Messaggio dell’Arcivescovo alla Città di Brindisi per la festa dei Santi Patroni – Arcidiocesi di Brindisi – Ostuni

 
 

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Carissimi amici e amiche,

è la prima volta che festeggio con voi i nostri Santi Patroni, Teodoro D’Amasea e Lorenzo da Brindisi.

Mi rivolgo a voi non per impartirvi una lezione, o per offrirvi consigli, ma solo per condividere con voi qualche riflessione sulla vita di questa nostra città.

È significativo che questi giorni di festa diventino occasione anche di riflessione sul presente e sul futuro della nostra città di Brindisi.

Abbiamo ricevuto in eredità dai nostri padri un luogo carico di storia, da sempre laboratorio di cultura, di scambi commerciali, di incontri, di arrivi e di partenze; testimone silenzioso ma carico di fascino di tutto questo è il nostro mare Mediterraneo, che sin dai primi passi delle antiche civiltà si è offerto come strada di relazioni, di contaminazioni umane, di storie, di percorsi di crescita.

Purtroppo, oggi, questo nostro mare, quando poteva continuare a raccontare storie di civiltà, di progresso e di benessere, è costretto ad essere testimone muto del naufragio della nostra umanità, perché tanti nostri fratelli e sorelle, bambini, giovani e anziani, in cammino verso il sogno di una piena dignità, vi hanno trovato la morte e il Mediterraneo è diventato per loro sepolcro inatteso e per noi motivo di vergogna.

Per fortuna su questo mare buio si sono accese delle stelle, quelle luminose dell’accoglienza, che diventano per noi, naviganti della vita, motivo di speranza.

Tra queste stelle c’è anche quella di Brindisi, che dopo la prova di maturità umana dimostrata in occasione dell’accoglienza degli albanesi trentadue anni fa, il 7 marzo 1991, anche negli ultimi mesi ha accolto tanti fratelli e sorelle profughi in fuga dai loro paesi e recuperati in mare dalle tante organizzazioni umanitarie.

A questo proposito vorrei rivolgere un attestato di gratitudine al Signor Prefetto, la Dott.ssa La Iacona, che con senso del dovere e umanità ha coordinato l’accoglienza; con Lei, ringrazio anche  tutte le istituzioni civili e militari e di volontariato, che hanno dimostrato capacità di fare rete per soccorrere i fragili e i deboli nel momento del bisogno.

Tutto questo testimonia che Brindisi è una città che ha tante buone risorse umane, sociali, tecniche, culturali, ecclesiali; risorse che non possono essere sotterrate per paura, in attesa di tempi migliori, come il talento della parabola narrata da Gesù (Mt 25, 14-30). Sono risorse che vanno impiegate per contribuire a dare un volto nuovo alla nostra città, accettando le sfide di un mondo in cambiamento.

Siamo in un’ora storica di profondi cambiamenti in tutti i campi della nostra vita e questo può generare un senso di disorientamento e ricerca di schemi e ricette già collaudate, che se anche hanno funzionato nel passato, anche recente, oggi non funzionano più.

Oggi è necessario mettere in campo la creatività di tutti per progettare una nuova rotta della convivenza umana.

Che città vogliamo?

Quale visione di convivenza sociale abbiamo?

Quale futuro vogliamo costruire?

Che città consegneremo ai nostri giovani, ragazzi e bambini?

Mi permetto, a questo riguardo, di contribuire in modo semplice a questa riflessione, offrendo tre parole programmatiche che spero contribuiscano alla riflessione di tutte le donne e gli uomini di buona volontà della nostra città, senza l’esclusione di nessuno e senza steccati ideologici, razziali, religiosi, politici e sociali.

Il rispetto della dignità umana è il riferimento e l’orientamento principe per ogni visione di società, di convivenza civile e di sviluppo. La persona umana, con il diritto alla salute, al lavoro, all’istruzione, alla famiglia, alla vita, alla libertà di culto, di pensiero, non può essere sacrificata alle logiche del profitto, di uno sviluppo senza regole, e della dittatura dell’economia, che non dialoga più con la politica e la sottomette alle sue logiche.

Mettere al centro la persona non significa fare un esercizio di retorica filosofica, ma mettersi in ascolto delle persone, delle loro storie, delle fatiche, dei timori; prendere in carico le loro fragilità, i disagi, le paure; accompagnarle nei percorsi di crescita, di liberazione dalle moderne schiavitù; incoraggiarle a intraprendere processi e percorsi di gestione serena della vita.

Questa attenzione è fondamentale per costruire una polis a misura umana, che non è un agglomerato di individui che si dividono e a volte contendono un territorio, ma una comunità che vive un territorio come ambiente-laboratorio di convivialità delle differenze, che producono ricchezza umana.

In questo, le nostre comunità parrocchiali, che abitano in modo capillare il territorio della nostra città, possono diventare avamposti di umanità, ospedali da campo, dove l’ascolto, la cura e l’accompagnamento tornano a far ardere il cuore e la mente di tanti fratelli e sorelle affaticati dalle vicende della vita.

L’attenzione al territorio va di pari passo con quella della persona umana. Che attenzione sarebbe quella alla persona se poi non si tutela quella casa comune, che è il territorio?

