L’edificio sacro, metafora del Santuario celeste – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella Messa per la riapertura al culto della Chiesa” Cristo Risorto”
Acquarica del Capo, 10 settembre 2023

Cari fratelli e sorelle, 

con la celebrazione odierna, riapriamo al culto questa chiesa, parte integrante della vostra storia e della vostra identità, totalmente rinnovata dopo i recenti lavori di restauro. In tal modo, la vostra comunità acquaricese si riappropria del luogo centrale dell’azione liturgica e della vita pastorale. Ringrazio tutti coloro che si sono adoperati per la riuscita di questa impresa: i sacerdoti, i tecnici, gli operai e tutto il popolo che ha seguito e ha contribuito con le offerte. In tal modo l’edificio materiale viene nuovamente dedicato al Signore e al suo uso religioso e liturgico. 

Certo Dio è in ogni luogo (Sal 139,7-10): il suo Spirito «riempie l’universo» (cf. Sap 1,7). La sua dimora è nei cieli (cf. 1Re 8,30-49). In modo speciale, il suo capolavoro è l’essere umano. «Dei aedificatio estis», «voi siete l’edificio di Dio», afferma san Paolo (cf. 1Cor 3, 9) perché lo Spirito di Dio abita in voi (cf. 1Cor 3,16). Dio, però vuole abitare sulla terra, così come abita in cielo e nell’animo umano. Vuole costruire la sua tenda per essere presente in mezzo al suo popolo e, attraverso di esso, nel mondo.

L’importanza dell’edificio sacro 

Per questo ha scelto alcuni luoghi per essere adorato e per farvi abitare il suo nome (cf. Dt 12,5,11; 16,2-6) e la sua gloria (cf. Es 29,42-43). Sul Sinai, Mosè contempla il Santuario celeste, la dimora di Dio in cielo. Quella contemplazione si traduce in una vocazione e in una missione perché Dio vuole che quel Santuario celeste venga costruito sulla terra: «Il Signore parlò a Mosè dicendo: Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa secondo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi» (Es 25, 1.8-9). 

L’edificio esteriore è espressione di questo disegno divino. Fin dalla più remota antichità, la costruzione materiale era considerata lo strumento privilegiato per la santificazione dello spazio e per il suo valore cosmico, nel senso che l’edificio era fatto a imitazione del mondo. «La chiesa è l’immagine del mondo»[1], dice san Pier Damiani, segno della grande cattedrale della natura edificata da Dio: «Tutta la terra è piena della sua gloria» (Is 6,3). La norma dell’orientamento dell’edifico rispondeva al criterio di imitare la struttura stessa del cosmo e rappresentare spazialmente l’alto e il basso, la terra e il cielo, che simbolicamente sono l’inizio e la meta dello sviluppo spirituale della persona. L’edificio sacro appare quindi come il tabernacolo di Dio tra gli uomini, il luogo dove terra e cielo si incontrano.

Si comprende così la reale portata dell’edificio sacro e della liturgia che ivi si celebra. In epoca patristica, infatti, era diffusa la concezione di un mondo unitario, di una realtà spirituale strettamente collegata a quella materiale. A tal proposito, san Massimo il Confessore scrive: «Il mondo è uno […]. Infatti il mondo spirituale nella sua totalità si manifesta nella totalità del mondo sensibile, ed è misticamente espresso mediante immagini simboliche, per coloro che hanno occhi per vedere. E tutto intero il mondo sensibile lascia segretamente trasparire tutto l’intero mondo spirituale, semplificato e unificato per mezzo delle essenze spirituali […]. Se attraverso le cose visibili sono contemplate le cose invisibili, in misura molto maggiore le cose visibili sono approfondite attraverso le invisibili da coloro che si dedicano alla contemplazione. Infatti la contemplazione simbolica delle cose spirituali attraverso le cose visibili non è altro che la comprensione, nello Spirito, delle cose visibili attraverso le invisibili»[2]. Lo stesso pensiero esprime san Bernardo di Chiaravalle commentando un passo della Lettera ai Romani dell’apostolo Paolo (Rm 1,20): «Questo mondo sensibile è come un libro aperto a tutti e legato da una catena così che vi si possa leggere la sapienza di Dio, qualora lo si desideri»[3].

Il valore simbolico dell’edificio sacro

Anche questa Chiesa è divisa in tre parti principali: l’ingresso, l’area assembleare e quella absidale. L’ingresso rappresenta la connessione tra la Chiesa e il mondo esterno. Tradizionalmente questo spazio veniva chiamato il nartece e faceva parte dell’edificio della chiesa, ma non era considerato parte della chiesa propriamente detta. Lo scopo era di consentire a coloro che non potevano essere ammessi all’assemblea di ascoltare e partecipare alla liturgia. Spesso includeva un fonte battesimale in modo che i bambini o gli adulti potevano essere battezzati prima di entrare nella navata centrale e ricordare ai credenti il battesimo ricevuto.

