Beato te e beati voi – Diocesi Ugento Santa Maria di Leuca

 
 

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Omelia nella Messa per l’immissione canonica di don Gianluigi Marzo
Parrocchia Natività B.V.M., Tricase, 1° novembre 2023. 

Caro don Gianluigi,

cari sacerdoti,

cari fedeli, 

oggi la Chiesa festeggia la sua dignità di «Madre de’ santi, immagine della città superna»[1], e manifesta la sua bellezza di sposa immacolata di Cristo, sorgente e modello di ogni santità. In questa festa, che ci accomuna tutti, si compie l’avvicendamento della guida pastorale di questa comunità da don Flavio a don Gianluigi. Si opera, infatti, il passaggio del testimone tra due fratelli nel sacerdozio, desiderosi entrambi di percorrere il cammino della santità.  

La santità, un dono e un premio

Nei santi, la Chiesa riconosce i suoi tratti caratteristici e assapora una profonda gioia. Siamo tutti avvolti dalla luce che emana dalla vita di questi nostri fratelli e sorelle che, per noi, divengono modelli di vita e amici di percorso. 

Nella prima lettura, l’autore del libro dell’Apocalisse parla di «una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua» (Ap 7, 9). Ma «a che serve la nostra lode ai santi, a che il nostro tributo di gloria, a che questa stessa nostra solennità?» si chiede in una famosa omelia san Bernardo. La sua risposta è la seguente: «I nostri santi non hanno bisogno dei nostri onori e nulla viene a loro dal nostro culto. Per parte mia, devo confessare che, quando penso ai santi, mi sento ardere da grandi desideri»[2]

I santi sono un dono di Dio e un premio per chi si incammina sulla loro stessa via. Ecco dunque il significato dell’odierna solennità: guardando al loro luminoso esempio si risveglia in noi un intenso desiderio di imitare la loro vita per entrare nella grande famiglia degli amici e dei servi di Dio. È la vocazione di tutti, ribadita con vigore dal Concilio Vaticano II e riproposta in modo solenne in questa festa. 

Le beatitudini, un volo d’angelo

Proponendo il Vangelo delle beatitudini, la liturgia irradia la luce di Cristo nel tempo e lascia trasparire la gioia della città celeste. Tocchiamo così il cuore del Vangelo, al cui centro c’è un Dio che si prende cura della gioia dell’uomo. Le beatitudini, infatti, non sono un elenco di ordini o precetti, ma la bella notizia che Dio regala gioia a chi vive con e per amore. E se uno si fa carico della felicità di un altro, il Padre lo ricambia con il centuplo della sua stessa felicità.

La proclamazione di questa pagina evangelica provoca un sussulto di letizia e alimenta il desiderio di percorrere almeno uno di questi sentieri. Essi sono difficili da realizzare, ma attraenti per l’apertura di orizzonti che spalancano. Certo, questo manifesto evangelico segue una direzione contro corrente rispetto alla mentalità del mondo. Può pertanto assalirci un senso di sgomento e di perplessità perché ci domandiamo se si tratta di una via percorribile o se è solo un bellissimo ideale, tanto più suggestivo quanto meno irraggiungibile. Eppure, se si accoglie il suo messaggio e ci si abbandona alla logica che propone, il cuore cambia ed anche il mondo subisce un’inversione di tendenza perché propone un giudizio costruito sulla misura dell’infinita grandezza di Dio in netto contrasto con la mentalità del mondo.

La parola chiave delle beatitudini è felicità. Il termine non deve essere compreso in un senso emotivo. Indica invece uno stato di vita beata, perché consolida la certezza che l’aspirazione alla gioia, all’amore, alla vita felice non è una chimera. Felicità, infatti, è uno dei nomi di Dio. Per sant’Agostino, Dio non solo è amore e misericordia, ma è anche felicità. Infatti egli scrive: «Questa è la felicità: conoscere con vivo sentimento religioso da chi l’uomo è indirizzato alla verità, da quale verità è beatificato e mediante quale principio si ricongiunge alla misura ideale»[3].