L’emergenza climatica che è sotto gli occhi di tutti ci fa ascoltare il grande gemito del creato, che in tanti ancora non vogliono ascoltare.

Il cambiamento di rotta per approdare a una nuova e sapiente ecologia integrale non è più procrastinabile.

L’inquietudine che la nostra comunità cittadina vive in questi giorni, per la questione del deposito di gas liquido nel nostro porto, ci dice che queste problematiche interessano anche noi.

A questo proposito mi piace ricordare quanto Papa Francesco scrive nella Laudato si’: “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico.” (LS, 111).

Questo sento di chiedere questa sera a chi ha la responsabilità di decidere: uno sguardo diverso, una politica diversa, che tenga in conto i timori della nostra gente e tutte le grandi risorse lavorative, turistiche, paesaggistiche, culturali e storiche che ruotano intorno al nostro porto.

Non cedere alle logiche, spesso ricattatorie del profitto e del mercato, non è un gesto di eroismo ma di amore civico per la propria città.

Dialogo, trasparenza e informazione nei processi decisionali sono il vero investimento che fa sentire i cittadini responsabili della loro casa comune.

Da parte nostra, come Chiesa che vive su questo territorio, sentiamo di doverci assumere la responsabilità di sostenere sempre i programmi educativi, gli stili di vita e una seria spiritualità che promuove la cura del creato e una graduale ma decisa conversione ecologica, in vista di una sempre più stretta alleanza tra umanità ed ecologia.

In questo senso si sta muovendo il Progetto Policoro della nostra Diocesi, che da tempo ha iniziato una approfondita riflessione sulle Comunità energetiche.

Il futuro di uno sviluppo sostenibile è nelle nostre mani: perché non investire e fare di Brindisi un centro di tecnologie rinnovabili e di tecniche innovative per guardare al futuro con intelligenza e permettere a tanti giovani di potersi realizzare sul proprio territorio?

Le energie, le potenzialità, le possibilità ci sono, basta fare rete e supportarsi reciprocamente per intraprendere cammini condivisi.

La cura della persona e del territorio sono premesse importanti per rifare il tessuto comunitario della nostra città.

Ritrovare lo spirito di comunità è urgente e fondamentale per sfuggire ai particolarismi che anziché investire sul bene comune, cedono a logiche clientelari e di parte.

Dialogare, ascoltarsi, confrontarsi, conoscersi, apprezzarsi nella diversità, pensare insieme, condividere percorsi di crescita, includere, integrare diventano le direttrici indispensabili per progettare e realizzare una città accogliente, dinamica, dove una cittadinanza attiva e responsabile educa al bene comune le giovani generazioni.

Un clima più comunitario, responsabile, di cittadinanza attiva, può aiutare i giovani a sentirsi protagonisti in positivo della vita della comunità, senza dover ricorrere all’espressione del loro disagio per ritagliarsi spazi di protagonismo.

Essere comunità significa prendere a cuore le fragilità, i disagi, i bisogni di chi vive a nostro fianco ogni giorno; la dinamica della delega non ci aiuta a crescere nello spirito comunitario, ma ci chiude nel nostro beato individualismo, facendoci chiudere gli occhi e non vedere i volti di chi ci passa accanto.

Torniamo a vedere i volti degli altri come portatori di domande, di appelli, come rivelazione di qualcosa di sacro che ci raggiunge.

L’epifania dei volti ci chiede accoglienza e voglia di comunità.

In questo noi credenti dovremmo essere esperti di comunità, ma spesso anche noi non siamo credibili e perciò auspico da parte nostra una maggiore responsabilità in questo senso.

Persona, territorio e comunità tracciano una rotta, indicano un cammino e ci stimolano ad avviare un processo, che certamente avrà i suoi tempi necessari; nessuno possiede la formula magica per cambiare le cose dall’oggi al domani, ma tutti dobbiamo manifestare la volontà di incamminarci sulla strada del cambiamento, che per quanto lento possa essere, arriverà in porto con la collaborazione di tutti.

Noi, Chiesa brindisina, faremo la nostra parte e pur riscoprendoci ormai, al di là dei numeri, piccolo gregge, vogliamo sfuggire alla tentazione della depressione o della resa e vogliamo avviare quella resistenza attiva e dinamica che ci deve vedere protagonisti sul territorio, nella semina del Vangelo sine glossa, che prima di seminare vogliamo vivere, anzi vogliamo seminare con la vita, trasformata e rinnovata nella sostanza dall’adesione convinta al Vangelo.

Voglio terminare, consegnando a tutti una parola di speranza; così scrive il profeta Isaia: “…Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte? La sentinella risponde: Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (Is 21, 11-12).

Siamo in tanti a chiedere agli altri quanto tempo ancora durerà la crisi di questa stagione grigia; ma forse più che essere spettatori che pongono domande agli attori della nostra società, conviene che anche noi decidiamo di prenderci la nostra parte di responsabilità, ciascuno al proprio livello, e di diventare protagonisti: sentinelle della convivenza sociale, ecclesiale, politica, familiare, per imparare a scrutare i segni dei tempi e contribuire attivamente al cambiamento.

 + Giovanni Intini

Arcivescovo


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