giudizio, la nostra è l’«epoca dei grandi proclami, delle notizie terrificanti e degli atti d’accusa». Eppure, tutti questi discorsi non solo non conducono a nulla, ma neppure ci toccano più, tanto sono distanti dalla vita e dalla possibilità di intervenire concretamente nella realtà quotidiana. Il vero pericolo, in un’epoca come questa, è rappresentato dal niente. Un niente circondato dalle belle parole e dai grandi discorsi. Solo un mondo di desiderio, di pensiero e di creazione è in grado di sviluppare legami e di comporre la vita in modo da produrre qualcosa di diverso dal disastro. La nostra società non fa l’apologia del desiderio, fa piuttosto l’apologia delle voglie, che sono un’ombra impoverita del desiderio. 

In quanto uomini della cosiddetta tarda modernità, siamo parte di una società che per la prima volta nella storia pretende di non essere in nulla e per nulla dedita al sacrificio, una società che si dichiara e si vuole integralmente razionalista, utilitarista e individualista. In un momento di forte crisi sociale, economica e culturale, occorre ricuperare la logica del dono e della gratuità. Il legame sociale è sempre stato fondato sulla logica del dono e del contro-dono, non solo su quella dell’utile. Quando lo studioso francese Marcel Mauss studiò questa logica, negli anni Venti del secolo scorso, mise in evidenza il complesso rapporto tra la libertà del donatore e l’obbligo morale del ricevente. Tornare al dono non è solo un modo per aderire a una morale astratta di bontà e giustizia, ma una forma pratica per orientare le nostre scelte, per dirigerci verso una esistenza più giusta e felice.

Nel nostro mondo globalizzato, l’opera educativa risulta essere tanto più necessaria quanto complessa e difficile. Essa deve essere realizzata con l’apporto di tutti, in una forma comunitaria. La cultura, le tradizioni, la società formano un ambiente di vita che, quasi come un grembo materno, genera, nutre e fa crescere i singoli e le comunità e orienta i loro rapporti e le loro scelte, guardando l’orizzonte globale e mantenendo saldi i legami con la propria terra. In questa prospettiva, la comunità cristiana è chiamata ad offrire il suo contributo e sollecitare quello di tutti «perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie. Ciò richiede il coinvolgimento non solo dei genitori e degli insegnanti, ma anche degli uomini politici, degli imprenditori, degli artisti, degli sportivi, degli esperti della comunicazione e dello spettacolo»[17].

A questi orientamenti si sono ispirati don Tonino Bello e don Leopoldo De Giorgi, due grandi educatori che sono vissuti e hanno operato in modo particolare a Ugento. Diversissimi per formazione e carattere, ma fra loro grandi amici, si sono stimati a vicenda e hanno collaborato per il bene della gioventù ugentina. Conoscete tutti il valore dell’azione educativa che essi hanno promosso nell’Oratorio e in Seminario senza risparmio di energia e di risorse economiche, anche personali, in vista di una “formazione integrale” dei giovani. Si comprende così l’attenzione che essi hanno riservato all’approfondimento culturale attraverso lo studio, alla conoscenza del valore della musica e delle arti umanistiche, alla crescita amicale delle relazioni interpersonali, alla formazione fisica attraverso la pratica dello sport. 

Don Tonino Bello era guidato dall’idea di mettere in atto la “pedagogia della soglia”, che consiste nel rispettare la coscienza dei giovani senza invaderla, aiutandoli con discrezione a costruire la propria personalità sulla base di un sistema di significati, di una coerente scala di valori, di un apprezzabile quadro di riferimento, attorno a cui esercitare la propria libertà. Attrezzandosi, infine, a vivere con entusiasmo e a familiarizzare con Gesù Cristo[18]. Questa prospettiva si fondava sulla base dell’etica dei volti, del principio del magis e dello stile della gioia[19]. Antonio Scarascia, ex alunno nel Seminario vescovile, definisce l’azione educativa di don Tonino come “un’esperienza speciale, rivoluzionaria, felice, unica”[20]

Don Leopoldo De Giorgi, da parte sua, in tanti anni di servizio pastorale all’Oratorio parrocchiale di san Giovanni Bosco basava la sua azione sulla “pedagogia della generosità, della gratuità e dell’entusiasmo”. I tratti peculiari della sua azione educativa erano caratterizzati «dall’educazione alla socialità e alla partecipazione, la condivisione di momenti religiosi e di pratiche sportive e di attività culturali o semplicemente ludiche»[21].

Se, come Chiesa, ci siamo impegnati a profondere molte energie e risorse economiche per la ristrutturazione del Seminario vescovile e dei locali dell’Oratorio non è solo per un procedere a un necessario adeguamento strutturale, ma soprattutto per mantenere vivo il ricordo di questi due grandi educatori e, sulla loro scia e con il concorso di tutti, continuare l’opera educativa da loro intrapresa nei riguardi delle nuove generazioni. In questo senso, auspico che la valorizzazione dei due immobili possa avere una felice ricaduta ecclesiale, sociale e civile contribuendo, non poco, alla crescita dell’intera società ugentina. 

