Riconosci che tutto è grazia e continua a infondere speranza – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella Messa del cinquantesimo di ordinazione sacerdotale di don Rocco D’Amico
Chiesa Maria SS. Assunta, Lucugnano, 18 agosto 2023

Caro don Rocco,

celebrando il cinquantesimo anniversario di ordinazione ringrazia il Signore per il lungo tempo che hai dedicato al ministero sacerdotale e disponiti ad aprire una nuova finestra sul mistero della tua vita. Non siamo ai titoli di coda del film della tua esistenza, ma a un nuovo inizio, alla ripresa di un nuovo percorso. Certo, si tratterà di un cammino differente rispetto a quello che hai già vissuto, ma non meno gioioso ed esaltante. 

Custodisci il dono che hai ricevuto

Per questo considera, ancora una volta, «il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene» (Col 4,17). Queste parole dell’apostolo Paolo ti esortano a riconoscere che appartieni al Signore, perché sei stato “conquistato” dal fascino della sua chiamata e hai sperimentato la gioia dell’incontro con lui. Il segreto della tua vita sta in quel roveto ardente che ha marchiato a fuoco la tua esistenza, l’ha conquistata e l’ha conformata a quella di Gesù Cristo. Ed è l’amicizia con il Signore a darti la forza di «abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio»[1].

Sei chiamato a seguire il Maestro sulle orme che lui ha lasciato, aperto alla sua parola e disponibile a configurarti al suo cuore. La tua dignità sacerdotale non è il frutto di una conquista umana o un titolo che, una volta conseguito, possa trasformarsi in una tranquilla meta raggiunta; non è neanche l’esercizio di un ufficio amministrativo o burocratico, né un compito manageriale. Sei, invece, un discepolo permanentemente in cammino, la cui disponibilità a seguire il Maestro passa attraverso il tuo “eccomi quotidiano”. Prima che essere un servizio, il ministero è una relazione personale con il Signore; un dono d’amore ricevuto e offerto, non una semplice funzione, un compito particolare, un patto di lavoro. 

Accogli continuamente Cristo

Il dono ricevuto una volta per tutte, deve essere accolto nuovamente ogni giorno. «Accogliere Cristo» (Christum suscipere) è il motto proposto da sant’Ambrogio. Innamorato di Gesù, con il passare del tempo hai imparato sempre più a lasciare che egli fissi il suo sguardo su di te e a vedere ogni cosa e ogni persona con i suoi occhi. Rapito dal suo sguardo, in questi cinquant’anni di ministero hai camminato con coraggio e fermezza, senza preoccuparti di ciò che hai lasciato. Ora comprendi quel che conta veramente nella vita: contemplare il volto di Cristo e lasciarti scrutare interiormente da lui. Così ti disponi ad accogliere nuovamente il dono del Signore, sapendo che «chi accoglie Cristo nell’intimo della sua casa viene saziato delle gioie più grandi»[2].

In questi anni di ministero, il Signore Gesù è stato la tua grande attrattiva, l’argomento principale della tua riflessione e predicazione, e soprattutto il termine di un amore vivo e confidente. In Cristo, hai trovato la sorgente e il modello della tua vita e ti sei lasciato legare da vincoli sempre più stringenti. Egli ti ha stretto a sé «non con i nodi di corde, ma con i vincoli dell’amore e con l’affetto dell’anima»[3].

