La gloria dei santi e il riposo dei defunti  – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Messaggio per la festa di tutti i santi e la commemorazione di tutti i fedeli defunti

Cari fratelli e sorelle, 

ho pensato di inviarvi questo messaggio per aiutarvi a scoprire la bellezza di questi primi due giorni di novembre. Nella solennità di “tutti i santi”  (1° novembre), la Chiesa onora e festeggia la gloria di tutti i beati, compresi quelli non canonizzati. Il giorno successivo (2 novembre), la comunità cristiana celebra la “commemorazione di tutti i fedeli defunti”, ricordando tutti gli uomini e le donne che sono morti nella pace e nell’amore di Dio. 

La festa di tutti i santi e la commemorazione dei defunti

Nelle due ricorrenze lo sguardo è rivolto a “tutti”. Questo vuol dire che nessuno è solo. La vita e la morte fanno parte del comune destino degli uomini. I santi e i defunti formano una sola famiglia i cui «nomi sono scritti in cielo» (Lc 10, 20). Non in terra o sulla lapide di un cimitero, ma nei cieli dove nessuno ha il potere di cancellarli o, peggio ancora, di profanarli. Sono nomi scritti con l’inchiostro di Dio, disegnati in modo indelebile sul palmo della sua mano perché egli possa averli sempre davanti ai suoi occhi (cf. Is 49,16). Le loro impronte non spariscono mai, perché impresse nella rocciosa eternità di Dio. Anche dopo la morte, i loro nomi e i loro volti sono custoditi per sempre nella memoria e nell’amore dei familiari, e soprattutto dall’infinita tenerezza di Dio.   

Se Dio si ricorda di tutti, anche noi in questi due giorni dobbiamo contemplare tutti i santi e ricordare tutti i defunti. Sì, proprio tutti, nessuno escluso. Soprattutto quelli che non hanno nessuno che si ricordi di loro e non sono circondati e confortati dall’affetto e dalla preghiera dei propri cari. «Siamo tutti nella stessa barca», abbiamo ripetuto spesso in questi anni. Infatti «la vita e la morte sono una cosa sola, come il fiume e il mare» (Kahlil Gibran). 

Questi due giorni, pertanto, sono come due facce della stessa medaglia: ci parlano della morte e della vita dopo la morte, suscitando in ognuno di noi il segreto anelito all’eternità. Infatti, come i semi, sotto la neve invernale, aspirano ad una nuova primavera, così anche noi sogniamo un’altra vita dopo la morte. In fondo, secondo l’immagine di Fernando Pessoa, «la morte è la curva della strada, / morire è solo non essere visto. / Se ascolto, sento i tuoi passi / esistere come io esisto. La terra è fatta di cielo». E, in modo ancora più suggestivo, Emily Dickinson attesta: «Chi è amato non conosce morte, / perché l’amore è immortalità, / o meglio, è sostanza divina. / Chi ama non conosce morte, / perché l’amore fa rinascere la vita / nella divinità». 

La convinzione espressa da questi scrittori è confermata dalla Sacra Scrittura. Il libro della Sapienza afferma: «Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio, nessun tormento li toccherà» (Sap 3,1). L’Apocalisse, ultimo libro della Bibbia, proclama una bellissima beatitudine: «Beati coloro che muoiono nel Signore: fin d’ora riposano dalle loro fatiche, perché le loro opere li accompagnano» (Ap 14,13). Custoditi dall’amorevole cura materna e paterna di Dio, niente della nostra vita va perduto. Tutto è raccolto e conservato nelle sue mani divine.

La preghiera dell’eterno riposo

Nella tradizione della Chiesa, queste riflessioni si sono trasformate in una conosciutissima preghiera per i defunti: «L’eterno riposo, dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua. Riposino in pace. Amen».

Queste parole, apparentemente semplici, sono cariche di un pathos di straordinaria intensità tanto che molti grandi musicisti le hanno trasformate in struggenti melodie. Il loro profondo lirismo, umano e religioso, riprende un testo apocrifo dell’Antico Testamento che recita: «Aspettate il vostro pastore, vi darà l’eterno riposo perché è prossimo colui che deve venire alla fine dei secoli. Siate pronti e riceverete il premio del regno, perché nei secoli dei secoli splenderà su di voi la luce perpetua. Fuggite le tenebre del secolo presente, ricevete la gioia della vostra gloria» (Esdra, IV, II 33-48).

Considerando attentamente le parole di questa popolare preghiera, comprendiamo il valore delle due feste che celebriamo all’inizio del mese di novembre: da una parte, contempliamo con gioia la gloria dei santi, dall’altra, siamo confortati dalla certezza che i defunti sono immersi nella pace e nel riposo eterno. Riflettiamo con più attenzione su questi due aspetti della preghiera.

