Vivere nel monastero per vivere i mysteria carnisecche Christi – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Care sorelle, 

la vita monastica non è una fuga mundi, ma una più intima sequela Christi. Come la vocazione di ogni cristiano, anche la scelta monastica è un particolare stato per vivere i mysteria carnis Christi[1]. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, infatti, suggerisce che la vita del credente deve ripercorrere i “misteri” di Cristo[2].

Il cristiano è imitatore dei misteri di Cristo 

Nell’accezione storica, la parola “misteri” indica gli eventi stessi, prefigurati nell’Antico Testamento e realizzati da Cristo nel Nuovo. Si tratta di fatti realmente accaduti carichi di un significato salvifico che trascende lo spazio e il tempo. Nell’accezione sacramentale, il termine “misteri” si riferisce ai riti sacri e ai segni sacramentali, attraverso i quali gli avvenimenti storici vengono rappresentati e attualizzati nella liturgia della Chiesa. La spiritualità ortodossa ha privilegiato questa seconda accezione, sviluppando una spiritualità misterica tutta incentrata sui sacramenti (battesimo, cresima ed eucaristia)[3]. La spiritualità latina ha sviluppato, di preferenza, la linea storica, creando un nuovo genere letterario, quello della «meditazione dei misteri di Cristo». Si tratta di accentuazioni diverse, ma complementari per diventare, in un certo senso, “contemporanei” di Cristo. 
In un fecondo accordo tra teologia ed etica, i Padri della Chiesa d’Oriente ed Occidente hanno raccolto e sviluppato questa prospettiva della vita cristiana. Origene scrive che la nascita di Cristo, «la sua crescita, i suoi miracoli, la sua passione e la sua risurrezione non accaddero soltanto in quel tempo, ma operano anche oggi in noi»[4]. Anche sant’Agostino sottolinea che «tutto quello che è accaduto nella croce di Cristo, nella sepoltura, nella risurrezione al terzo giorno, nell’ascensione al cielo, nella sessione alla destra del Padre, è accaduto in modo tale che in queste cose venisse raffigurata misticamente, non solo con le parole ma anche con i fatti, la vita cristiana che si svolge quaggiù»[5].
La vita del cristiano, pertanto, consiste nell’interiorizzare e nell’attualizzare nella propria esistenza i misteri di Cristo. Un esempio eloquente è suggerito da sant’Agostino: «Cristo ha patito; – egli afferma – moriamo al peccato. Cristo è risuscitato; viviamo per Dio. Cristo è passato da questo mondo al Padre; non si attacchi qui il nostro cuore, ma lo segua nelle cose di lassù. Il nostro Capo fu appeso sul legno; crocifiggiamo la concupiscenza della carne. Giacque nel sepolcro; sepolti con lui dimentichiamo le cose passate. Siede in cielo; trasferiamo i nostri desideri alle cose supreme. Dovrà venire come giudice; non lasciamoci aggiogare con gli infedeli. Egli risusciterà anche i corpi dei morti; al corpo destinato a mutare procuriamo meriti, mutando mentalità»[6].
Lo scopo finale del vivere i misteri di Cristo è il cambiamento di mentalità, la conversione del cuore e la progressiva trasformazione in lui. Secondo l’invocazione di santa Elisabetta della Trinità, ogni cristiano è chiamato ad essere «quasi un’umanità aggiunta, nella quale egli possa rinnovare tutto il suo mistero»[7].