Riconosci di essere l’uomo dei paradossi e la sintesi dei contrari

Con il trascorrere del tempo, hai compreso meglio che essere sacerdote significa essere l’uomo dei paradossi[4] e la sintesi dei contrari[5]. Forse ti sei riconosciuto nel protagonista del romanzo di G. Bernanos, Diario di un curato di campagna, nel quale lo scrittore francese modella la vita del sacerdote sul quella del santo Curato d’Ars. L’abbé di Ambricourt, infatti, è un prete debole e disarmato dinanzi alla realtà quotidiana, malato e solo. Avverte l’esigenza di combattere il male che devasta le anime a lui affidate, ma non sempre se ne sente capace. Eppure riconosce che in lui alberga una forza misteriosa che l’oltrepassa e lo trasfigura. Si sente impacciato, quasi impotente, e tuttavia serba la consapevolezza e la fiducia che Cristo agisce, ama e salva attraverso lo spogliamento della sua persona. Ecco il paradosso del prete: essere debole e forte nello stesso tempo; debole nella sua persona, forte per il potere di cui è investito. Sostenuto da questa consapevolezza, anche nella solitudine della morte e senza la possibilità di ricevere i sacramenti, egli riconosce che tutto è dono, «tutto è grazia»[6].

Alla fine della vita raggiunge una nuova sapienza, perché impara ad accogliere le semplici gioie della vita pastorale, quelle dove è possibile ricevere ed esercitare la misericordia infinita del Padre attraverso piccoli gesti che non fanno rumore e che, forse, non saranno mai ricordati. Finalmente, il sacerdote si riconcilia con se stesso e, in un impeto di sincerità, afferma: «Tutto è ormai finito. Quella specie di sfiducia che avevo di me, della mia persona, si è appena dissolta, credo per sempre. La lotta è finita. Ormai non ne vedo la ragione. Mi sono riconciliato con me stesso, con questo relitto che sono. Odiarsi è più facile di quanto non si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi. Però, se ogni orgoglio morisse in noi, la grazia delle grazie sarebbe solo amare sé stessi umilmente, come una qualsiasi delle membra sofferenti di Gesù Cristo»[7].

Anche tu, caro don Rocco, non desiderare di essere nient’altro se non una semplice brocca dalla quale sgorga acqua sorgiva. Continua cioè ad annunziare la parola di Dio, anche se pochi si degneranno di ascoltarla. Rimani saldo nel compito di «combattere per la fede che fu trasmessa ai credenti una volta per tutte» (Gd 3). E, con san Paolo, cammina per la tua strada per raggiungere lo scopo al quale Cristo ti ha destinato. Dimentico delle numerose opere che hai già realizzato in tanti anni a servizio di questa comunità, spingi lo sguardo all’orizzonte più lontano, in attesa di ricevere la corona di gloria dal tuo Signore (cf. Fil 3, 12-14). 

Saper vedere la grazia è il punto di partenza. Guardare indietro, rileggere la propria storia e vedere il dono sapiente di Dio è motivo di consolazione. Attendere la venuta del Signore, nonostante le proprie fragilità, debolezze e miserie, è esercizio di speranza e di gioia anticipata. Come il vecchio Simeone, rivolgi lo sguardo al Signore e chiedigli di saper vedere la sua grazia (cf.  Lc 25-27). Gli occhi di Simeone attendevano e speravano. Cercavano la luce e videro la luce delle genti (cf. v. 32). Erano occhi anziani, ma accesi di speranza. Saper sperare, questa è la grazia da chiedere al Signore. Guardati attorno, e nonostante tutto continua a sperare e a infondere speranza. 


[1] Francesco, Discorso alla Conferenza Episcopale Italiana, 16 maggio 2016.

[2] Ambrogio, Commento sul Vangelo di Luca, V, 16

[3] Id., De virginitate, 13, 77.

[4] Cf. A. Martin, I paradossi del ministero. La vita del prete alla luce dei testi paolini, EDB, Bologna 2018. 

[5] Per Franςois Mauriac, i sacerdoti sono “mistero” e “scandalo” perché «uomini ordinari, simili a tutti gli altri, sono chiamati a diventare il Cristo»; F. Mauriac, Il figlio dell’uomo, Editrice Nigrizia, Bologna 1963, 115

[6] G. Bernanos, Diario di un curato di campagna, Mondadori, Milano 1946, p. 244. 

[7] Ivi, p. 240.

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