La gloria dei santi 

La beatitudine di cui godono i santi in paradiso scaturisce dalla partecipazione alla grande festa nuziale dell’Agnello. L’immagine sponsale percorre tutta la Bibbia ed è ripresa negli ultimi capitoli dell’Apocalisse. In essa, l’autore parla della sposa dell’Agnello (cf. Ap 21,9) e delle nozze che sono già pronte (cf. Ap 19,7). La festa può cominciare e sono «beati gli invitati al banchetto delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9). Durante la santa Messa, il sacerdote pronuncia queste stesse parole, invitando i fedeli a ricevere il Corpo di Cristo. 

L’Eucarestia che riceviamo è il farmaco di immortalità e il pegno di vita eterna. Pegno significa caparra, garanzia, certezza di far parte, sin d’ora, della comunità dei santi che, in cielo, celebrano le nozze dell’Agnello. Partecipare alla liturgia eucaristica vuol dire giungere alla soglia delle porte del paradiso e intravedere il posto che ci è stato assegnato nella grande festa nuziale. Così, mentre compiamo il nostro pellegrinaggio sulla terra, siamo già invitati a partecipare alla festa che si celebra in cielo.

La gioia, che ci è promessa, consiste nel vedere Dio non più «come in uno specchio, in maniera confusa, ma faccia a faccia» (1Cor 13,12). Contempleremo così la bellezza del suo amore che dà senso a ogni frammento della nostra esistenza terrena. Anche le esperienze più dolorose ci sembreranno nel loro giusto valore. Smetteremo così il nostro abito da lutto e indosseremo la veste della festa e della danza. E diremo con il salmista: «Hai mutato il mio lamento in danza, la mia veste di sacco in abito di gioia, perché io possa cantare senza posa. Signore, mio Dio, ti loderò per sempre (Sal 30, 12-13). 

Circondati dalla compagnia della numerosa schiera dei santi la nostra letizia sarà ancora più esplosiva. Scomparirà ogni forma di individualismo e di invidia e ogni cosa sarà messa in comune. Come in vasi comunicanti, la gioia dell’uno si riverserà in quella degli altri e, nel comune sentire, si accrescerà la gioia di tutti. Secondo il famoso dipinto del Beato Angelico, riportato in prima pagina, il paradiso è un giardino sempre verde nel quale si svolge la danza celeste di tutti gli angeli e i santi. Godendo della visione beatifica di Dio, essi si contagiano vicendevolmente trasmettendo l’uno all’altro la propria felicità. In questa prospettiva, la morte si presenta come il passaggio attraverso un tunnel, in fondo al quale si intravede la luce intramontabile di Cristo risorto che avvolge e illumina del suo splendore l’infinita schiera dei cittadini della nuova Gerusalemme. Per questo nella preghiera dell’eterno riposo imploriamo il Signore con queste parole: «Splenda ad essi la luce perpetua». Prima, però, gli chiediamo di concedere il riposo eterno a tutti i defunti.

Il riposo dei defunti 

La morte, dunque, è un riposo! Non, però, nel senso di inerzia e di ozio, ma di illuminazione della luce divina a chi non smette di seguire il Signore. La Sacra Scrittura considera il riposo come il traguardo ultimo della vita umana, il compimento del progetto di salvezza personale e universale. Morire significa entrare nel riposo di Dio (cf. Eb 4.) 

Nei Vangeli, il riposo è inteso come “dormizione” a indicare la conclusione della vita terrena come un momento di transizione: la risurrezione di Cristo, infatti, vince la morte e al sonno segue sempre il risveglio. Non a caso, nell’episodio della risurrezione della figlia di Giairo, Gesù afferma: «La fanciulla non è morta, ma dorme» (Mt 9,24; cf. Mc 5,39; Lc 8,52). 

I morti attendono il momento della risurrezione e del risveglio per stare alla presenza di Cristo risorto ed essere illuminati dalla sua luce. Nel Vangelo di Giovanni, infatti, leggiamo: «Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una risurrezione di vita, e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna» (Gv 5,29). Cristo Gesù è «il Signore dei vivi e dei morti» (Rm 14,9).

Il messaggio di questi due giorni consiste nel contemplare la gloria dei santi, verso la quale siamo tutti orientati, e nel fare memoria del riposo eterno dei nostri cari defunti. Esorto tutti, credenti e non credenti, a valorizzare queste due ricorrenze. Sarà l’occasione per interrogarsi sul significato della vita, alimentando il desiderio di eternità, sostenuto dalla speranza che non delude (cf. Rm 5,5).

Invito a pregare i santi. La loro intercessione affretti il superamento di ogni forma di odio e di conflitto e l’avvento di un mondo di pace e armonia. Chiedo, soprattutto a voi, giovani, di considerare i santi come modelli della vostra vita e di sostare presso le tombe dei vostri parenti defunti pregando per loro, magari con la preghiera dell’eterno riposo. Fare memoria dei defunti è un gesto di affetto e di pietà, ed è anche il motivo per comprendere che la vita non termina con la morte, ma è una finestra aperta sull’eternità.

Ugento, 27 ottobre 2023

Il Vescovo
+ Vito

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