Immaginare il futuro 

Questo è, per sommi capi, quanto si è realizzato in questi anni. La scommessa per il futuro consiste nell’edificazione di una società nella quale la bellezza, l’arte e la cultura svolgano una funzione importantissima di costruzione della coesione sociale e dell’appartenenza alla comunità. Solo a partire da un rinnovato senso della collettività e del bene comune sarà possibile affrontare le grandi e inedite problematiche che attendono nei prossimi anni il nostro Paese.   

La vera sfida è fare della bellezza un laboratorio di futuro, liberato dalle grinfie dell’homo oeconomicus, per farlo diventare homo donator, che racconta il bisogno di alimentare l’etica dell’empatia[22], che consiste nel fondare la tutela del proprio benessere e della propria felicità su un equilibrio tra interesse per sé e interesse per gli altri. All’ombra di questa scommessa sulla generosità prenderanno vita numerose alleanze e il cliens diventerà un socius, un amico disponibile all’incontro, al racconto della sua esperienza e al ricambio del dono.

Per dare forza a questo progetto occorre liberarsi da ogni forma di ripiegamento su se stessi, dalla diffidenza che inquina i rapporti, dalla critica e dalla contesa che privilegiano la contrapposizione e il contrasto e impegnarsi in un grande movimento di corresponsabilità collettiva con uno stile che fa del dialogo, della collaborazione, della mediazione e del confronto i veri punti di forza del futuro cambiamento e della trasformazione in senso positivo della società ugentina. Questo è anche l’impegno che vogliamo insieme continuare a mettere in atto. 

Con questo auspicio, mentre chiedo al Signore che vi renda merito dell’attestazione di stima che avete manifestato nei miei confronti, confermo che questo vostro riconoscimento darà nuovo vigore al mio impegno e a quello dell’intera comunità ecclesiale ugentina, rimanendo ferma la finalità che caratterizza il mio episcopato e che, per dirla con le parole del grande pittore Henry Matisse (1869-1954), consiste «nel rendere visibile la gloria di Dio»[23].


[1] V. Angiuli, Messaggio alla Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, 2 ottobre 2010.

[2] Id., Ringraziamento al termine della Messa di ordinazione episcopale, Cattedrale, Bari, 4 dicembre 2010.

[3] Id., Saluto alla Città e alla Diocesi, piazza Colosso, Ugento, 19 dicembre 2010.

[4] Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, 50.

[5] M. Weber, Scritti politici, Donzelli Editore, Roma 1998, p. 216.

[6] G. Piovene, Viaggio in Italia (1957), Bompiani, Milano 2017.

[7] Cfr. S. Palese, La Madonna della luce di Ugento. La devozione mariana nel Basso Salento in età moderna e contemporanea, Claudio Grenzie Editore, Foggia, 2022.

[8] Cfr. G. Ruotolo, Ugento-Leuca- Alessano. Cenni storici e attualità, Cantagalli. Siena, 19693.

[9] G. Scardozzi (a cura di), Topografia antica e popolamento dalla Preistoria alla Tarda Antichità. Carta archeologica di Ugento, Quatrini Edizioni & Giuseppe Scardozzi, Viterbo 2021. 

[10] M. Lecci, Presentazione, a G. Scardozzi, Topografia antica, cit., p. 5. 

[11] Cfr. R. Gennaio, Tra le due e la macchia i bacini di Ugento, Martano Editore, Lecce 2001.

[12] Id., Percorsi di biodiversità nel Parco Naturale Regionale, Litorale di Ugento. Studi e rapporti sullo stato degli habitat e della biodiversità, Edizioni Grifo, Lecce 2021, p. 11. 

[13] Id., Percorsi di biodiversità, cit., p. 13.

[14] G. De Marco, Il turismo conviviale. Bellezza, stupore, comunità, Armando Editore, Milano 2020.

[15] M. Lecci, Presentazione a L. Antonazzo, Guida di Ugento. Storia e arte di una città millenaria, Congedo, Galatina 2005; Id., Ugento sacra. Ovvero antiche Chiese- ex conventi e monasteri, edifici ecclesiastici e monumenti sacri della città di Ugento e della sua frazione di Gemini, Claudio Grenzi Editore, Foggia 2020, p. 9. 

[16] Cfr. M. Benasayag, Contro il niente, Feltrinelli, Milano 2005; M. Benasayag – G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi Feltrinelli, Milano, 2005.

[17] Cei, Educare alla vita buona del Vangelo, 50.

[18] A. Bello, Il pozzo è profondo, vol. III, p. 220.

[19] Cfr. A. Scarascia, La vita è bella. Don Tonino educatore (1958-1976), Ed Insieme, Terlizzi, (BA) 2010; V. Angiuli, Ha scritto “t’amo” sulla roccia. Don Tonino Bello accompagnatore vocazionale, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2018; L. Gigante, Occorre un uomo. Tonino Bello educatore, Edizione la Meridiana, Molfetta, 2018. 

[20] Cfr. A. Scarascia, Presentazione (dattiloscritta) del libro La vita è bella, Ugento 7 gennaio 2011.

[21] Cfr. E. Negro, La fede testarda di questo prete. La “Storia” di don Leopoldo De Giorgi (1931-1999), Grafema, Taviano 2004, p. 70.

[22] Cfr. F. Fistetti, Convivialità. Una filosofia per il XXI secolo, Il melangolo, Genova 2017, pp. 67-77.

[23] H. Matisse, Gioia di vivere. Lettere e scritti sull’arte, Donzelli, Roma, 2022.

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