Il monastero è vivere i misteri di Cristo

Se questo cammino appartiene a ogni credente, in modo ancora più esigente, è il percorso che deve vivere ogni persona consacrata. La vita monastica, in modo particolare, consiste in un inserimento progressivo nel mistero di Cristo. Scrive san Giovanni Eudes: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati e i misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa. Infatti i misteri di Gesù non hanno ancora raggiunto la loro totale perfezione e completezza. Essi sono certo completi e perfetti per quanto riguarda la persona di Gesù, non lo sono tuttavia ancora in noi che siamo sue membra, e nemmeno nella sua Chiesa, che è il suo corpo mistico»[8].
Vivere nel monastero significa ripercorrere e rivivere tutti i mysteria carnis Christi. Il monastero è la ripresentazione del presepio dove donne coraggiose e forti intendono trascorre una vita povera e semplice. Il Figlio di Dio, infatti, «desidera una certa partecipazione e come un’estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa del mistero della sua incarnazione, della sua nascita, della sua infanzia, della sua vita nascosta. Lo fa prendendo forma in noi, nascendo nelle nostre anime per mezzo dei santi sacramenti del battesimo e della divina eucarestia. Lo compie facendoci vivere di una vita spirituale e interiore che sia nascosta con lui in Dio»[9]
Il monastero è il cenacolo dove discepole devote vivono la fraternità nell’intimità della relazione d’amore. È il luogo di attesa di ciò che il cuore desidera. Luogo dell’intimità con Dio dove può accadere il miracolo dell’incontro, della conversione, della trasformazione. È la “cella interiore” dove Dio attira a sé la nostra anima mediante la consolazione e la dolcezza invitandola ad abbandonare il mondo e i suoi piaceri e a gustare le cose del cielo. Il cenacolo è la stanza segreta dove è possibile ascoltare la voce di Dio nella quiete del silenzio e predisporre l’anima a procedere passo dopo passo sulla via della santità. Il cenacolo è il luogo dove si consuma sacramentalmente la passione che si realizza esistenzialmente sul calvario. Ed è proprio in quel luogo che Cristo «intende rendere perfetti in noi i misteri della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione. Li attua facendoci soffrire, morire e risuscitare con lui e in lui»[10]
Il monastero è il giardino del Risorto dove il coro di anime assetate d’amore cantano con giubilo la gioia della vita che vince ogni avversità e pensa alla fine come un semplice incontro con “sorella morte”[11]. Sembra impossibile chiamarla così. La morte non è una creatura di Dio, come le stelle, l’acqua, la terra, il cielo. La morte è conseguenza del peccato. Non è stata creata come le altre creature che vengono lodate e che lodano Dio nel Cantico. Essa impone una scelta tra l’abbandonarsi al nulla e l’affidarsi al Tutto. 
Nel transetto destro della Basilica Inferiore di Assisi c’è un insolito ritratto di Francesco, imberbe e in apparenza giovanissimo, in compagnia di uno scheletro coronato. Ogni dramma sembra spegnersi nell’insolito abbraccio di Francesco con la morte. Questa appare immobile, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la corona pare scivolare giù. La morte è per Francesco essenzialmente povertà e rinuncia al proprio volere. La felicità attende chi è “ne le tue santissime voluntati”, perché la morte seconda non potrà arrecare alcun male. 
Nel Cantico, Francesco ripete solo in due occasioni all’espressione “sora nostra”, la prima riferendosi alla terra, la seconda in relazione alla morte del corpo. Entrambe, la terra e la morte sono considerate come nostre sorelle. Se la morte sarà intesa come il supremo atto di fiducia nella bontà del reale e della divina misericordia, nonostante lo scomparire e il dileguarsi della persona, sarà possibile abbracciarla e come Francesco chiamarla sorella. 
Proprio in questo giardino terrestre e celeste insieme, Cristo «desidera comunicare a noi la condizione gloriosa e immortale che egli possiede in cielo. Ottiene questo fine facendoci vivere con lui e in lui di una vita gloriosa e immortale. Questo lo farà quando lo avremo raggiunto in cielo»[12].
Il monastero diventa così non un luogo chiuso, un eremo impenetrabile, ma una finestra aperta sul mondo attraverso la quale anime ardenti annunciano con passione la bellezza del Vangelo e coloro che vengono a sostare in questo luogo respirano brezze di paradiso e profumi inebrianti di vita felice e di amore che non si consuma, ma arde eternamente e illumina ogni terrestre oscurità.


[1] Su questo tema cfr. R. Cantalamessa, I misteri di Cristo nella vita della Chiesa, Ancora, Milano, 1991.

[2] Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 512 ss..

[3] Cfr. N. Cabasilas, La vita in CristoCittà Nuova, Roma 2017.

[4] Origene, In Lucam Hom. VII, 7.

[5] Agostino, Enchiridion, 53.

[6] Id., Discorso, 229/D, l; PLS 2, 724.

[7] Elisabetta della Trinità, Elevazione alla Santissima Trinità.

[8] G. Eudes, Il Regno di Gesù, parte 3, 4; Œuvres complètes, 1, 310-312.

[9] Ivi.

[10]Ivi.

[11] Cfr. V. Paglia, Sorella morte. La dignità del vivere e del morire, Piemme, 2016.

[12] G. Eudes, Il Regno di Gesù, parte 3, 4, cit.

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