Servi e pellegrini, dame e cavalieri del Santo Sepolcro – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella III domenica di Avvento
11 dicembre 2022 – chiesa Cattedrale di Lecce

Cari fratelli e sorelle,

cari cavalieri e dame del Santo Sepolcro,

l’avvento non è solo un tempo liturgico, ma un simbolo che si estende a tutta l’esistenza personale e alla storia dell’umanità. La vita umana è fondamentalmente un’attesa e anche la storia corre verso un suo compimento. 

Aspettando Godot?

Nel nostro tempo, però, il senso dell’attesa si è fatto piuttosto evanescente. La speranza si è affievolita. Come nella celebre opera teatrale di Samuel Beckett, sembra che molti vivono “aspettando Godot”, metafora dell’esistenza umana, spesso vissuta nell’attesa che avvenga qualcosa che possa distrarre dal tedio e dal pensiero ricorrente del non senso della vita.

L’uomo contemporaneo sembra non cercare più qualcosa o qualcuno che possa dare senso alla sua esistenza, salvandolo dalla disperazione e dalla totale insensatezza e monotonia dello scorrere del tempo. Molti aspettano che accada un avvenimento, una situazione, un evento che possa cambiare il corso del tempo. Qualcosa sembra essere imminente, ma non si verifica nessuna presenza e nessuna novità. Il protagonista è assente e colui che attende rimane immobile, senza far nulla. Sono sempre di più i giovani inattivi, i cosiddetti Neet dall’acronimo inglese di Not [engaged] in Education, Employment or Training lett. “Non [attivi] in istruzione, in lavoro o in formazione”). Si tratta, dunque, di giovani che non studiano, non lavorano, non ricevono alcuna formazione. 

Lo spazio diventa così un luogo cristallizzato, immobile, quasi fosse un sogno angosciante che non riesce a smuovere il corpo e l’anima. Sembra di essere inchiodati in un punto dello spazio e del tempo ed il senso di fissità è talmente forte che a tratti si vorrebbe quasi compiere un movimento di ribellione. Ma non succede niente. Godot non arriva, non si vede nemmeno l’ombra. Non si sa chi sia veramente, né è possibile immaginarlo. 

Forse Godot è quel gesto salvifico che l’umanità attende dall’inizio dei tempi e che mai arriva. L’eterno annuncio di una verità che non si fa mai carne e presenza viva. Indica solo una parola, che resta bloccata nelle menti e nei cuori, illudendo che un cambiamento radicale sia possibile, che qualcosa e qualcuno possa mutare radicalmente la situazione. Aspettando Godot è lo specchio in cui si riflettono le nostre ricorrenti fantasie e illusioni. L’attesa di trasforma nel timore e nella paura: paura dei sentimenti interiori, degli altri, del futuro. 

L’attesa dell’Avvento 

L’attesa proposta dal tempo di Avvento ha una caratteristica tutta particolare e viene espressa dai personaggi biblici più frequentemente richiamati: il profeta Isaia, Giovanni Battista e la Vergine Maria. In loro, l’attesa si fonda su una promessa e si proietta verso il compimento. La promessa si realizza in loro e per mezzo di loro. Hanno ricevuto un annuncio che orienta la loro vita ed opera in essa, come un seme che ha cominciato a germogliare. L’attesa consiste nel vedere spuntare un germoglio! Questo il messaggio che essi proclamano. Per loro, aspettare non è mai un movimento che parte dal niente, ma da una parola che nutre la vita, la alimenta e la spinge a guardare in avanti. 

L’attesa dell’Avvento non è, dunque, una realtà passiva, ma attiva. Genera un movimento, spalanca un possibile itinerario, spinge a mettersi in cammino. Coloro che sono in attesa aspettano in modo attivo. Vedono spuntare un germoglio inatteso, proprio dove sembrava che non vi fossero le condizioni. Un fiore di narciso germoglia nel deserto, in una terra arida. Un virgulto spunta da un tronco rinsecchito. L’attesa significa vivere nella convinzione che qualcosa sta accadendo nel presente, in un preciso istante, ed è visibile con gli occhi della fede. La speranza cristiana è l’attesa di qualcosa che non possediamo e di Qualcuno che non è presente, ma che, in un certo senso, già conosciamo ed è tra noi, sicuri che riceveremo il bene che attendiamo e incontreremo colui che aspettiamo. Per il cristiano, vivere significa attendere che il mistero di Cristo si realizzi nella sua persona!

Servi e pellegrini

Prima di considerarvi cavalieri e dame, siete cristiani, chiamati a vivere l’attesa di Cristo come servi e pellegrini. Queste figure tipiche dell’Avvento indicano gli atteggiamenti spirituali che bisogna coltivare: la pazienza, la perseveranza e la gioia (cfr. Gc 5, 7-11).

Siate servi in un duplice significato: di chi si mette a disposizione di qualcuno, entrando in una profonda e personale relazione con il padrone, e di chi presta un servizio soprattutto a favore dei poveri. Il servo è colui che vive l’attesa operosa con un atteggiamento paziente e perseverante. 

Le persone impazienti vorrebbero anticipare i tempi o fuggono dalla situazione presente rinunciando o desiderano andare altrove. Se il loro desiderio non è soddisfatto immediatamente, il presente rimane vuoto. Le persone pazienti, invece, osano restare dove sono, custodendo il desiderio e vivendo un amore non ancora pienamente dispiegato, che non si affievolisce nel tempo ma si alimenta in attesa della fine.