L’ingresso simboleggia qualcosa di prodigioso: attraverso la porta si passa da un mondo a un altro. Il tempio stesso, nel suo insieme, è una porta che si apre sul cielo di Dio. Attraversarla simboleggia il passaggio a una vita nuova, come osserva P. Evdokimov: «L’uomo vecchio muore alla soglia del tempio, mentre l’uomo nuovo, risuscitato con Cristo, entra e sta nel tempio della Gloria»[4].

La porta, poi, è simbolo di Cristo stesso (cf. Gv 10, 7-9). Una bella preghiera di Guglielmo di Saint-Thierry suggerisce il suo senso mistico: «Oh!, tu che hai detto: “io sono la porta”, mostraci di quale dimora sei la porta, in quale momento e a chi tu la apri. La casa di cui tu sei la porta è il cielo che abita il Tuo Padre»[5].

La navata è il corpo principale della chiesa. Questo ambiente è specchio dell’ordine naturale delle cose ed è orientato «da Occidente verso Oriente, verso il sorgere del sole…Cristo è infatti il sole del mondo sacro»[6] . La disposizione dell’edificio sacro e il suo collegamento col cosmo lo rende un vero organismo “vivente”, «uno spazio disposto in un certo modo, pieno di vita, anzi esso stesso vivo, un’essenza spaziale che pulsa e respira»[7] .

Viene così richiamata l’arca di Noè. La Chiesa è la nuova arca che salva l’umanità dalle inondazioni del peccato e della morte attraverso l’azione dello Spirito Santo, la colomba che porta nuova vita. Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «La Chiesa ha visto nell’arca di Noè una prefigurazione della salvezza per mezzo del battesimo. Infatti, per mezzo di essa, “poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell’acqua”: “Nel diluvio hai prefigurato il Battesimo, perché, oggi come allora, l’acqua segnasse la fine del peccato e l’inizio della vita nuova”»[8].

L’area absidale, dove si trova l’altare, la sede per il vescovo e i sedili per i sacerdoti e i ministranti, rappresenta la gloriosa visione del santuario celeste. L’altare è collocato al centro, come nella Scrittura lo sono Gerusalemme ed il monte Sion: centro spirituale più che geografico. L’altare è la «”frontiera fra cielo e terra”[9], il “trono di gloria, dimora di Dio” […], il “laboratorio dei doni dello Spirito”[10], la “fonte del paradiso che spande il dono della carità del Signore”: Davvero tremendi i misteri della chiesa, davvero tremendo l’altare! Dal paradiso sgorgava una fonte che emetteva fiumi sensibili. Ma questa mensa ne zampilla una che spande fiumi spirituali. Accanto a tale fonte sono piantati non salici infruttuosi, ma alberi che arrivano al cielo stesso, che hanno un frutto sempre maturo e immarcescibile»[11]

Al centro dell’altare è posto il tabernacolo, il luogo della presenza del “Dio con noi”. Come “padrone di casa”, è posto in posizione centrale e immediatamente visibile. San Gregorio Palamas scrive: «Da questa sacra mensa… sale una fonte che emette zampilli intellegibili, disseta le anime e le innalza fino ai cieli»[12].

Quando i fedeli si dispongono in processione per ricevere la comunione si avvicinano, come i dodici apostoli, alla mano incontaminata di Cristo. L’altare, infatti, rappresenta «la mano del Salvatore: dalla mensa consacrata per mezzo dell’unzione riceviamo il pane, come ricevendo il corpo di Cristo dalla sua stessa mano immacolata; e beviamo il suo sangue come quei primi che il Signore mise a parte del suo sacro convivio, porgendo la coppa tremenda dell’amore. Egli è insieme sacerdote e altare, vittima e offerente, ministro e offerta»[13].

Considerare il valore simbolico dell’edificio sacro è di grande rilevanza anche dal punto di vista antropologico. All’uomo moderno, infatti, convinto che esista solo ciò che passa sotto i suoi sensi, occorre mostrare un segno per risvegliare l’infinita varietà e bellezza della realtà che lo circonda e lo supera, e aiutarlo a leggere la dimensione spirituale che risiede nell’intimità della realtà materiale. L’edificio sacro serve a far risplendere la realtà spirituale di cui esso stesso è fatto. 

La ristrutturazione dell’edificio materiale non ha solo lo scopo di rendere lo spazio più efficiente e più attraente sul piano estetico, ha soprattutto la finalità di far risplendere l’aula liturgica come il luogo in cui Dio dimora (cf.  Es 40, 16-35), la manifestazione della sua gloria, la rappresentazione del paradiso in terra, la casa di Dio tra le case degli uomini. 