Caro don Gianluigi e voi, cari fratelli e sorelle, le beatitudini suscitano uno stupore che continuamente risveglia la prepotente nostalgia di un mondo fatto di pace e sincerità, di giustizia e di solidarietà, di purezza e onestà. Dire beati è un invito a stare in piedi, a mettersi in cammino, a spingersi in avanti, a orientarsi verso il futuro (A. Chouraqui). È Cristo stesso che ci chiama (cf. Mt 5,11) e, con questa esortazione, è come se dicesse: «Coraggio, alzatevi; io stesso cammino con voi; non arrendetevi; gettate via il mantello del lutto e indossate quello della danza e della festa». Le beatitudini, infatti, rivelano i tratti del volto di Cristo, il suo stile di vita e, in controluce, modellano i lineamenti del discepolo. Insomma, parlano a te, caro don Gianluigi e sollecitano anche voi, cari fratelli e sorelle.

Beato te

Raccogli, allora, caro don Gianluigi, questo ideale di vita e fanne il programma della tua azione pastorale in questa comunità di Tricase. In questi anni, hai acquisito una ricca esperienza e l’hai messa a servizio della nostra Chiesa diocesana e di quella di Torino, in qualità di sacerdote fidei donum. Ora ti prenderai cura di questo popolo, guidato in precedenza da don Tonino Bello, don Antonio Ingletto, don Andrea Carbone e don Flavio Ferraro. 

I documenti successivi al Concilio, preferiscono utilizzare l’espressione “cura pastorale”[4] invece di “cura delle anime”. Intendono così sottolineare l’insieme dei compiti e delle responsabilità del presbitero nei riguardi dell’intera comunità, piuttosto che rispetto alla relazione individuale con il singolo fedele. La caratteristica principale della cura pastorale è la vicinanza al popolo di Dio «che si manifesta, principalmente, nella predicazione della Parola di Dio, nell’amministrazione dei sacramenti e nella guida pastorale della comunità»[5].

Quale sarà allora la tua beatitudine? Quella di assumere lo stile di Cristo, Buon Pastore. Beato te, quando saprai farti vicino al popolo di Dio. Niente della vita della gente deve sfuggire alla conoscenza e alla tua presenza discreta e attiva; una vicinanza di prossimità, di attenzione e di condivisione. Coltivare la capacità di ascolto sarà vitale per il tuo ministero pastorale. 

Beato te, quando ti ritirerai nel silenzio della tua anima per ascoltare e parlare con Il Signore e respirare la sua vicinanza e la sua amicizia. Amare la Chiesa e donarsi ad essa nel servizio ministeriale richiede di amare profondamente il Signore Gesù. La carità pastorale, infatti, scaturisce dal sacrificio eucaristico, centro e radice di tutta la tua vita presbiterale. 

Beato te, quando coltiverai rapporti di fraternità con gli altri sacerdoti. Per giungere a relazioni improntate alla fraternità e all’amore o almeno al rispetto e alla carità, occorre esercitarsi nell’arte di amare chi non si è scelto. Se già il cristiano esiste sempre in un corpo, in un insieme, in una relazione, quanto più questo criterio vale per il presbitero che è a servizio della comunione ecclesiale. 

Beato te, quando saprai osare e inviterai gli altri a guardare in alto, verso l’orizzonte più lontano, superando le piccole e anguste vicende autoreferenziali. Addita a tutti la bellezza di essere una Chiesa dallo sguardo lungimirante. Insegna a giocare secondo il duplice schema: orizzontale e verticale. Chi ama le parole crociate sa bene che spesso solo l’incrocio tra le due dimensioni permette di risolvere il gioco: quando la soluzione non la si trova in orizzontale, si prova in verticale. Così accade anche nella vita. La linea orizzontale della storia deve intersecarsi con quella verticale della grazia. Sarà allora più facile trovare il punto di intersezione tra i problemi pastorali che si annunciano sempre più complessi. 