Siate pellegrini, pronti a compiere il grande viaggio verso Gerusalemme, la città terrestre e la città celeste. Allora sarà possibile provare la gioia del ritorno in patria, della libertà riconquistata. La liberazione esige tempo e fatica, ma il raggiungimento della meta segna la conquista della gioia. In questa terza domenica di Avvento il traguardo si avvicina. Avvertiamo l’approssimarsi del Signore, sentiamo quasi il ritmo dei suoi passi che si fanno sempre più vicini. Un sentimento di gioia invade il nostro cuore. La liturgia di questa domenica “Gaudete”, ci invita a rallegrarci, a pregustare la gioia della venuta di Cristo, della sua manifestazione e della sua presenza nel nostro mondo. 

Egli viene come colui che guida l’umanità smarrita, sfiduciata e stanca, a ricentrare la propria vita in Dio. Beato chi smette di chiedere segni e certezze definitive e beato chi scopre Dio proprio nell’oscurità del mondo e della propria vita. Per ora viviamo la gioia del cammino, alla fine godremo della gioia della meta finale. Ora assaporiamo la gioia della vita quotidiana, la gioia di coloro che si fanno poveri dinanzi a Dio ed attendono tutto da lui e dalla fedeltà alla sua legge. Nulla può diminuire questa gioia, nemmeno la prova. 

In seguito, al termine del cammino riceveremo in premio la gioia più profonda che dura per sempre. «Allora grande e perfetta sarà la gioia, allora pienezza di gaudio, dove non ci allatta più la speranza ma ci nutre il possesso. E tuttavia anche fin d’ora, prima che arrivi per noi il possesso, godiamo nel Signore. Perché non è piccola la gioia che ci viene dalla speranza, a cui poi seguirà il possesso […]. Così ameremo molto di più quando lo vedremo, se avremo saputo amarlo anche prima di vederlo. Ora perciò amiamo nella speranza»[1]. La gioia di Dio sia la nostra forza!

Dame e cavalieri del Santo Sepolcro

La vostra vita sia, dunque, servizio e cammino, ma anche lotta: «Militia est vita hominis» (Gb 7,1). In questo consiste il vostro essere dame e cavalieri: intendere la vita come combattimento spirituale. Fin dai primi documenti riguardanti l’investitura (1336), si attesta che, far parte dell’Ordine del Santo Sepolcro, significa assumere, per tutta la vita, l’impegno di testimoniare la fede, di praticare le virtù cristiane in modo esemplare e di promuovere un’azione caritativa e continuativa per sostenere economicamente le comunità cristiane di Terra Santa. Un compito da attuare con discrezione e concretezza. Vostro impegno è rafforzare la pratica della vita cristiana, in assoluta fedeltà al Pontefice e secondo gli insegnamenti della Chiesa, osservando come base i principi della carità. Siete chiamati a zelare la conservazione e la propagazione della fede e a sostenere i diritti della Chiesa cattolica in Terra Santa.

Siate, dunque, dame e cavalieri della fede. Il Santo Sepolcro di Cristo deve costituire il centro della vostra vita, sia in quanto luogo fisico e storico sito a Gerusalemme, sia in quanto richiama il mistero pasquale di Cristo come centro della vita e della fede del cristiano. Si tratta del mistero che impone il silenzio, l’adorazione, la preghiera: il silenzio come espressione del rapporto d’amore con il Signore; l’adorazione come il riconoscimento della pienezza della divinità di Cristo che rifulge dal suo corpo glorioso; la preghiera come invocazione a conformare la vostra vita nel mistero ineffabile di Cristo risorto.

La vostra fede sia passione suprema che permette di credere, “sperando contro ogni speranza”, in virtù del principio che per Dio è tutto possibile; sia fedeltà assoluta a Cristo, amato come Signore e Maestro della vostra vita; sia testimonianza davanti a gli uomini perché glorifichino il Signore e si convertano a lui. 

Siate dame e cavalieri della carità. Tocca a voi sostenere e aiutare le opere e le istituzioni culturali, caritative e sociali della Chiesa cattolica in Terra Santa, particolarmente quelle del Patriarcato Latino di Gerusalemme, con il quale l’Ordine mantiene legami tradizionali. La strategia dell’Ordine è stata e continua ad essere quella di portare i cristiani di Terra Santa a un livello culturale e professionale tale da consentire il loro inserimento attivo nella vita sociale del proprio paese a pari livello degli appartenenti ad altre professioni religiose. Nel nostro tempo, si assiste a un esodo dalla Terra Santa di famiglie cristiane di stato sociale medio che cercano all’estero un inserimento atto a garantire un futuro per la loro famiglia. Nei diversi territori della Terra Santa, oggi i cristiani rappresentano una percentuale che varia dal 2 al 4% della popolazione. Nella maggior parte si tratta di piccoli artigiani, commercianti e operatori turistici impegnati principalmente nelle attività del turismo collegate ai pellegrinaggi. Minoranze così esigue hanno la possibilità di sopravvivere solo se in possesso di un’adeguata preparazione professionale e culturale.

Con questi propositi, celebriamo questa liturgia per fortificare in noi la “speranza della gloria” che rifulge in Cristo, nostro Signore e Salvatore.  


[1] Agostino, Discorso, 21,1.

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