La Dimora è anche la Tenda del Convegno (cf. Es 33,7-11; 34,5-9.28) dove Dio incontra il suo popolo e dove si riunisce l’assemblea per ascoltare e dialogare con il Signore. Egli stesso afferma: «Darò convegno agli Israeliti in questo luogo, che sarà consacrato dalla mia gloria. Consacrerò la tenda del convegno e l’altare. Consacrerò anche Aronne e i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio per me. Abiterò in mezzo agli Israeliti e sarò il loro Dio. Sapranno che io sono il Signore, loro Dio, che li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto, per abitare in mezzo a loro, io il Signore, loro Dio» (Es 29,43-46).

Il corpo di Cristo, la nuova Dimora di Dio e la nuova tenda del Convegno

Il Cenacolo è la nuova Dimora e la nuova Tenda del Convegno, il luogo dove si riceve e si diventa Corpo di Cristo. Per noi cristiani è Gesù di Nazareth la nuova tenda di Dio. Non più un tempio, ma una persona diventa la dimora di Dio sulla terra (cf. Gv 1,14). Tutti i popoli sono invitati a credere in lui attraverso le opere che Egli compie, a scoprire nella sua realtà umana il Messia atteso, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo; a dare credito alla sua Parola e a mangiare il suo corpo e a bere il suo sangue nella santa Eucaristia per avere la vita e la risurrezione nell’ultimo giorno. Cristo è la Porta, il mediatore unico della salvezza; il Pastore che dà la vita per le sue pecore; la nuova Tenda e il nuovo Tempio dove abita Dio. 

Collegata a Cristo da un vincolo sponsale, la Chiesa è tenda di Dio.  Il libro dell’Apocalisse ci presenta il traguardo finale: «Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21,3-4).  La Chiesa materiale è simbolo della Chiesa celeste dove si raduna la comunità cristiana. Essa appresenta l’edifico spirituale, il tempio vivente del Signore, formato con “pietre vive”. Esse poggiano sulla “pietra angolare” che è Cristo e formano la comunità che vive la comunione dei santi (cf. 1Pt 2, 4-6).

Se Cristo è la shekinah di Dio (la dimora di Dio), chi accoglie Cristo nella propria vita e segue la sua parola diventa egli stesso dimora di Dio.  Il Signore poi vuole abitare non soltanto dentro di noi, ma anche in mezzo a noi. Gesù infatti disse ai suoi discepoli: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20). Non solo. Oltre ad abitare dentro di noi e in mezzo a noi, abita anche accanto a noi, nel nostro prossimo e, soprattutto, nei più deboli e bisognosi nei quali Gesù stesso si è identificato, dicendo: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»(Mt 25,40). Gli ammalati, i poveri e gli emarginati sono le tende nelle quali incontrare Dio su questa terra. Anche loro sono luoghi sacri da visitare perché Dio, in Cristo, ha scelto di abitare in loro.

In preghiera con Maria, “Madonna del ponte” tra la terra e il cielo 

Come credenti, riuniti nel nome di Cristo, formiamo insieme la casa di Dio che è la Chiesa. Di essa Maria è l’immagine personale. È lei la tenda di Dio, il luogo in cui Dio è stato generato ed è venuto al mondo. Per mezzo di lei la Parola si è fatta carne (cf. Gv 1,14). La vergine Maria che oggi veneriamo con il titolo di “Madonna del ponte” ci aiuti a compiere il passaggio, ogni volta che entriamo in questa Chiesa, dall’edifico materiale alla comunità spirituale, dal banchetto sacramentale al convito celeste, dal pellegrinaggio terreno alla comunione gioiosa ed eterna in cielo con la santa Trinità, nella gloria degli angeli e dei santi.


[1] La citazione è in J. Hani, Il simbolismo del tempio cristiano, Edizioni Arkeios, Roma 1996, p. 29.

[2] Massimo il Confessore, Mistagogia, 2.

[3] Bernardo di Chiaravalle, Sermo de diversis, 9, 1.

[4] P. Evdokimov, L’uomo icona di Cristo. Saggi di spiritualità, Ancora, Milano 1981, p. 96.

[5] La citazione è in J. Hani, Il simbolismo, cit., p. 103.

[6] R. Guardini, I santi segni, Morcelliana, Brescia 1996, p. 189.

[7] Id., L’opera d’arte, Morcelliana, Brescia 1998, p. 43.

[8] Catechismo della Chiesa Cattolica, 1219.

[9] Germano di Costantinopoli, Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 421C

[10] Simeone di Tessalonica, Sul sacro tempio, 111, PG 155, 316DC.

[11] Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni, 46, 4.

[12] Gregorio Palmas, Omelia 56, 13.

[13] N. Cabasilas, La vita in Cristo, a cura di Natale Benazzi, Città Nuova 2017, III, 3, p. 196.

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