Beati voi

Beati voi, cari fedeli della parrocchia Natività, quando con semplicità di cuore e generosità di spirito vi lascerete attrarre dalla parola e dall’esempio del vostro pastore. Non chiedetegli impegni che voi stessi non siete capaci di portare. Fate invece risplendere il senso della vostra corresponsabilità e della vostra creatività in modo da affiancare da vicino l’azione pastorale del sacerdote.   

Beati voi, se non vivrete di ricordi dei tempi passati, delle persone che avete incontrato, dei momenti felici vissuti in precedenza. Talvolta si tratta di incanti, più che di eventi reali, di narrazioni un po’ favolistiche rispetto alla ruvida concretezza dei fatti. Se, nel passato, avete appreso qualche sapiente insegnamento, mettetelo in atto nel tempo presente, senza il sospiro nostalgico del bel tempo che fu. Conta il presente, non il poetico ed elegiaco ricordo di quanto vissuto in precedenza. Come ha ripetuto più volte don Tonino, non bisogna stare alla finestra a giudicare il mondo facendo attenzione a non sporcarsi le mani, ma bisogna entrare prepotentemente nelle vene della storia.         

La storia, infatti, si aggrappa ai santi per andare avanti e non ritornare indietro. Chi vive responsabilmente si affida a loro per alimentare la speranza di un futuro migliore. Nell’immenso pellegrinaggio verso un mondo diverso, solo i giusti sono capaci di condurre gli altri trascinandoli in avanti e in al­to. Chi ha il cuore limpido indica la stra­da, chi ha molto sofferto vede più lontano, chi è più misericordioso aiuta tutti a ricominciare.

Beati voi, quando saprete asciugare le lacrime di coloro che sono nel pianto e condividere le gioie di coloro che sono felici. La beatitudine più paradossale mescola insieme lacrime e felicità. Siate come il misterioso angelo che, alla persona afflitta, reca un prezioso annuncio: «Il Signore è con te. Nel riflesso più profondo delle tue lacrime c’è lui a sostenere il tuo coraggio. È al tuo fianco in ogni tempesta. È forza della tua forza, l’argine alle tue paure».

Beati voi quando custodirete la speranza di tutti. In questo mondo, dove si fronteggiano lo spreco e la miseria, solo un esercito silenzioso di uomini e donne veramente trasformati da Cristo costruiscono pace nell’ambiente di lavoro, in famiglia, nelle istituzioni. Sono ostinati nel proporsi, in modo evangelico, anche nei piccoli gesti. Gli uomini delle beatitudini sono ignoti al mondo e non compaiono sui giornali. Ma sono loro i segreti legislatori e redentori della storia.

Beato te, caro don Gianluigi, e beati voi, cari fratelli e sorelle, quando proclamerete le beatitudini non solo nella celebrazione liturgica, ma le attuerete nella quotidianità della vostra vita. Allora la gioia inonderà il vostro cuore e, in un vortice inarrestabile, contagerà i cuori di tutti i vostri concittadini, credenti e non credenti. In piedi, dunque, costruttori di novità. «Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino […]. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10, 7-8).


[1] A. Manzoni, Inni sacriLa Pentecoste, 1-2.

[2] Bernardo, Discorso 2, Opera Omnia Cisterc. 5, 364.

[3] Agostino, La vita beata, 4,35.

[4] Cf. A. Borras, La parrocchia. Diritto canonico e prospettive pastorali, Bologna 1997, p. 85. Nel Codice di diritto canonico l’espressione cura pastoralis ricorre 27 volte (16 in riferimento al parroco) rispetto a cura animarum che torna 10 volte (di cui solo una riferita al parroco).

[5] Congregazione per il clero, Il presbitero pastore e guida della comunità parrocchiale, 4 agosto 2002, n. 19.

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